lunedì 30 novembre 2009

Milano è veleno



Nei Garage A Milano Nord
di Le Luci Della Centrale Elettrica

I semafori cominciavano a lampeggiare
centimetri tra le nostre bocche con un contratto andato a male
le istruzioni per abbracciarsi
e per ballare negli scompartimenti delle metropolitane
sarà l’effetto serra il nostro carcere speciale
le fotocopie del cielo milanese

che Milano era veleno, che Milano era veleno
era un deserto al contrario
un cielo notturno illuminato a giorno
da stelle cianotiche da stelle con tuo nome
le insegne luminose e i tifosi violenti
arruoliamo i brigatisti
arroghiamoi brigatisti
arruoliamo i brigatisti.

Nei bar deserti sui navigli
la curiosità ci divorava
e staremo ad abbaiare a questo cielo da rottamare
abiteremo in un centro sociale affacciato sulle discariche e sul mare
ma lavoreremo ancora in nero


Milano era veleno, Milano era veleno
era un deserto al contrario
un cielo notturno illuminato a giorno
da stelle militanti da stelle deficienti
dalle p-38 caricate a sale
Milano da bere Milano da pere
amori interinali e poliziotti di quartiere
nei bar deserti i navigli
per ammazzare il tempo ci siamo sconvolti, per ammazzare il tempo ci siamo sconvolti
per ammazzare il tempo ci siamo sconvolti, per ammazzare il tempo ci siamo sconvolti
nei garage a Milano nord
nei garage a Milano nord
nei garage a Milano nord
nei garage a Milano nord.
Chi odia i Terroni.
Chi ha crisi interiori.
Chi scava nei cuori.
Chi legge la mano.
Chi regna sovrano.
Chi suda e chi lotta.
Chi mangia una volta.
Chi gli manca una casa.
Chi vive da solo.
Chi prende assai poco.
Chi gioca col fuoco.
Chi vive in calabria.
Chi vive d’amore.
Chi prende i sessanta.
Chi arriva all’ottanta.
Chi muore a lavoro.
Chi muore a lavoro.
Chi muore a lavoro.
Chi muore a lavoro.
Chi muore a lavoro.
Chi muore a lavoro.



Vai al post di Beppe Grillo Morte dell'aria a Milano

Lascia questo Paese

Lettera di un padre, che con amarezza dice al figlio che può o forse dovrebbe lasciare l'Italia, ora che ha finito gli studi. Questo Paese non offre niente per lui che ha studiato e che potrebbe trovare un posto per meriti. È la morte sociale, come continuano a ripetere gli operai e gli impiegati che si riversano nelle strade a protestare senza i riflettori dei media. Questi ultimi sono troppo impegnati a seguire le trame di quest'orda di delinquenti al potere e i loro vizi e stravaganze sessuali. Lascia questo Paese, è il monito, non voglio che soffri.

La lettera è stata pubblicata su Repubblica di oggi.

"Figlio mio, lascia questo Paese"



di PIER LUIGI CELLI



Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.

Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.

Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.

Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi.

Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.

Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.

Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.

Preparati comunque a soffrire.

Con affetto,
tuo padre

L'autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli.
(30 novembre 2009)

sabato 28 novembre 2009

Di chi sono quei soldi?

L'INCHIESTA - Il peso del ricatto al premier della famiglia di Brancaccio sembra legato all'inizio della sua storia di imprenditore

Sono i soldi degli inizi del Cavaliere l'asso nella manica dei fratelli Graviano

Più che un eventuale avviso di garanzia per le stragi del '93, il premier dovrebbe temere il coinvolgimento da parte delle cosche sulle storie di denaro affari e politica

di ATTILIO BOLZONI e GIUSEPPE D'AVANZO

Soldi. Soldi "loro" che non sono rimasti in Sicilia, ma "portati su", lontano da Palermo. "Filippo Graviano mi parlava come se fosse un suo investimento, come se la Fininvest fossero soldi messi da tasca sua". Per Gaspare Spatuzza, da qualche parte, la famiglia di Brancaccio ha "un asso nella manica". Quale può essere questo "jolly" non è più un mistero. Per i mafiosi, che riferiscono quel che sanno ai procuratori di Firenze, è una realtà il ricatto per Berlusconi che Cosa Nostra nasconde sotto la controversa storia delle stragi del 1993. Nell'interrogatorio del 16 marzo 2009, Spatuzza non parla più di morte, di bombe, di assassini, ma del denaro dei Graviano. E ha pochi dubbi che Giuseppe Graviano (che chiama "Madre Natura" o "Mio padre") "si giocherà l'asso" contro chi a Milano è stato il mediatore degli affari di famiglia, Marcello Dell'Utri, e l'utilizzatore di quelle risorse, Silvio Berlusconi.

Vai all'articolo su Repubblica.

venerdì 27 novembre 2009

Violante...chi era costui?


Guarda il video

Dal Fatto Quotidiano di ieri.


Sono Violante risolvo problemi


di Marco Travaglio

Gli elettori del Pd che martedì hanno visto “Ballarò” si saranno augurati che Luciano Violante parlasse a titolo personale, non a nome del principale partito di opposizione (si fa per dire). Spiace deluderli, ma Violante è il “nuovo” responsabile Riforme del “nuovo” Pd bersaniano. L’altra sera le cose si stavano mettendo maluccio per il Pdl, rappresentato dal trust di cervelli Cota-Al Fano. Cota delirava in padano stretto. Al Fano, momentaneamente sprovvisto di pallottoliere, s’infilava in una giungla di numeri sul processo breve da cui stentava a uscire vivo. Piazzava il suo 1% di processi morti dopo 6 anni. Ma qualcuno domandava: “Dunque il 99% finisce in 6 anni? Allora abbiamo la giustizia più rapida dell’universo”. Allora Angelino mercanteggiava come i tappetari nei suk: “Facciamo 7-8%”. E spiegava che i processi, se non li ammazzasse la legge, si prescriverebbero comunque. Come dire: sterminate pure gli anziani e i malati gravi, tanto prima o poi muoiono lo stesso. Casini ripeteva la fesseria che i processi fanno comodo a Berlusconi (“li usa come alibi”) e, per fargli un dispetto, bisogna abolirli solo a lui. Al Fano, in stato confusionale, diceva addirittura la verità: “Guardi che, se glieli abolite, lui è felice”. Risate in studio. A quel punto interveniva Violante e la débâcle del centrodestra si mutava in trionfo: “Legalità e democrazia son cose diverse”. In realtà la nostra democrazia si fonda sull’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. Dunque democrazia è legalità. Invece, nella bizzarra concezione violantesca, essa sarebbe minacciata dai processi al premier, che “gli impediscono di governare”. Ma Berlusconi ha già governato 7 anni da imputato. Ora indovinate la soluzione di Violante per spegnere il presunto scontro politica-giustizia? “Mettere mano al potere della magistratura”. Cioè abolire i processi ai politici. Tornando all’autorizzazione a procedere? Magari. Molto peggio: allargando a tutti i reati, anche commessi prima o fuori delle funzioni, l’“insindacabilità” (immunità totale) prevista dalla Costituzione per opinioni espresse e voti dati. Oggi se l’onorevole offende un cittadino e questi lo denuncia, il Parlamento lo dichiara insindacabile e il giudice deve fermarsi. In automatico. Se il giudice non è d’accordo, si rivolge alla Corte costituzionale col conflitto d’attribuzioni fra poteri dello Stato. Con l’autorizzazione a procedere, invece, la regola era che fosse concessa e l’eccezione che fosse negata nel caso estremo e rarissimo di “fumus persecutionis”. Ora Violante propone che il parlamentare sia insindacabile non solo per quel che dice e per come vota, ma anche se ruba, truffa, evade, stupra, ammazza, corrompe, mafieggia. Se poi il giudice pretende di processarlo lo stesso, ricorra alla Consulta. E questa per lui (e, si presume, per il Pd) sarebbe democrazia: modello Russia di Putin e Libia di Gheddafi. Così Berlusconi è salvo, ma pure Dell’Utri, Cosentino, Cuffaro e tutti gli altri onorevolissimi inquisiti e imputati. A quel punto anche Riina, Provenzano, Sandokan faranno un pensierino al Parlamento. Del resto, argomenta Violante, “la magistratura applica la legge, che spesso è confusa”. Prendete Berlusconi: quando Mills testimoniò, lui lesse e rilesse il Codice penale, ma tale era la confusione che non riuscì a sciogliere l’enigma: sarà reato o no corrompere un teste? Nel dubbio, lo corruppe. E ora, per una legge confusa, si ritrova imputato per corruzione. Ma si può? Meno male che c’è Violante che, ben più lucido del trafelato Al Fano e più efficiente del pasticcione Ghedini, ha sempre una soluzione per tutto. L’elettore del Pd potrebbe domandargli: scusa, compagno, sicuro che non c’importi di sapere se il presidente del Consiglio c’entra con la mafia e con le stragi, ha frodato il fisco, ha corrotto testimoni e giudici? Ma Violante ha una scorta impenetrabile: per difendersi dagli elettori.

mercoledì 25 novembre 2009

Indebolire lo stato nella lotta contro la mafia

La brava Liana Milella di Repubblica pubblica un articolo che fa rabbrividire. È un po' che anche Travaglio nel suo "passaparola" del lunedì pomeriggio lo ripete: Berlusconi vuole depenalizzare i propri reati presenti e futuri. E siccome a quanto pare è implicato in reati di mafia, forse addirittura è implicato nelle stragi del '92-'93, sta pensando di depenalizzare anche questi reati!! Se qualcuno non lo ferma l'Italia sarà difficilmente recuperabile. Non è fascismo quello che vediamo, è "semplicemente" mafia. Mi sembra che storicamente i fascisti siano riusciti a far poco contro la mafia, no? Be', siamo messi bene...

