domenica 8 gennaio 2012

Ricchi, straricchi e il resto...

Su Repubblica di oggi potete leggere un articolo sulla distribuzione della ricchezza in Italia.

Indovinate quante tasche possiedono i soldi che circolano in Italia?

Leggi l'articolo.

sabato 9 aprile 2011

Bellezza e Libertà

Dalla rubrica Saturno de Il Fatto Quotidiano una parte dello scritto inedito del Nobel Liu Xiaobo

“Bellezza e Libertà”

L’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene. Questa celebre frase di Rousseau ci ricorda che difficilmente l’umanità si può liberare dal suo tragico destino.

Non bisogna credere che io inizi con questa frase tanto per sorprendere. Chiunque desideri realmente ripensare sé stesso, può credere che queste parole indicano soltanto una semplice verità. Tuttavia la paura istintiva dell’uomo la copre, strato dopo strato. Non importa che l’umanità, con chissà quanta intelligenza e abilità, nasconda questa semplice verità. Verrà un momento critico in cui l’intelligenza di qualcuno la svelerà, facendo così sospirare gli studiosi pavidi.

Il sistema delle regole oggettive non prende mai in considerazione i desideri soggettivi. L’umanità non ha altra scelta che assecondare questi desideri o reprimerli, a prescindere da quanto essi siano virtuosi. Le regole della fisica hanno da sempre permesso […] che la vita si risolva in un meccanismo soggetto alle inevitabili regole del determinismo della materia inorganica, come una particella del cosmo infinito.

Ma in tutto ciò: l’individuo? L’uomo ha l’intelletto, per questo si crede superiore agli animali e ritiene di poter dominare su tutte le cose del mondo. Attraverso il noumeno della metafisica e il dio della religione trascende le consuetudini secolari. Ma le infinite regole, leggi, norme, dogmi e teoremi stabiliti dalla ragione, costringono in maniera evidente l’esistenza a un appiattimento dottrinale, facendo sì che l’uomo sia così limitato dalle sue stesse creazioni da non riuscire nemmeno a muovere un passo. [...]

L’uomo ha creato una società nella quale solo combattendo la natura con tutte le proprie forze ottiene un certo grado di libertà ma, allo stesso tempo, egli è intrappolato da una rete tessuta da privilegi, leggi e morale – tanto da non riuscire più a liberarsi. I privilegi fanno sì che l’uomo sia passivo e servile; le leggi impediscono all’uomo di agire liberamente; la morale assegna all’uomo norme e regole di vita a cui tutti devono aderire. [...]

La dialettica inconciliabile tra l’illimitatezza di ogni tipo di speranza e la finitezza propria dell’esistenza, determina infine che l’uomo si trovi spesso in un’eterna delusione, scissione, lotta interiore e, allo stesso tempo, in un’eterna speranza, aspirazione e ricerca. Proprio in questa continua alternanza tra speranza e delusione la vita dell’uomo acquista splendore. Ma allora: che cos’è la speranza dell’uomo? Dov’è? Come si può ottenere? Basta volerlo.

Guardando con diffidenza l’universo e la società, i saggi dell’umanità spesso cadono in una delusione pessimista. La filosofia è eccessivamente astratta, la scienza è troppo fredda, la religione troppo oscura. Ma ciò che mi lascia attonito è che inaspettatamente l’umanità ha trovato una fessura, ha creato un istante in cui tutto si può superare e, sebbene essa sia misteriosa e breve, lirica e illusoria, essa svanisce come un sogno senza lasciare traccia.

Ma nell’animo di moltissimi talenti, questo fugace momento sarà considerato eterno e illimitato. Questa è l’unica scorciatoia che l’uomo può percorrere per arrivare alla libertà: l’estetica.

Confucio è il filosofo che più ha tenuto in considerazione le norme, eppure il suo “godere dello studio delle arti” ha come fine ultimo il controllo dei riti sul mondo e la costruzione di un governo benevolo. Per lui un’esperienza estetica è il limite più alto dell’esistenza: «a primavera inoltrata, i vestiti leggeri, con cinque o sei adulti col copricapo e sei o sette ragazzi, vorrei bagnarmi nel fiume Yi, godermi la brezza presso l’altare della pioggia e cantare, prima di tornare indietro» [Dialoghi, 11.25, ndt]. I filosofi taoisti invece si oppongono a ogni norma […]. Proprio una simile attitudine esistenziale ha prodotto la licenziosità dei costumi delle dinastie Wei e Jin [220-420 d.C., ndt] e le arti contemplative tradizionali cinesi come le poesie e le pitture paesaggistiche.