E Berlusconi prepara un'altra mossa
via il concorso esterno in reati di mafia

di LIANA MILELLA

Sono rimasti impigliati nel processo breve. Già sanno che non gli potrà servire per le future accuse di mafia. Ma ci stanno dentro e ormai devono andare avanti. Sono costretti a dirsi, tra di loro, come hanno fatto ieri sera durante la riunione della consulta del Pdl per la giustizia: "Dobbiamo rassegnarci a vedere questa legge bocciata dalla Consulta". Amara constatazione che farà andare su tutte le furie il Cavaliere. Ma tant'è. Troppe, e ormai irrimediabili, le contraddizioni. Cercheranno di metterci mano, ma la partita è difficile. Per questo si concentrano su altro, su quella che definiscono "una strategia complessiva" per salvare Berlusconi non solo dai processi di oggi, ma anche da quelli di domani".

È l'inizio di una battaglia lunga. Che parte con l'immunità parlamentare, che passa attraverso una legge interpretativa per fissare in modo certo le date di un reato e quindi della prescrizione, e finisce con una sortita che per la prima volta, nella sequenza delle 19 leggi ad personam per Berlusconi, previene un'incriminazione e un processo, quello (futuribile) per mafia.

Vogliono mettere mano al reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Quello per cui è sotto processo a Palermo Marcello Dell'Utri. Quello che all'inizio fu contestato a Giulio Andreotti. Quello che colpì (ma finì in un'assoluzione) il famoso giudice "ammazza sentenze" Corrado Carnevale. Quello che ha portato alla sbarra tanti politici nelle zone di mafia, camorra, 'ndrangheta. Un reato che in realtà non esiste, perché nel codice penale non c'è, ma che "vive" per le pronunce convergenti della Cassazione. Quindi un delitto assodato, consolidato, fermo nella storia del diritto.

Ma quel crimine adesso si avvia ad avere una macchia. Potrebbe essere utilizzato dalla procure di Caltanissetta, Palermo e Firenze per indagare il presidente del Consiglio. E questo è davvero troppo. Quindi i consiglieri giuridici del premier si stanno muovendo in anticipo per terremotarlo. Ragionano tra di loro, giusto in queste ore, su dove sia meglio aggredirlo, se incidere sui termini della prescrizione, oppure se "normare" ex novo il delitto, ma con paletti tali da renderne l'applicazione difficilissima.
È l'operazione più a rischio che abbiano mai tentato. Ma è quella che "davvero serve al presidente", come vanno dicendo tra loro. Che scatenerà un nuovo e duro conflitto con i magistrati. Ma con una possibile imputazione per mafia è una battaglia che vale la pena giocare. Assieme, e stavolta con il pieno appoggio di Fini, i piediellini si stanno per buttare nell'avventura dell'immunità parlamentare, del pieno ritorno all'articolo 68, come lo scrissero nel '48 i padri costituenti. È di ieri, alla Camera, la nuova proposta dell'ex presidente della Provincia di Roma Silvano Moffa, un altro finiano che entra in scena. Nelle caselli di tutti i deputati ha depositato tre pagine, due di relazione e una di testo, che rimette in pista il vecchio articolo della Carta. A ieri sera aveva già raccolto quasi 150 adesioni tra quelli del suo partito. La proposta numero 2954 ha preso il via. Prima di depositarla Moffa ha chiesto, come rivela lui stesso, "il via libera di Fini". Che glielo ha dato. Dimostrando un'apertura verso il Cavaliere e le sue difficoltà con la giustizia.

A questo si lavora dietro le quinte. Sulla scena invece resta il processo breve a cui ormai bisogna mettere la pezza giusta, "almeno per fargli passare la firma del capo dello Stato", come dicevano ieri sera alla consulta pdl. Per questo il Guardasigilli Angelino Alfano continua a svenarsi per negare i dati negativi dell'impatto e ad affermare la razionalità della legge che "è buona anche se serve in due casi a Berlusconi". I tecnici, ancora stasera e sempre alla consulta, cercheranno di rappezzarla per tagliare via le incostituzionalità più clamorose come l'anomala lista dei reati e la regola sull'entrata in vigore. Più reati inclusi, valida per tutti i processi. Ma l'impatto schizzerà ancora più in alto rispetto ai dati forniti dal Csm e, proprio per questo, Napolitano potrebbe bloccarla.

(25 novembre 2009)

martedì 24 novembre 2009

Presidente Napolitano ora basta!

L'editoriale di Travaglio di oggi del Fatto.

Quel grillino di Carlo Azeglio


di Marco Travaglio

Ahiahiahi, signora Longari, dove andremo a finire. Ora lo dice anche un presidente emerito della Repubblica, già governatore della Banca d’Italia, senatore a vita, che Giorgio Napolitano dovrebbe o almeno potrebbe smettere di firmare leggi vergogna. Parla un signore che alcune le rispedì al mittente, come la Gasparri-1 sulle tv, l’ordinamento giudiziario Castelli e la Pecorella (che aboliva l’appello del pm, ma non dell’imputato). Ma altre, come il decreto salva-Rete4 che consentiva a Berlusconi di evitare lo spegnimento della sua tv abusiva (previsto dalla sentenza della Consulta del 2002) e fu firmato alla vigilia del Natale 2003 dallo stesso beneficiario, le promulgò. Ma anche per lui c’è un limite a tutto. Anche all’indecenza. “Io – premette nell’intervista a Repubblica – non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale”. Poi però li dà eccome: “Il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va, non si firma”. L’articolo 74 della Costituzione dice proprio così: “Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”. Non precisa che, per essere respinta, debba essere “manifestamente incostituzionale”, come invece sostiene l’attuale inquilino del Quirinale. Il 23 luglio 2008, quando in meno di 24 ore promulgò la legge Alfano varata in 25 giorni da Camera e Senato per regalare l’impunità al premier, il Colle emise uno stravagante comunicato: “Punto di riferimento per la decisione del Capo dello Stato è stata la sentenza n. 24 del 2004 con cui la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 140 del 20/6/2003 (il lodo Schifani, ndr) che prevedeva la sospensione dei processi che investissero le alte cariche dello Stato. A un primo esame, quale compete al capo dello Stato in questa fase, il ddl approvato il 27 giugno dal Consiglio dei ministri è risultato corrispondere ai rilievi formulati in quella sentenza”. Ora sappiamo che non era vero niente: la Consulta ha bocciato l’Alfano proprio richiamandosi alla sentenza che bocciava la Schifani e che non diceva ciò che le faceva dire il Quirinale. Diversamente dal Colle, se n’erano accorti fin da subito 100 giuristi di chiara fama e quattro presidenti emeriti della Consulta in un appello che definiva l’Alfano “manifestamente incostituzionale”; ma anche comici come Grillo, politici come Di Pietro, direttori di giornale come Flores d’Arcais e Padellaro. Quest’ultimo espresse “profondo disagio” sull’Unità, beccandosi le rampogne del Pd, del Riformatorio, del Pompiere della Sera e di tutti i tromboni del “non tirare la giacchetta al capo dello Stato”. Baggianate che son tornate a risuonare quando Il Fatto Quotidiano ha inviato al Quirinale le firme di 80 mila lettori sotto l’appello a non firmare la vergogna mafiosa dello scudo fiscale. Risultato: l’ufficio stampa del Quirinale ci inviò una letterina piccata (come vi siete permessi?). Intanto il capo dello Stato redarguiva un cittadino che osava domandargli perché firmasse tutto: “Tanto, se non firmo una legge, me la rimandano uguale”. Ora Ciampi, noto piromane, invita a “resistere”: “Non si deve usare come argomento che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura, per lanciare un segnale forte a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all’opinione pubblica”. Anche perché, se una legge resta incostituzionale anche in seconda lettura, il presidente può comunque rifiutare di promulgarla e dimettersi. La Costituzione è un po’ più importante di una poltrona.

lunedì 23 novembre 2009

Silvio e le sue leggi

Cotinua l'inchiesta di D'Avanzo su Repubblica sulla vita giudiziaria del Premier.