L’umanità, risvegliandosi, ha poi scoperto la propria alienazione e, ancor di più, ha riposto sull’estetica la speranza di raggiungere la libertà. […]

Nell’esperienza estetica le inclinazioni soggettive possono superare i principi oggettivi; la forza delle emozioni può superare i precetti razionali; il godimento spirituale può superare i desideri materiali; il destino individuale può superare le pressioni sociali. Solo così l’uomo può superare la limitatezza del proprio essere. Ma va ricordato che questo superamento è temporaneo e illusorio, quindi né eterno né reale.

In altre parole, l’uomo quando è costretto in una realtà necessariamente limitata, decide di creare a livello illusorio una libertà illimitata. C’è chi ritiene che questa sia la “commedia” dell’umanità. Io ritengo che proprio questa irrisolvibile contrapposizione tra realtà e illusione dia vita al carattere tragico dell’esistenza.

[tratto da Liu Xiaobo, Estetica e libertà dell’uomo, Beijing Normal University Press, 1988; traduzione dal cinese di Cecilia Attanasio Ghezzi e Edoardo Gagliardi]

Saturno, Il Fatto Quotidiano, 1 aprile 2011

lunedì 21 marzo 2011

Preghiera per Chernobyl

Dal Fatto di oggi...

Chernobyl, la triste fine dei “liquidatori”

I 50 kamikaze di Fukushima stanno facendo la stessa fine degli eroi che si immolarono per spegnere il reattore numero 4 della centrale ucraina. Il Fatto vuole ricordarli attraverso la testimonianza straziante di una vedova, Valentina Panasevich, raccolta da Svetlana Alekseievic nel capolavoro “Preghiera per Chernobyl"

Chernobyl è il punto di incontro fra Dante e la Fantascienza.

La foresta nucleare che si è impadronita delle strade di Pripyat , la città che ospitava i lavoratori della centrale, è la versione moderna del “bosco dei suicidi”, mentre la torre di cemento e acciaio che copre il reattore N°4 incute lo stesso irriducibile terrore che emana ancora dai forni crematori o dai giganti immersi nel ghiaccio del Canto 31 dell’Inferno (“Sappi che non son torri, ma giganti..”).

Sulle pareti dei palazzi, le scritte di che inneggiano a Lenin hanno resistito alla pioggia, alla neve e alla perestroika, per cui si potrebbe dire che Pripyat è la Pompei del socialismo sovietico.

Gli unici abitanti della città sono i soldati che la proteggono (dicono) da saccheggiatori e criminali in fuga e le guide , che ti portano – non oltre 10 minuti – davanti al reattore n°4 per mostrarti, con un piccolo contatore Geiger, che la radioattività è nella norma.

Dalle pareti degli appartamenti abbandonati tentacoli di muffa biancastra si avventano sul visitatore e sugli oggetti abbandonati in fretta e furia il 26 aprile del 1986: una scarpa da donna, un davanzale, un pianoforte una bambola, degli spartiti…

A Pripyat, non si sente cantare un uccello. E’ come se fossero stati zittiti per sempre e nella foresta che circonda la città morta si vedono cartelli che vietano di accendere fuochi perché anche un piccolo incendio potrebbe disperdere nell’atmosfera i radionucleidi che avvelenano quello che una volta era la “natura”.

Quando nel 2002 ho filmato Chernobyl per il settimanale “Link” di Canale 5, ho incontrato i rifugiati che erano stati allontanati dall’area della centrale e che erano tornati a vivere a 7 km dal reattore. Mi dissero che, dopo aver girovagato per anni in campi profughi dove non avevano neppure la legna per scaldarsi, avevano deciso di tornare.

Le loro case , piccole isbe con le caratteristiche stufe di muratura alla russa, si distinguevano perché sorgevano linde e ben tenute in mezzo a centinaia di edifici abbandonati, scuole, villette, uffici, completamente conquistati dai rampicanti e dal bosco .

Le radiazioni?” mi dissero “Non ci pensiamo. Ormai siamo vecchi. Qui almeno abbiamo una casa.Vogliamo morire qui”. Sullo sfondo, la torre del reattore N°4 emanava un bagliore viola.

A Chernobyl ho filmato anche il monumento più triste del mondo: le statue di cemento grigio che ricordano i “Liquidatori” della centrale, i pompieri e gli operai che scelsero di andare incontro alla morte per spegnere il Moloch nucleare.

Oggi la parola “kamikaze” ha connotati solo negativi. Le stragi di civili di Al Qaeda o di Hamas hanno fatto dimenticare che anche la Resistenza ebbe delle squadre suicide come il commando di partigiani cecoslovacchi che giustiziò Reinhard Heydrich, detto “il boia” (der Henker) 25 anni dopo, a 8000 km di distanza , i 50 kamikaze di Fukushima stanno compiendo lo stesso sacrificio dei “Liquidatori” . Questi ultimi verranno ricordati tra poco più di un mese, il 26 aprile dal “Chernobyl day” insieme alle centinaia di migliaia di morti di cancro (500.000 secondo il Guardian) causati dall’incidente del reattore N°4.

Noi vogliamo ricordarli attraverso il ricordo di una vedova, Valentina Panasevich raccolto da Svetlana Alekseievic nel capolavoro “Preghiera per Chernobyl”.

“Poco fa ero così felice. Tutto è rimasto in un altro mondo. Non capisco come riesco a vivere. Mi sentivo paralizzata. La mattina mi svegliavo, cercavo di abbracciarlo. Dov’è? C’è il suo cuscino, il suo odore. Di sera la figlia mi dice che ha finito i compiti. All’istante mi accorgo che ho dei figli. Ma dove è lui? Lo penso finché non mi addormento… Non piangerò. Ormai ho perso questa capacità… Non mi lascia un’idea strana: ho visto quello che nessuno ha visto prima d’ora… Siamo primi a scoprire qualcosa di terribile.E’ andato a Chernobyl il giorno del mio compleanno. Faceva da montatore arrampichino. Viaggiava per tutto il paese ed io lo aspettavo sempre. Facevamo una vita da innamorati. Quel giorno erano preoccupate solo le nostre mamme. Noi invece eravamo tranquilli. La sua squadra, sette persone, sono morti tutti. Quando dopo tre anni è morto il primo pensavamo, che magari fosse un caso. Dopo è morto il secondo, il terzo… Ognuno già aspettava il suo turno. Mio marito è morto per ultimo. Era robusto, alto quasi due metri, pesava 90 chili, come si poteva immaginare? Staccavano la luce nei paesi abbandonati…Ah, quanto ero felice!

Era tornato. Era sempre una festa quando tornava. Indossavo una bella camicia da notte che avevo per quest’occasione. Conoscevo ogni angolo del suo corpo. A volte anche sognavo di essere una parte del suo corpo, eravamo indivisibili. Sentivo un dolore fisico quando andava via. Questa volta è tornato con i nodi linfatici sul collo. Li ho sentiti subito appena l’ho baciato. Sono nata per amare. Le mie compagne di scuola facevano progetti per il futuro: iscriversi all’università, partecipare a qualche impresa di Komsomol. Io invece volevo sposarmi ed amare, solo amare come Natascia Rostova in “Guerra e pace”. A nessuno potevo rivelarlo perché allora era lecito pensare solo di qualche impresa di komsomol, di coltivare la Siberia. L’ho conosciuto quando sono andata a lavorare alla centrale telefonica. Sono stata io a dirgli:”Sposami, ti voglio tanto bene!”. Mi sono innamorata da matta, volavo fra le nuvole…A volte cerco di consolarmi: magari la morte non è la fine, magari lui vive in qualche altro mondo. Leggevo libri e giornali, parlavo con la gente, volevo sapere tutto sulla morte per trovare qualche consolazione… Non posso stare da sola, eravamo indivisibili. Non voleva andare dal medico perché non sentiva nessun dolore. I nodo linfatici aumentavano. Ho insistito. L’hanno mandato subito dall’oncologo.