Per Silvio Berlusconi 18 salvacondotti in 15 anni

di GIUSEPPE D'AVANZO

Per Silvio Berlusconi 18 salvacondotti in 15 anni

Silvio Berlussconi al processo Sme

ANCHE William Shakespeare può essere utile per comprendere come Berlusconi si difende da quell'umana, precaria "verità" che la magistratura ha il dovere di ordinare. In Misura per misura - "commedia oscura" che racconta di giustizia, potere, autorità, morale, dignità umana - il Lord vicario Angelo incontra Isabella che lo implora di salvare suo fratello dalla pena di morte (scena IV, II atto). Il Lord: "Egli non morrà, Isabella, se voi mi darete amore". Isabella: "Io ti denunzierò Angelo, bada! Firma subito il perdono di mio fratello, o ch'io proclamerò a voce spiegata, davanti a tutti, che specie di uomo sei". Il Lord: "E chi vuoi che ti creda, Isabella? Il mio nome (...) e il posto che occupo nello Stato avranno un peso maggiore di quello della tua accusa. Tutto quello che dirai avrà il sapore di calunnia (...) Dì pure in giro tutto quello che credi. La mia menzogna avrà più peso della tua verità".

Link all'articolo.

Gli altri due articoli della serie:

Primo
Secondo

L'impunito

Da Repubblica la lista degli aiutini a Berlusconi per rimanere impunito.

Ecco le leggi che hanno aiutato Berlusconi

Qui di seguito tutte le leggi approvate dal 2001 ad oggi dai governi di centrodestra che hanno prodotto benefici effetti per Berlusconi e le sue società.

1 Legge n. 367/2001. Rogatorie internazionali. Limita l'utilizzabilità delle prove acquisite attraverso una rogatoria. La nuova disciplina ha lo scopo di coprire i movimenti illeciti sui conti svizzeri effettuati da Cesare Previti e Renato Squillante, al centro del processo "Sme-Ariosto 1" (corruzione in atti giudiziari).

2 Legge n. 383/2001 (cosiddetta "Tremonti bis"). Abolizione dell'imposta su successioni e donazioni per grandi patrimoni. (Il governo dell'Ulivo l'aveva abolita per patrimoni fino a 350 milioni di lire).

3 Legge n.61/2001 (Riforma del diritto societario). Depenalizzazione del falso in bilancio. La nuova disciplina del falso in bilancio consente a Berlusconi di essere assolto perché "il fatto non è più previsto dalla legge come reato" nei processi "All Iberian 2" e "Sme-Ariosto2".

4 Legge 248/2002 (cosiddetta "legge Cirami sul legittimo sospetto"). Introduce il "legittimo sospetto" sull'imparzialità del giudice, quale causa di ricusazione e trasferimento del processo ("In ogni stato e grado del processo di merito, quando gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l'incolumità pubblica, o determinano motivi di legittimo sospetto, la Corte di cassazione, su richiesta motivata del procuratore generale presso la Corte di appello o del pubblico ministero presso il giudice che procede o dell'imputato, rimette il processo ad altro giudice"). La norma è sistematicamente invocata dagli avvocati di Berlusconi e Previti nei processi che li vedono imputati.

5 Decreto legge n. 282/2002 (cosiddetto "decreto salva-calcio"). Introduce una norma che consente alle società sportive (tra cui il Milan) di diluire le svalutazioni dei giocatori sui bilanci in un arco di dieci anni, con importanti benefici economici in termini fiscali.

6 Legge n. 289/2002 (Legge finanziaria 2003). Condono fiscale. A beneficiare del condono "tombale" anche le imprese del gruppo Mediaset.

7 Legge n.140/2003 (cosiddetto "Lodo Schifani"). E' il primo tentativo per rendere immune Silvio Berlusconi. Introduce ildivieto di sottomissione a processi delle cinque più altre cariche dello Stato (presidenti della Repubblica, della Corte Costituzionale, del Senato, della Camera, del Consiglio). La legge è dichiarata incostituzionale dalla sentenza della Consulta n. 13 del 2004.

8 Decreto-legge n.352/2003 (cosiddetto "Decreto-salva Rete 4"). Introduce una norma ad hoc per consentire a rete 4 di continuare a trasmettere in analogico.

9 Legge n.350/2003 (Finanziaria 2004). Legge 311/2004 (Finanziaria 2005). Nelle norme sul digitale terrestre, è introdotto un incentivo statale all'acquisto di decoder. A beneficiare in forma prevalente dell'incentivo è la società Solari. com, il principale distributore in Italia dei decoder digitali Amstrad del tipo "Mhp". La società controllata al 51 per cento da Paolo e Alessia Berlusconi.

10 Legge 112/2004 (cosiddetta "Legge Gasparri"). Riordino del sistema radiotelevisivo e delle comunicazioni. Introduce il Sistema integrato delle comunicazioni. Scriverà il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi: "Il sistema integrato delle comunicazioni (Sic) - assunto dalla legge in esame come base di riferimento per il calcolo dei ricavi dei singoli operatori di comunicazione - potrebbe consentire, a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il 20% di disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti".

11 Legge n.308/2004. Estensione del condono edilizio alle aree protette. Nella scia del condono edilizio introdotto dal decreto legge n. 269/2003, la nuova disciplina ammette le zone protette tra le aree condonabili. E quindi anche alle aree di Villa Certosa di proprietà della famiglia Berlusconi.

12 Legge n. 251/2005 (cosiddetta "ex Cirielli"). Introduce una riduzione dei termini di prescrizione. La norma consente l'estinzione per prescrizione dei reati di corruzione in atti giudiziari e falso in bilancio nei processi "Lodo Mondadori", "Lentini", "Diritti tv Mediaset".

13 Decreto legislativo n. 252 del 2005 (Testo unico della previdenza complementare). Nella scia della riforma della previdenza complementare, si inseriscono norme che favoriscono fiscalmente la previdenza integrativa individuale, a beneficio anche della società assicurative di proprietà della famiglia Berlusconi.

14 Legge 46/2006 (cosiddetta "legge Pecorella"). Introduce l'inappellabilità da parte del pubblico ministero per le sole sentenze di proscioglimento. La Corte Costituzionale la dichiara parzialmente incostituzionale con la sentenza n. 26 del 2007.

15 Legge n.124/2008 (cosiddetto "lodo Alfano"). Ripropone i contenuti del 2lodo Schifani". Sospende il processo penale per le alte cariche dello Stato. La nuova disciplina è emenata poco prima delle ultime udienze del processo per corruzione dell'avvocato inglese Davis Mills (testimone corrotto), in cui Berlusconi (corruttore) è coimputato. Mills sarà condannato in primo grado e in appello a quattro anni e sei mesi di carcere. La Consulta, sentenza n. 262 del 2009, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge per violazione degli articoli 3 e 138 della Costituzione.

16 Decreto legge n. 185/2008. Aumentata dal 10 al 20 per cento l'IVA sulla pay tv "Sky Italia", il principale competitore privato del gruppo Mediaset.

17 Aumento dal 10 al 20 per cento della quota di azione proprie che ogni società può acquistare e detenere in portafoglio. La disposizione è stata immediatamente utilizzata dalla Fininvest per aumentare il controllo su Mediaset.

18 Disegno di legge sul "processo breve". Per l'imputato incensurato, il processo non può durare più di sei anni (due anni per grado e due anni per il giudizio di legittimità). Una norma transitoria applica le nuove norme anche i processi di primo grado in corso. Berlusconi ne beneficerebbe nei processi per corruzione in atti giudiziari dell'avvocato David Mills e per reati societari nella compravendita di diritti tv Mediaset.

sabato 21 novembre 2009

La Mafia alla conquista dello stato

Dal Fatto Quotidiano di oggi un articolo di De Magistris sulle strategie stragiste della mafia e la sua presa del potere e dello stato.


23 Maggio 1992: con Capaci parte la stagione delle bombe


Primo atto dell’estate stragista legata alla mafia: Capaci. Il 23 maggio 1992, sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci e a pochi chilometri da Palermo, persero la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, anch’ella magistrato, e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Neanche due mesi dopo è la volta di via D’Amelio: il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo saltano in aria il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta, composta da Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Quasi un anno dopo è la volta della strage di via dei Georgofili. Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, a Firenze, viene fatta esplodere una Fiat Fiorino imbottita di esplosivo nei pressi della storica Torre dei Pulci, tra gli Uffizi e l’Arno, sede dell’Accademia dei Georgofili. Nell’esplosione perdono la vita 5 persone: Caterina Nencioni (50 giorni di vita), Nadia Nencioni (9 anni), Dario Capolicchio (22 anni), Angela Fiume (36 anni), Fabrizio Nencioni (39 anni); 48 persone ferite.

IN QUESTO MODO COSA NOSTRA È DIVENTATA STATO

La strage di via D’Amelio è politica, la trattativa va in porto e la mafia prende forza

di Luigi de Magistris

Nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio sono stati disintegrati i due principali simboli della lotta alla mafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, attraverso l’utilizzo di esplosivi bellici che hanno provocato un massacro barbaro e destabilizzato gli equilibri politici. Cosa Nostra dopo l’inaffidabilità “contrattuale” evidenziata dai tradizionali referenti politici con il mancato aggiustamento del maxiprocesso in Cassazione ha mutato strategia politica. La tenacia e le capacità del pool dei magistrati di Palermo ed il lavoro svolto da Falcone per togliere al giudice Carnevale e ai suoi amici il monopolio delle sentenze sul crimine organizzato, hanno sancito il fallimento del rapporto tra la corrente andreottiana, in particolare, e Cosa Nostra. L’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima segna la rottura definitiva del patto scellerato delle convergenze parallele tra pezzi della politica e la mafia. La strage di Capaci preclude il Quirinale a Giulio Andreotti (ritenuto mafioso con sentenza caduta in prescrizione
). Le mafie, Cosa Nostra e ‘ndrangheta in particolare, stanno consolidando sempre più una potenza economico-finanziaria soprattutto a seguito del controllo dei più imponenti traffici internazionali di droga. Non si vogliono più limitare ad avere singoli referenti politici che non sono più in grado di arginare magistratura e forze dell’ordine sempre più determinate nel contrasto al crimine organizzato. E’ il momento del salto di qualità. La mafia decide di farsi Stato e lo fa con due strumenti tipici dei conflitti: bombe e dialogo, stragi e trattativa.La strage di Capaci produce dirompenti effetti politici, mina le fondamenta della prima repubblica già colpita dagli albori di tangentopoli. La mafia cambia strategia politica ed inizia i primi contatti strutturali con esponenti della politica e delle istituzioni. Il comando del fronte antimafia viene, di fatto, preso da Paolo Borsellino, il quale indaga ed intravede il cuore del potere mafioso: i collegamenti con la politica, l’imprenditoria e le istituzioni (magistratura compresa). Non è un caso che dopo la strage di Capaci, in un emozionante dibattito organizzato da micromega, sostiene che, nella magistratura, forse, vanno trovati taluni dei responsabili della morte del suo caro amico e collega Giovanni Falcone. Credo che Borsellino abbia anche potuto intuire della trattativa e del ruolo che stavano avendo in quelle settimane settori deviati delle istituzioni. La strage di via D’Amelio è una strage politica, si può ipotizzare che ambienti non organici a Cosa Nostra siano stati determinanti nel movente, nella dinamica e nell’occultamento delle prove della strage. A questo punto la mafia ha inferto il colpo più duro che si potesse dare alla magistratura impegnata in prima linea, rassicurando i collusi e gettando nel panico tutti coloro i quali erano stati interlocutori politici di cosa nostra. La trattativa entra nel vivo e operano, con spregiudicatezza al limite dell’eversione, pezzi deviati delle istituzioni: all’interno dei servizi (il ruolo di Contrada al Sisde) ed esponenti di primo piano del Ros (trattativa infame, mancata perquisizione al covo di Riina e il favoreggiamento alla latitanza di Provenza-no). Cosa Nostra tratta attraverso il papello e continua con la strategia del terrore per mettere in ginocchio il paese. Le condizioni per la pax mafiosa sono dure ed ecco le bombe di Roma, Firenze, Milano. Il Paese è ad un bivio. Chi conduce la trattativa? Uomini in divisa con autonome velleità da nuovi piduisti, oppure braccia operative di ambienti politici che intendono aprire una nuova stagione nei rapporti con Cosa Nostra e favorirne la metamorfosi attraverso la mimetizzazione nello Stato e la “confusione” nel bilancio dell’economia legale? La trattativa va in porto. Cosa Nostra, dal 1993, interrompe il conflitto armato con le Istituzioni e comincia il suo fluido percorso di penetrazione nello Stato e nell’economia. La sua forza si consolida con il controllo della spesa pubblica e dei finanziamenti pubblici, con il condizionamento del mercato del lavoro ed il controllo del voto. La nascita di Forza Italia si colloca nel periodo in cui termina la strategia militare ed inizia la penetrazione in tutte le articolazioni istituzionali e si consolida la sua presenza nei meandri dei circuiti economico-finanziari. Il processo al Sen. Dell’Utri, ideologo di Forza Italia, con la sua condanna in primo grado a 9 anni per concorso in associazione mafiosa, è uno spaccato illuminante del baratro in cui siamo piombati. Il percorso della criminalità organizzata che diviene Stato viene anche favorito da pezzi deviati delle istituzioni che dovrebbero rappresentarle. Da settori opachi della magistratura i quali hanno operato con analogie sorprendenti tra quegli anni – penso anche alla lucida analisi del dr. Alfonso Sabella sulle pagine de Il Fatto Quotidiano a proposito delle prime indagini sulle stragi della procura di Caltanissetta e al ruolo e alla contestuale e successiva carriera del dr. Giovanni Tinebra – e le volte che indagini molto delicate sono penetrate nel cuore del sistema mafioso: come le inchieste Why not e Poseidone e le indagini della procura di Salerno sulla cd. nuova P2). Dalle deviazioni di pezzi della polizia giudiziaria: dalle trattative di servizi piduisti (come nel caso Cirillo) a Bruno Contrada, sino al ruolo inquietante che sembra caratterizzare esponenti del Ros. Denso di significati il racconto del giudice Sabella circa il ruolo – determinante nell’affossamento di inchieste e nella distruzione di servitori dello Stato – del Consiglio superiore della magistratura, con una continuità impressionante dal 1992 ad oggi simbolicamente rappresentata dalla presenza di Nicola Mancino. Vi è stato un ruolo criminale e scellerato di taluni esponenti delle forze dell’ordine mentre altre donne ed uomini della polizia, dei carabinieri e della guardia di finanza morivano e rischia(va)no la vita nel contrasto al crimine organizzato? Ogni qualvolta si è indagato in questa direzione ambienti occulti e criminali hanno operato per evitare che si raggiungesse la verità. Alcuni spunti. La trattativa che sarebbe stata condotta da uomini del Ros con Cosa Nostra mentre ancora si sentiva l’acre odore della cenere di magistrati e poliziotti assassinati. Le dichiarazioni di Giovanni Brusca su via D’Amelio. Le dichiarazioni del colonnello dei carabinieri Riccio nei processi in corso a Palermo sulla trattativa (dove si è fatto anche il nome, a proposito dei rapporti tra magistrati e mafia, del dr. Dolcino Favi, il procuratore generale che avocò l’inchiesta Why not proprio mentre ricostruivo i rapporti tra criminalità organizzata, massoneria deviata, pezzi della magistratura, della politica, dei servizi e delle istituzioni). La mancata perquisizione al covo di Riina ed il favoreggiamento alla latitanza di Provenzano. Il ruolo che sarebbe stato condotto da magistrati, politici e carabinieri per favorire la dissociazione dei boss con l’obiettivo di stroncare il pentitismo e rafforzarne la penetrazione di Cosa Nostra nel tessuto politico-istituzionale. I misteri che ruotano intorno alla morte del maresciallo Lombardo. Le informative del Ros che ritrovai nell’inchiesta Poseidone – acquisite dalla procura di Roma – che dovetti rivedere in profondità in quanto marcatamente superficiali (vi erano nomi di politici molto importanti, ambienti massonici e dei servizi, criminalità organizzata). L’indagine che un magistrato della procura di Catanzaro – poi indagato e perquisito dalla procura di Salerno per reati gravi – delegava al Ros (pur non essendoci alcun profilo di criminalità organizzata) che mirava a coinvolgermi in vicende per le quali ero totalmente estraneo. La creazione ad arte di tracce di reato, ossia il metodo della calunnia e del depistaggio. La delega che il dr. Favi dava al Ros nelle indagini della procura generale di Catanzaro che avocando l’inchiesta Why not ha prodotto una sua sostanziale disintegrazione. In questi giorni la procura di Crotone indaga un ufficiale dei carabinieri che doveva essere un mio collaboratore mentre pare abbia fatto altro, di penalmente rilevante. Le inchieste della procura di Salerno, proprio lì la chiave di volta per mettere insieme, in un filo criminale, vecchi e nuovi piduisti. Per questo tanti magistrati dovevano saltare, assassinati professionalmente. I legami con la politica: dal generale Mori consulente di Formigoni, ai figli del generale Subranni (tra Angelino Alfano e servizi). Il piduismo sta operando, tra servizi deviati e massonerie, tra mafia e politica. Va alzata la vigilanza democratica confidando in quei magistrati che ancora non hanno piegato la schiena. Noi non molleremo mai!

Un’immagine della strage di via D’Amelio (FOTO ANSA)

venerdì 20 novembre 2009

Riforma della giustizia a costo zero

Ecco la riforma della giustizia secondo Travaglio, dal sito Voglioscendere.