Dopo una settimana è stato operato. Gli hanno tolto completamente la tiroide e la parte di faringe. Ora capisco che questo era ancora un periodo felice… Ho imparato a dargli da mangiare tramite una cannuccia. Non sentiva ormai né odori, né sapori. Andavamo qualche volta al cinema e ci baciavamo lì: così ci sentivamo aggrappati alla vita. Poi un giorno non è più riuscito ad alzarsi dal letto. Avevamo ancora un anno tutto per noi, lui stava sempre peggiorando a vista d’occhio per tutto l’anno. Tutti i suoi colleghi erano già morti. Questo pensiero era insopportabile, nessuno sapeva che cosa vuol dire Chernobyl. Si scriveva tanto su questo argomento, ma siamo stati noi per primi a scoprire l’aspetto più orribile.

Volete sapere come si muore dopo Chernobyl? L’uomo che amavo, così che non avrei potuto amarlo di più neanche se fosse stato mio figlio, si trasformava sotto i miei occhi in un mostro, in un extraterrestre. Gli si è deformato il naso aumentando di circa tre volte. Gli occhi si sono spostati ed hanno assunto un’espressione sconosciuta. Ma questo non mi spaventava. Ero soltanto preoccupata che lui si vedesse così come era. Però insisteva affinché gli portassi uno specchio, me lo scriveva ripetutamente (comunicavamo scrivendo perché egli non riusciva nemmeno a sussurrare). Ma io facevo finta di niente. Dopo tre giorni sono stata costretta a portarglielo. Ci è rimasto male. Cercavo di consolarlo: non ti preoccupare, appena guarirai andremo a stare in qualche paesino abbandonato e ci vivremo noi due da soli. Non lo ingannavo, ero pronta ad andarmene in capo al mondo per lui. Mi confondo, non riesco a parlare.

Avevo 16 anni quando l’ho conosciuto. Aveva 7 anni più di me. Quando andavo all’appuntamento con lui scendevo alla fermata dopo per vedere da lontano che bel ragazzo mi aspettava. Per due anni non me ne accorgevo se era estate o inverno. Quanto ero felice! Non cambierei nulla in vita mia anche se le stelle mi avessero avvertita del mio destino. Il giorno del matrimonio non abbiamo trovato il suo passaporto. “E’ un brutto segno”, – piangeva la mia mamma. Non era amore, piuttosto un lungo innamoramento. Non so se sia lecito parlarne. Ci sono dei misteri, dei segreti. Anche adesso non capisco che cosa fosse. Aveva dei desideri fino all’ultimo mese. Mi chiamava di notte, mi amava più forte di prima. Di giorno quando lo guardavo non riuscivi a credere a ciò che era successo di notte. Non volevamo separarci. Lo sfioravo coccolando, mi ricordavo i momenti più felici della nostra vita. Non voleva morire. Ma cosa potevo offrirgli oltre i farmaci? Quale speranza? Non voleva morire…

Alla mamma non raccontava nulla, non avrebbe capito perché non era un solito tumore, era il tumore di Chernobyl, molto più terribile. I medici mi hanno spiegato: se le metastasi si fossero sviluppate dentro all’organismo sarebbe morto presto. Invece sono uscite tutte fuori. Le formazioni nere hanno coperto il corpo fino alla vita, era sparito il mento, il collo. La lingua uscita fuori, era diventata come una borsetta. Sanguinava perché si rompevano le vene. Gli mettevo sotto un catino. Anche adesso sento quel suono di zampilli di sangue. Non sapevo come aiutarlo. Al pronto soccorso ci conoscevano già e non volevano venire: non possiamo fare nulla per suo marito. Una volta è venuto un medico giovane, appena entrato mi ha detto:”Mia cara, le auguro che lui muoia al più presto” e lui l’ha sentito. Un’altra volta un’infermiera non ce l’ha fatta ad entrare in camera. Ho imparato a fare da me le punture di stupefacenti. Gridava dal dolore, gridava per tutto il giorno. A questo punto ho trovato la soluzione: gli versavo tramite la cannuccia una bottiglia di vodka. Così si assopiva.