Velocizzare i tempi della giustizia si può
. E il bello è che lo si può fare anche a costo zero. Solo che nessuno, o quasi, né a destra, né a sinistra, vuole processi più rapidi: perché alla fine una giustizia che funziona finirebbe per essere efficace anche contro la devianza delle classi dirigenti. Nel caso però che, per un miracolo, il 70 per cento degli attuali parlamentari venisse sostituito da persone normali ecco la mia modesta proposta.

1) Ricordarsi che in Italia nel 1989 è stato introdotto il nuovo codice di procedura penale. Da allora sul modello di quanto accadeva nei sistemi anglosassoni, anche da noi la prova si forma in aula: il processo cioè è molto garantista, vengono ascoltati decine o centinaia di testimoni, tutte o quasi le indagini svolte dal pm sono ripetute. Questo è un bene per il cittadino imputato, che così riduce al massimo il rischio di essere condannato da innocente, ma ovviamente implica dei tempi di dibattimento molto lunghi. Il sistema insomma può funzionare solo se si fanno pochi processi. E infatti chi ha ideato il nostro codice prevedeva che se ne celebrassero pochissimi: come accade negli Usa dove l'85 per cento degli imputati, quando le prove sono forti, si dichiarano colpevoli e patteggiano la condanna ottenendo così degli sconti di pena. O in Inghilterra, dove addirittura solo il 10 per cento delle persone sotto inchiesta arriva al processo. In Italia invece la situazione è capovolta: in pochi patteggiano o accedono al rito abbreviato che garantisce uno sconto di un terzo sulla condanna.

2) Bisogna quindi incentivare i patteggiamenti. E l'unico modo per farlo è impedire che i processi si prescrivano quando ormai sono già arrivati davanti a un giudice. Infatti solo se ho la certezza che prima o poi verrà emessa contro di me una sentenza, troverò il patteggiamento vantaggioso. Perché è meglio essere condannato a pochi anni di pena oggi, piuttosto che scontarne molti domani.

3) Abbreviare i tempi della prescrizione, come è accaduto nel 2005, con la legge ex Cirielli, non serve. E non serve nemmeno stabilire che il processo, come vogliono fare oggi per salvare Silvio Berlusconi, dopo un po' va in fumo. Perché se io so che ho la possibilità di farla franca semplicemente aspettando che passi del tempo, non patteggerò mai . Andrò sempre in aula e cercherò di tirarla per le lunghe. E i dibattimenti diventeranno tantissimi. Ingolfando per sempre i tribunali.

4) Ricordarsi, però, che l'istituto della prescrizione ha un senso. Dopo un certo numero di anni lo Stato non ha più interesse a indagare su un reato commesso molto tempo prima. Perché è inutile lavorare per scoprire gli autori di un crimine che le stesse vittime non ricordano più.

5) Ricordarsi che invece non ha senso far prescrivere un reato quando ormai gli imputati sono stati individuati. In Italia ci sono processi che saltano in primo grado, in appello e addirittura in Cassazione. Tutto viene cancellato quando già polizia e magistrati hanno consumato molti soldi pubblici ed energie per indentificare i presunti colpevoli: un'assurdità. All'estero questo non accade. In Germania, per esempio, una volta che c'è stata la prima sentenza, la prescrizione è definitivamente interrotta. Negli Stati Uniti muore addirittura il giorno del rinvio a giudizio.

6) Smettere di far finta di adottare nuove soluzioni per velocizzare i processi. E introdurre un qualsiasi codice penale o di procedura penale di qualsiasi paese democratico. Magari prendendo quello Svizzero che, rispetto agli altri, ha un pregio. È già scritto in italiano.

Silvietto nero

Il Corrierone

Dal sito Voglioscendere
(da l'Espresso in edicola)

Galli da arrampicata

di Marco Travaglio

Il 2 novembre, ricorrenza dei Defunti, il professor Ernesto Galli della Loggia si scagliava sul Corriere della Sera contro Michele Placido, reo di aver insultato a “Che tempo che fa” i bersaglieri piemontesi scesi al Sud nel 1860, e contro Fabio Fazio che non li aveva difesi a dovere. “Quel che è grave - tuonava il Galli nonchè della Loggia - mi verrebbe da scrivere vergognoso…, è che a questa ignoranza presti i suoi mezzi il servizio pubblico… Con presentatori non saprei se più ignoranti o più timorosi di opporsi ai luoghi comuni accreditati”. Sante parole, è ora di finirla.

Il 15 novembre però un editorialista dal doppio cognome si arrampica sugli specchi di Via Solferino pur di non chiamare i processi a Berlusconi col loro nome. Il free climber della parola definisce i fondi neri Mediaset e la corruzione di Mills “corto circuito politica-giustizia”, “impasse politica paralizzante” e “vicolo cieco”. Chiamarli processi per frode fiscale e corruzione gli pare brutto. Né lo sfiora l’idea che, se Mills non fosse stato corrotto e Mediaset non avesse accumulato milioni di euro in società off-shore, quei processi non sarebbero mai nati. Infatti auspica che “Bersani e il Pd si muovano per disinnescare il corto circuito, contribuendo a una seria riforma della giustizia”. Come se una seria riforma della giustizia potesse abolire due processi per reati comuni. Lo spericolato commentatore li attribuisce non alle seriali illegalità del premier, ma a una sua fantomatica “vulnerabilità giudiziaria”, insomma a un evento atmosferico, che trasformerebbe la magistratura in “attore di fatto politico” con cui è impossibile “un accordo” (Previti sì che li sapeva trovare gli accordi con i giudici: estero su estero).

In un empito di lucidità, l’ardito editorialista si auto-obietta che Berlusconi potrebbe “mettersi da parte facendosi processare”. Ma è un attimo: si auto-risponde subito che “l’obiezione tradisce una straordinaria ingenuità sul modo in cui funzionano le cose nelle società reali: pensare che un capo politico di straordinario successo si faccia mettere fuori gioco da un tribunale senza combinare sfracelli” è “una favola”. Chissà in quale “società reale” vive costui. In quella d’Israele il premier di straordinario successo Olmert, indagato per finanziamento illecito, s’è dimesso e, anziché combinare sfracelli, s’è fatto processare. Idem decine di popolarissimi politici Usa, da Nixon al governatore di New York Eliot Spitzer, eletto dal popolo ma subito dimissionario per un sexy-scandalo. In Francia De Villepin, indagato nel caso Claistream, ha rinunciato all’Eliseo. Sarà che non conoscevano Galli della Loggia. Già, perché il nostro acrobatico editorialista è proprio lui. Ora, è vero che si occupa di faccende molto meno attuali dei bersaglieri del 1860. Ma non vorremmo che qualcuno definisse grave - verrebbe da scrivere vergognoso - il suo editoriale e lui “ignorante o timoroso di opporsi ai luoghi comuni accreditati”. Anche perché l’una non esclude l’altra.

Morire in carcere

Dal sito di Grillo una lettera di un padre che ha perso il figlio in un modo che in un paese civile non deve avvenire. Siamo un paese retrogrado. La Civilità può essere negata in Italia.



La lettera del padre di Aldo Bianzino morto in carcere è una riflessione sullo Stato. Cos'è lo Stato? Cosa significa "Stato" per ognuno di noi, nella nostra vita quotidiana? Io me lo sento addosso ormai come un vecchio cappotto, un impermeabile liso con le tasche bucate. Un concetto astratto, libresco, lontano. Un marchingegno di cui si sono perse le istruzioni d'uso. La parola "Stato" è una coperta sempre più corta che lascia scoperti i peggiori istinti del Paese.