Una volta gli ho chiesto:”Ti dispiace che sei andato a Chernobyl?”. Mi ha risposto di no. Ero così felice con lui. Lo guardavo mentre si faceva la barba, mentre mangiava, mentre camminava per strada. Non potevo saziarmi, come se avessi un presentimento che non sarebbe durato a lungo. Non capisco come può piacere il proprio lavoro. A me piaceva soltanto lui. Amavo soltanto lui. Di notte grido nel cuscino per non spaventare i figli.

I parenti mi avevano suggerito di portarlo in un ospedale dove morivano gli ammalati come lui. Anche lui mi supplicava, ha consumato un quaderno per convincermi. Alla fine ho deciso di farlo. Ci sono andata con suo fratello. L’ospedale si trovava in periferia di un paesino. Quando ho visto una grande casa in legno col pozzo rovinato, i servizi fuori, la vecchiette vestite in nero, non sono nemmeno uscita dalla macchina. Gli ho detto: non ti ci porterò mai. Mai!Hanno telefonato i suoi colleghi, volevano venire a trovarlo. Gli hanno portato un diploma d’onore, una cartella rossa con il profilo di Lenin. Lo guardai e pensai: per cosa muore? I giornali scrivevano che era esploso non solo Chernobyl, ma anche il comunismo. Il profilo sulla cartella è rimasto comunque. I colleghi volevano parlargli. Lui invece si copriva la testa, aveva già paura della gente, accettava solo me.Le ultime settimane sono state più orribili. L’uomo muore da solo, in solitudine. Durante il funerale gli ho coperto la faccia con un fazzoletto. Una sua amica che mi aveva chiesto di scoprire la faccia è svenuta. Quando è morto nessuno riusciva ad avvicinarsi. I parenti non possono lavare e vestire il defunto. Ho chiamato due impiegati dell’obitorio. Anche loro che ne hanno visto di tutti i colori, mi hanno rivelato che è la prima volta che vedevano questo orrore. Ormai so come moriremo dopo una guerra atomica, dopo Chernobyl. Anche morto era caldo-caldo. Non si poteva toccarlo. Ho fermato l’orologio, erano le sette. Anche oggi è lì fermo, non si riesce a farlo partire. Il meccanico dice che il meccanismo non è rotto, però non funziona più. Mistero.

I primi giorni senza di lui. Avevo sonno, ho dormito per due giorni. Mi alzavo solo per prendere un po’ d’acqua. Prima di morire mi ha scritto: “Fai bruciare il mio corpo, non voglio che tu abbia paura”. Perché ha deciso così? Ho letto che la gente si aggira senza avvicinarsi alle tombe dei vigili del fuoco di Cernobyl morti negli ospedali di Mosca e sepolti nei dintorni, a Mytishi. Non seppelliscono accanto neanche i loro defunti, hanno paura perché nessuno sa cosa è Chernobyl. Ero seduta accanto a lui quando era appena morto. Improvvisamente ho visto una nuvola salire sopra il suo corpo. Era la sua anima. Nessuna l’ha vista, io invece sì. Ho avuto l’impressione che ci siamo rivisti un’altra volta… Chi me l’ha tolto? Per quale diritto? Hanno portato il precetto il 19 di ottobre 1986. Come se fosse la guerra…

Ero felicissima da impazzire. Non so come vivrò. Cosa mi ha salvato? Il nostro figlio. E’ ammalato. E’ già cresciuto, ma guarda il mondo con gli occhi felici di un bambino di 5 anni. Si trova nell’ospedale psichiatrico. Questa era la sentenza dei medici: per sopravvivere deve rimanere sempre lì. Ci vado ogni fine settimana. Mi chiede sempre: “Dove è il papà? Quando verrà?”. Chi altri me lo potrà mai chiedere? L’aspetta. Vivremo insieme con mio figlio. Io reciterò la mia preghiera di Chernobyl e lui guarderà il mondo con gli occhi da bambino…

di Mimmo Lombezzi

martedì 15 febbraio 2011

Ti sputtanerò

Grandissimi Luca e Paolo a Sanremo!!!