"Gentilissimo Beppe Grillo,
Il caso recente di Stefano Cucchi e, quello ancor più recente, di Giuseppe Saladino a Parma (Il Manifesto dell'11 novembre), hanno richiamato l'attenzione sui casi di Marcello Lanzi e di mio figlio Aldo Bianzino, anch'essi morti in carcere in circostanze tutte da chiarire (chissà quando e soprattutto se). Ora, volendo esaminare il caso di Aldo, bisogna precisare alcune cose.
Il P.M. dott. Giuseppe Petrazzini, che aveva fatto arrestare Aldo e la sua compagna la sera del venerdì 12 ottobre 2007, è lo stesso magistrato che ha in carico le indagini sul suo successivo decesso avvenuto nella notte tra il 13 e il 14, Aldo era stato messo in cella di isolamento nel carcere "Capanne" di Perugia. Era stato visto da un medico, che l'aveva riscontrato sano e da un avvocato d'ufficio, col quale aveva parlato verso le 17 di sabato. Non sono disponibili registrazioni di telecamere su ciò che è avvenuto successivamente, né, dopo il decesso, la cella risulta sia stata isolata e sigillata, né che siano stati chiamati per un intervento i reparti speciali di indagine dei Carabinieri. A detta degli altri detenuti del reparto, durante la notte Aldo aveva suonato più volte il campanello d'allarme ed aveva invocato l'assistenza di un medico, sentendosi anche, pare, mandare al diavolo dall'assistente del corridoio, la guardia carceraria Gian Luca Cantore, attualmente indagato. Fatto sta che verso le 8 del mattino di domenica le due dottoresse di turno, arrivate a svolgere il loro turno di servizio, trovarono il corpo di Aldo, con indosso solo un indumento intimo (e siamo a metà ottobre, non ad agosto). I suoi vestiti si trovavano nella cella, accuratamente ripiegati (cosa che Aldo, in 44 anni, non aveva fatto mai). Le due dottoresse provarono di tutto per rianimarlo, ma alla fine dovettero desistere: Aldo era morto. L'autopsia, svoltasi il giorno dopo, diede risultati controversi: si parlò prima di due vertebre poi di due costole, rotte, poi tutto fu negato. Di certo ci fu un'emorragia celebrale e un'altra di 200 ml. al fegato. Segni esterni di percosse o violenze, nessuno (i professionisti sanno come si fa C.I.A. insegna). Ora, l'emorragia cerebrale è stata imputata ad un aneurisma, quella epatica ad un maldestro tentativo di respirazione artificiale, che le due dottoresse respingono nel modo più assoluto (e ci mancherebbe, si tratta di medici, mica di personale non qualificato), ma nessun altro ha affermato d'aver fatto tentativi in tal senso. Ora, può accadere quando si è nelle mani delle "forze dell'ordine", lo abbiamo purtroppo visto in molti casi, basterebbe pensare al G8 di Genova, e magari al colloquio recentemente intercettato nel carcere di Teramo (i detenuti non si massacrano in reparto, ma sotto!). L'emorragia cerebrale potrebbe benissimo essere stata la conseguenza di uno stress per colpi ricevuti in altre parti del corpo, immaginatevi l'angoscia e il terrore di una persona in quelle condizioni. In ogni caso credo proprio di poter dire in tutta coscienza che Aldo è stato assassinato in un ambiente violento e omertoso, del quale non si riesce neppure a sapere i nomi del personale presente quella notte nel carcere. Quanto al dott. Petrazzini, mi sembra che dignità gli imporrebbe di passare ad altri il suo incarico, date le omissioni, invece di insistere come sta facendo, per ottenere l'archiviazione del caso.
Ma i veri assassini sono coloro che hanno voluto ed ottenuto una legge sulle "droghe" come l'attuale, persone che nella loro profonda ignoranza, considerano in modo globale, senza distinzioni. Una legge fascista e clericale, da Stato etico e peggio, da Stato che manda in galera (con le conseguenze che si sono viste) il poveraccio che coltiva per uso personale qualche pianta di cannabis, mentre, se la droga (quella pesante, cocaina o altre sostanze) circola nei festini dei potenti, non succede nulla. Vorrei dire comunque che un Paese che considera delitto la detenzione e l'uso di droghe, magari solo marijuana, o l'essere "clandestino", pur non avendo colpe e quasi sempre per sfuggire a condizioni di vita impossibili, uno Stato che avendo preso in custodia delle persone, è responsabile a tutti gli effetti delle loro vite e della loro salute, uno Stato che non riconosce come reato gravissimo la tortura, uno Stato che difende i forti e i potenti e non i deboli, è uno Stato che non può ritenersi civile e non può chiedere ai suoi cittadini (o sudditi?) di amare la propria patria." In fede Giuseppe Bianzino, Vercelli, 16 novembre 2009

Mister Pesc all'italiana

Per fortuna che D'Alema non corre più per la carica di ministro degli esteri per l'Europa. Ma lo vedreste voi un politico italiano abituato alla corruzione italiana, con a carico una inchiesta sulla scalata abusiva ad una banca (Unipol), che non viene processato perché ha lo scudo del parlamento europeo, sedersi su una poltrona così prestigiosa? Ma ci credeva veramente? Ma allora è vero che il nostro parlamento non si è ancora accorto che l'Italia è sputtanata defnitivamente all'estero!

Tiriamoci su il morale con l'editoriale di Marco Travaglio sul fatto di oggi.

A Berlusco’ ricordati degli amici

di Marco Travaglio

Ha fatto bene l’astuto D’Alema a fidarsi della parola di Berlusconi, che si era solennemente impegnato a sostenerlo ventre a terra per la nomina a “Mister Pesc”, cioè a ministro degli Esteri d’Europa. Infatti è passata la baronessa laburista inglese Catherine Ashton. Si consuma così l’ennesimo trionfo politico di Max che – fra la Bicamerale, il minigoverno con Cossiga & Mastella, le poltrone sfumate di presidente della Camera e della Repubblica – ha collezionato più fiaschi di una cantina sociale. Ma continua a passare per un tipo “molto intelligente”, a prescindere. Non ha ancora capito che l’inciucio all’italiana funziona sempre a senso unico: è un “do ut des” dove si notano soltanto i do della sinistra, e mai i des del Cavaliere. Infatti il centrosinistra ha resuscitato tre volte l’ometto morente, il quale invece ha sterminato una dozzina di leader del centrosinistra. E quello che non è riuscito a sconfiggere, Prodi, glielo ha gentilmente fulminato il centrosinistra due volte su due. Ora, per somma beffa, il Pdl si accinge a ritirare la ghedinata del processo breve, anzi morto, per sostituirla con il geniale disegno di legge Finocchiaro-Calvi, presentato e fortunatamente non approvato alcuni anni fa, che sortisce lo stesso risultato: ammazza sia il processo Mills sia il processo Mediaset. Invertendo l’ordine degli schieramenti, il prodotto non cambia. In fondo a che altro serve il centrosinistra in Italia se non a salvare Berlusconi? Chi scriverà la storia di questi 15 anni non potrà prescindere dalla gag di Corrado Guzzanti nei panni di Rutelli con la voce di Sordi: “A Berlusco’, so’ anni che te portamo l’acqua co le orecchie, che ce voi pure ‘a scorzetta de limone? A Berlusco’, ricordate degli amici, ricordate de chi t’ha voluto bbene”. Archiviato Berlinguer come un nonnetto un po’ rinco a causa del suo patologico senso dello Stato, il centrosinistra ha assorbito tutto il peggio delle culture anti-statali e anti-legalitarie dei gruppettari anni 60 e 70: le stesse che avevano portato naturalmente i vari Sofri, Boato, Liguori, Marcenaro, Panella, Briglia dalla sinistra extraparlamentare a Craxi e molti di essi da Craxi a Berlusconi (non a caso, Boato era relatore per la giustizia in Bicamerale, e andava d’amore e d’accordo con Gelli e con Previti). Poi le ha mescolate con il giustificazionismo piagnone dei cattocomunisti e con l’antica avversione dei cattolici integralisti e papalini allo Stato risorgimentale. Il nemico è sempre quello: la legge e chi la fa rispettare. Ieri, ad Annozero, Vauro ha giustapposto le sparate contro la giustizia italiana di Cesare Battisti e di Silvio Berlusconi: assolutamente intercambiabili. “In Italia la giustizia non è al di sopra delle parti e l’opposizione vuole vincere le elezioni tramite la magistratura” (Battisti, Il Giornale, 5-11-2009). “Vedo una democrazia in libertà vigilata sotto il tacco dei giudici politicizzati” (Berlusconi alla Confesercenti, 25-6-2008). “Consegnarmi alla giustizia significherebbe consegnarmi nelle mani dei miei avversari politici” (Battisti, Agi, 10-11-2009). “Sono oggetto di un’inaudita catena di inchieste giudiziarie segnate dal più ostile e prevenuto accanimento” (Berlusconi, 29-1-2003). “Riaffermo la mia condizione di perseguitato politico” (Battisti, 30-1-2009). “Sono l’uomo politico più perseguitato” (Berlusconi, 10-10-2009). Uno è un delinquente comune, condannato per quattro omicidi e coccolato da mezza sinistra europea. L’altro è il premier italiano e leader del centrodestra. Parlano la stessa lingua. Solo che Berlusconi ha chiesto l’estradizione di Battisti per sbatterlo in galera. E Battisti non ha mai pensato di usare le frasi di Berlusconi per convincere i giudici brasiliani che i loro colleghi italiani sono “matti, mentalmente disturbati, e antropologicamente diversi dal resto della razza umana”. Uomo di poca fede.

Il perseguitato politico numero 1

Un altro bel articolo di D'avanzo che potete leggere QUA

Il Cavaliere e la favola dei 106 processi

di GIUSEPPE D'AVANZO

SI dice: il processo sia "breve" e se questa rapidità cancella i processi di Silvio Berlusconi sia benvenuta perché contro quel poveruomo, dopo che ha scelto la politica (1994), si è scatenato un "accanimento giudiziario" con centinaia di processi.

Al fondo della diciottesima legge ad personam, favorevole al capo del governo c'è soltanto uno schema comunicativo, fantasioso, perché privo di ogni connessione con la realtà. È indiscutibile che un giudizio debba avere una ragionevole durata per non diventare giustizia negata (per l'imputato innocente, per la vittima del reato). "Processo breve", però, è soltanto un'efficace formula di marketing politico-commerciale. Nulla di più. Per credere che dia davvero dinamismo ai dibattimenti, bisogna dimenticare che le nuove regole (durata di sei anni o morte del processo) sono un imbroglio, se non si migliorano prima codice, procedura, organizzazione giudiziaria. Sono una rovina per la credibilità del "sistema Italia", se definiscono "non gravi" i reati economici come la corruzione. Con il tempo, la ragione privatissima del disegno di legge è diventata limpida anche per i creduloni, e i corifei del sovrano ora ammettono in pubblico che la catastrofica riforma è stata pensata unicamente per liberare Berlusconi dai suoi personali grattacapi giudiziari. L'effrazione di ogni condizione generale e astratta della legge deve essere sostenuta - per conformare la mente del "pubblico" - da un secondo soundbite, quella formuletta breve e convincente che, come una filastrocca, deve essere recitata in tv, secondo gli esperti, al ritmo di 6,5 sillabe al secondo, in non più di 12/15 secondi. Diffusa, ripetuta e disseminata dai guardiani vespi e minzolini dei flussi di comunicazione, suona così: Silvio Berlusconi ha il diritto di proteggersi - sì, anche con una legge ad personam - perché ha dovuto subire centinaia di processi dopo la sua "discesa in campo", spia di un protagonismo abusivo e tutto politico della magistratura che indebolisce la democrazia italiana.
[...]
Tutti i processi che Berlusconi ha affrontato e deve ancora affrontare nascono per caso non per un deliberato proposito. Un finanziere che confessa, un giovane avvocato che si libera del peso che incupisce i suoi giorni consentono di mettere insieme indagine dopo indagine, ineluttabili per l'obbligatorietà dell'azione penale, una verità che il capo del governo non potrà mai ammettere: il suo successo è stato costruito con l'evasione fiscale, i bilanci truccati, la corruzione della politica, della Guardia di Finanza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa. Per Berlusconi, la banalizzazione della sua storia giudiziaria, che egli traduce e confonde in guerra alla (o della) magistratura, non è il conflitto della politica contro l'esercizio abusivo del potere giudiziario, ma il disperato e personale tentativo di cancellare per sempre le tracce del passato e di un metodo inconfessabile. Con quali tecniche Berlusconi ha combattuto, e ancora affronterà, questa contesa è un'altra storia.

giovedì 19 novembre 2009

NO.B.DAY


Dal Fatto di oggi:

Superata quota 290mila iscritti al gruppo su facebook

Superata quota 290 mila. In tanti si sono iscritti su Facebook al gruppo “Una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni di Berlusconi”. Appuntamento il 5 dicembre, ore 14, a Piazza della Repubblica, Roma. Un successo senza precedenti, con un coinvolgimento sempre maggiore della Rete: il tam tam continua, come dimostra anche il “muro” della pagina, continuamente aggiornato e scritto dagli utenti. “Voglio un altro futuro per l’Italia, un paese dove le persone lottano per il bene pubblico e non per l’interesse personale”; “lo ribadisco: crolla lui... cascano tutti e casca anche un modo di far politica becero e mistificatore”; “Non è da molto che frequento qesto gruppo ma già mi sento più orgoglioso di essere italiano”. Eppoi “NBD è un bel modo di far capire che oltre alle patinate vetrinette televisive esiste qualcosa di più. Esistono persone giovani e meno giovani, che credono nel futuro, che sperano in un altro mondo, possibile anche qui in Italia, che si augurano di potersi svegliare in un paese non più succube del berlusconismo”. E ancora, e ancora.

Altro articolo dal Fatto:

“El Griso”: saremo tantissimi in piazza per farlo processare

IL PORTAVOCE DEL NO.B.DAY

di Federico Mello

Giuseppe Grisorio parla con accento barese, ha la battuta pronta e le idee molto chiare. E’ il portavoce del No Berlusconi Day, l’incredibile mobilitazione nata in Rete per chiedere le dimissioni di Berlusconi. Per me, ci dice “Berlusconi rappresenta la parte marcia di questo paese. Concepisce la res publica in modo proprietario e, soprattutto, pensa che il voto popolare corrisponda a un’assoluzione”. Ma per Giuseppe sbaglia chi dice che odiano Berlusconi. “Non è vero: noi non odiamo nessuno. Ma pretendiamo che risponda alle pesanti accuse che gli vengono rivolte in tribunale, come tutti i cittadini, e non in televisione”. 26 anni, Giuseppe è di Cassano delle Murge, ma vive a Bari. Ha tanti soprannomi: Peppino, Peppe, “el Griso” dal suffisso del suo cognome. Fa l’avvocato praticante e frequenta la scuola di specializzazione per le professioni legali che serve per intraprendere la pr
ofessione di magistrato. “Ho cominciato proprio oggi [ieri, ndr] il secondo anno. Non so se farò mai il magistrato. So che al corso ho la frequenza obbligatoria ed è un problema tutto il lavoro da fare per il NoBDay”. La prima manifestazione alla quale ha partecipato è “quella contro l’articolo 18 al Circo Massimo, avevo diciott’anni”. Poi qualche esperienza da “manovale con un po’ di testa” per la campagna elettorale di Vendola e la gioia per l’elezione di Nichi alla presidenza. “Lo voterei ancora” ci dice. Ma ora è il momento di pensare al 5 dicembre. “Il popolo ‘viola’ del NoBDay vuole essere il collante di persone che aderiscono a titolo personale. Anche per gli esponenti politici, avremmo preferito adesioni individuali”. Mentre i partiti litigano sulle adesioni, infatti, Giuseppe mette le carte in tavola: “Il comitato promotore l’ha detto fin dall’inizio
: non vogliamo bandiere di partito. L’unica bandiera della manifestazione è il tricolore o il drappo viola, le eventuali bandiere di partito che dovessero essere presenti, andranno in fondo al corteo. E sul palco non parleranno esponenti politici, ma persone comun
i, a cominciare dai precari dell’Ilva e dai lavoratori di Eutelia”. Dopo, non un concerto, ma musica e arti varie: “Abbiamo un appello firmato da 4000 artisti. Si stanno occupando loro delle coreografie del corteo e dell’allestimento palco. E cureranno gli spettacoli alla fine della giornata”. Agli esponenti Pd che cercano di capire cosa succederà in piazza risponde. “Per una volta sarebbe bello che i politici si fidassero dei cittadini, quante volte loro ci hanno chiesto di fidarci di loro?”. Al Pd che teme attacchi al presidente Napolitano, risponde sempre d’istinto, con inconfondibile accento pugliese “Che cosa? Se Napolitano viene gli diamo il posto d’onore”.

mercoledì 18 novembre 2009

Le istituzioni forti

L'Italia corrotta

Segnalo un articolo di D'Avanzo su Repubblica che non pubblico per intero per problemi di Copyright. Chi vuole leggerlo lo trova QUA.

La corruzione costa 25mila euro a testa ma in Italia non è un reato grave

di GIUSEPPE D'AVANZO

Paese meraviglioso l'Italia. Quando non si acceca da solo, chiude gli occhi. Il frastuono politico assorda e il rumore mediatico lascia nascosta qualche verità e - in un canto - fatti che, al contrario, meritano molta luce e l'attenzione dell'opinione pubblica. La disciplina del "processo breve" ce l'abbiamo sotto gli occhi e vale la pena di farci i conti, senza lasciarci distrarre da ingenui e imbonitori. Qualche punto fermo. Il disegno di legge pro divo Berluscone non rende i processi rapidi (è una cristallina scemenza). Quel provvedimento fabbrica una prescrizione svelta e improvvisa come un fulmine che uccide. Solitamente, a fronte dei reati più gravi, uno Stato responsabile - e leale con i suoi cittadini - si concede un tempo adeguato per accertare il reato e punire i responsabili (la prescrizione non è altro). Più grave è il reato, più problematico e laborioso il suo accertamento, maggiore è il tempo che lo Stato si riconosce prima di considerare estinto il delitto. Le regole della prescrizione svelta e assassina (dei processi) capovolgono questo criterio di efficienza e buon senso.

Più grave è il reato, minore è il tempo per giudicarlo. I magistrati avranno tutto il tempo per processare uno scippatore e tempi contingentati per venire a capo, per dire, di abuso d'ufficio, frodi comunitarie, frodi fiscali, bancarotta preferenziale, truffa semplice o aggravata: quel mascalzone di Bernard Madoff, che ha trafugato 50 miliardi di dollari ai suoi investitori, ne gioirebbe maledicendo di non essere nato italiano.