...e poi dal Fatto di oggi (16 febbraio 2011)...

Silvio Pelvico

di Marco Travaglio

Alla fine, depositato il polverone politico-mediatico del Truman Show, restano i fatti nudi e crudi, che il gip Cristina Di Censo descrive con una semplicità disarmante. Una sera di maggio un cittadino telefona in Questura per far rilasciare una minorenne marocchina fermata per furto senza documenti né fissa dimora, spacciandola per la nipote del presidente egiziano Mubarak. Se fosse un passante, lo manderebbero a prendere per il trattamento sanitario obbligatorio. Trattandosi del presidente del Consiglio, trattengono le risa e obbediscono a lui anziché al pm minorile e affidano la ragazza a una procace consigliera regionale che si è precipitata sul posto in compagnia di una prostituta brasiliana, nelle cui mani poi la consigliera scarica la minorenne. Le due immigrate vengono poi sorprese a rissare furiosamente e a rinfacciarsi la loro professione, la più antica del mondo. Indagini, interrogatori e intercettazioni per scovare chi organizza il giro di squillo: saltano fuori i nomi della consigliera regionale, di un direttore di telegiornale e di un impresario di star dalla dubbia fama (lui, non le star). L’utilizzatore finale invece è il presidente del Consiglio, che paga in soldi, favori, gioielli, appartamenti in comodato gratuito: ecco perché ha telefonato in Questura. Dalle perquisizioni affiorano i soldi, elargiti un po’ dal premier un po’ dal suo ragioniere, che però non può essere perquisito
perché abita in una succursale della Presidenza del Consiglio. Ci vuole il permesso della Camera. I giudici lo chiedono. La Camera rispedisce il faldone al mittente senza dire né sì né no, sostenendo che è competente il Tribunale dei ministri perché il premier chiamò la Questura per sventare una crisi diplomatica con l’Egitto. Vivo stupore in Egitto, dove nessuno è stato avvertito del fatto che il capo del governo italiano racconta in giro che Mubarak ha una nipote prostituta e che questa presta abitualmente servizio in casa sua (del capo del governo italiano). Anche perché, in tal caso, l’Italia rischierebbe non solo l’incidente diplomatico, ma un attacco missilistico. Alla Procura di Milano bastano meno di tre mesi per tirare le somme: pagare una minorenne in cambio di sesso è reato (prostituzione minorile), indurre la Questura a compiere un atto indebito a favore di un’amica è reato (concussione). E, siccome in casi così rapidi ed evidenti il Codice prevede il rito immediato, i pm lo chiedono. Il gip Di Censo sa quel che le accadrà se lo accorderà: verrà insultata, spiata, screditata, dossierata, trascinata alla Consulta. Eppure mantiene i nervi saldi e decide secondo coscienza, sine spe ac metu, uniche bussole il Codice penale e la Costituzione. Dopo i 5 giorni canonici, rinvia B. a giudizio immediato. Ritiene che le accuse siano provate e meritino il vaglio processuale. Il Tribunale stabilirà se è provata anche la colpevolezza dell’imputato B. Incidentalmente il gip spiega anche perché il caso è roba da tribunale ordinario: basta leggere la Costituzione per sapere che è reato ministeriale quando un membro del governo abusa delle proprie funzioni. Ma il premier non ha poteri sulle Questure (non è il ministro dell’Interno né il capo della Polizia): ergo, chiamando quella di Milano, non abusò delle funzioni, ma della qualità di capo del governo. Reato ordinario, tribunale ordinario. Tutto semplice, elementare, lapalissiano. Ci arriverebbe uno studente al primo giorno di Giurisprudenza. Non, dunque, legioni di politici e opinionisti servi. Il 6 aprile, se vorrà, B. comparirà in tribunale. Se non vorrà, peggio per lui: lo processeranno lo stesso. Dopo vent’anni di urla, strepiti, leggi su misura, censure, epurazioni, ricorsi, ricusazioni e centinaia di milioni spesi in avvocati, giudici, testimoni e deputati per trasformare il Parlamento e il Paese intero in un gigantesco collegio di difesa, si ritroverà solo, impotente, nudo come un verme davanti all’incubo che lo insegue da sempre: la Giustizia.