Ora il disegno di legge potrà essere corretto e limato ma - statene certi - non potrà mai lasciare per strada la corruzione propria e impropria perché Silvio Berlusconi, imputato di corruzione in atti giudiziari e con il corrotto già condannato in appello (David Mills), ha bisogno di quel "salvacondotto" per levarsi dai guai. Un primo risultato si può allora scolpire nella pietra: l'Italia è il solo Paese dell'Occidente che considera la corruzione un reato non grave e dunque, se le parole e le intenzioni hanno un senso, una pratica penalmente lieve, socialmente risibile, economicamente tranquilla. Nessuno pare chiedersi se ce lo possiamo permettere; quali ne saranno i frutti; quali i costi economici e immateriali; quale il futuro di un Paese dove "corrotto" e "corruttore" sono considerati attori sociali infinitamente meno pericolosi di "scippatore", "immigrato clandestino", "automobilista distratto", e la corruzione così inoffensiva da meritare una definitiva depenalizzazione o una permanente amnistia.

[...]


Secondo Trasparency International, un organismo "no profit" che studia il fenomeno della corruzione a livello globale, il 44 per cento degli italiani crede che la corruzione "incide in modo significativo" sulla sua vita personale e familiare; per il 92 per cento nel sistema economico; per il 95 nella vita politica; per il 85 sulla cultura e i valori della società. Più del 70 per cento della società ritiene che nei prossimi anni la corruzione sia destinata a non diminuire.

Il disastroso quadro nazionale è noto agli organismi internazionali. È di questi giorni il rapporto del Consiglio d'Europa sulla corruzione in Italia. Il Consiglio rileva che in Italia i casi di malversazione sono in aumento; che le condanne sono diminuite; i processi non si concludono per le tattiche dilatorie che ritardano i dibattimenti e favoriscono la prescrizione; la normativa è disorganica; la pubblica amministrazione ha una discrezionalità che confina con l'arbitrarietà. Il gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d'Europa (Greco) ha inviato all'Italia 22 raccomandazioni di stampo amministrativo (introduzione di standard etici, per dire), procedurali (per evitare l'interruzione dei processi) normative (nuove figure di reato).

La risposta alle preoccupazioni della comunità internazionale - che appena al G8 dell'Aquila ha sottoscritto il dodecalogo dell'Ocse per un global legal standard (peraltro fortemente voluto da Tremonti) - è ora nel disegno di legge della "prescrizione svelta". La corruzione è trascurabile. Non è il piombo sulle ali dell'economia italiana. Non è la tossina che avvelena il metabolismo della società italiana. Non è il muro che ci impedisce di scorgere il futuro. È un grattacapo del capo del governo. Bisogna eliminarlo anche al prezzo di non avere più un futuro per l'Italia intera. Dove sono in questo piano inclinato "gli uomini del fare" che credono nella loro impresa, nel merito, nel mercato, nella concorrenza? E perché tacciono?

martedì 17 novembre 2009

Forza Daniele

Di seguito l'editoriale di Padellaro sul Fatto e un'intervista ad Ignazio Marino di Alessandro Ferrucci (sempre sul Fatto) sulla situazione della ricerca in Italia.

Dal Fatto di oggi:

Il 9 febbraio 2008 i genitori di Daniele, che oggi ha quasi tre anni, hanno scoperto che loro figlio era malato. Affetto da un morbo rarissimo: l’unico caso al mondo di una particolare forma di mutazione che causa la distrofia muscolare di Duchenne. In Italia 5 mila persone combattono contro questa malattia
e la sua forma meno violenta, la distrofia di Becker. I muscoli sono attaccati progressivamente: si cammina con sempre maggiore difficoltà finché – uno ad uno – vengono intaccati gli organismi vitali. L’unico modo per trovare una cura, è un progetto di ricerca finalizzato (anche) alla malattia di Daniele. E visto che in Italia non c’è, i genitori di Daniele lavorano all’unica soluzione: costruire quel progetto, raggiungendo i 250 mila euro necessari con una colletta. In Italia una persona ogni duemila abitanti soffre di una malattia rara: sono 435 le patologie ufficialmente censite, contro le circa 8000 esistenti.


Daniele e la politica distratta

di Antonio Padellaro

Naturalmente, la speranza di tutti è che il piccolo Daniele Amanti guarisca presto. Che la sua malattia si riveli meno grave perché, chissà, i medici forse si sono sbagliati. Oppure che si trovino i soldi per finanziare la ricerca sulle malattie rare e che il farmaco per curare quella particolare distrofia venga approntato in tempo. Ma si può vivere di speranze e di miracoli? Si può affidare tutto alla disperata lotta dei genitori? Alle collette improvvisate su Internet? Alla solidarietà delle persone che hanno risposto generosamente dopo aver letto il racconto di Luca Telese sul Fatto di domenica? Non che non si può se esiste uno Stato; e se questo Stato si prendesse cura dei cittadini finanziando sul serio la ricerca e non destinando ai laboratori poche briciole: meno della metà della Francia, un quarto della Svezia. Non si tratta di prendersela con questo o con quel governo, ma di accusare una mentalità distorta. Quella che per dare i soldi all’Alitalia, taglia le già scarsissime risorse.
Perciò la vicenda di Daniele spiega come peggio non si potrebbe la frase del professor Ignazio Marino al nostro giornale: “L’Italia sta svendendo il suo futuro”. Ciò che accade a Daniele riguarda anche i giornalisti. Sul Giornale un tale scrive che il nostro titolo sul bimbo da salvare è stato un modo per parlare male di Berlusconi. Il tale si tranquillizzi: a squalificare questo governo basta che a parlarne bene sia gente come lui. La domanda seria è un’altra e riguarda l’enorme spazio che l’informazione dedica all’incessante chiacchiericcio della politica, affidando i tanti casi Daniele ai ritagli di cronaca. Troppa attenzione al paese virtuale e troppo poca al paese reale significa distogliere la politica, e i politici, dalle loro vere responsabilità e sminuirne il ruolo. Essi dovrebbero con molta più attenzione occuparsi dei ragazzi ammazzati di botte in qualche cella. O dei piccoli malati abbandonati a se stessi. E non assillarci con gli insopportabili bla bla per strappare un titolo sui giornali o una battutina nei tg.



(FOTO ANSA)

STIAMO SVENDENDO IL FUTURO

Ignazio Marino: “La storia del piccolo Daniele Amanti è uno scempio e rappresenta bene dove va l’Italia”

di Alessandro Ferrucci

“Cosa ho pensato appena letto l’articolo su Daniele? Beh, che è uno scempio”. Tono basso, parole scandite, concetti duri. Ignazio Marino, una vita da luminare dei trapianti e ora, anche senatore del Pd, non è una persona portata all’eccesso: ma la vicenda del piccolo malato di distrofia l’ha colpito, molto. “Vede, alcuni pensano che i soldi per la ricerca siano riservati a persone bizzarre che giocano con delle provette. Insomma, fondi buttati. Poi, però...” Si fanno i conti con la realtà... “Esatto. Ed è emblematica proprio la vicenda apparsa domenica sul vostro giornale”. Cosa in particolare? “Vede, ora si parla di cellule staminali, di trapianti, o di tutta l’altra medicina definita moderna: queste tecniche nascono dalla ricerca. Quella che noi facciamo con grande difficoltà e in pochi casi”. Un esempio? “L’università di Pavia sta portando avanti un progetto dedicato a malattie simili a quella di Daniele. Lì hanno realizzato dello scoperte straordinarie iniettando delle staminali a cani affetti da distrofia: ebbene, da claudicanti, hanno ricominciato a camminare. Però, non hanno soldi per andare avanti”. E oltre a Pavia? “Altri esempi? Basta guardare all’Europa: nel 2000 abbiamo firmato un accordo con tutti gli altri paesi per portare i finanziamenti a ‘ricerca, innovazione e sviluppo’ al 3 per cento del Pil (prodotto interno lordo, ndr) entro il 2010. Sa cosa è successo?” È andata peggio? “Molto peggio: allora eravamo all’ 1,2 per cento; ora, con l’ultima finanziaria del governo Berlusconi, siamo passati allo 0,9 per cento: ultimi nel Continente insieme a Grecia e Portogallo”. Mentre gli altri paesi? “La Francia è al 2,2; la Germania al 2,5; Finlandia al 3,5 e Svezia al 4,2. Ah! Non dimentichiamo gli Stati Uniti: loro sono al 2,8. E la crisi c’è per tutti”. Per quanto riguarda i ricercatori, come siamo messi? “Le offro altri numeri: l’Italia ne ha circa 83 mila; la Francia è a 205 mila, la Germania a 280 mila, gli Usa quasi un milione e 400 mi-la”. Bene, allora tocchiamo l’argomento business: la ricerca porta guadagno, o è solo un costo? “Allora prendiamo la Finlandia, un paese grande quasi come il nostro, ma con una popolazione di circa 5 milioni di persone: lì hanno investito e, grazie a una serie di brevetti, sono riusciti a costruire la più grande azienda mondiale di telefonia cellulare. Le basta?”. Quindi, con solo 0,9 per cento di risorse impiegate, anche il prossimo futuro non sarà positivo... “No, per niente. Ogni cinque anni l’Europa lancia un bando per la ricerca, il ‘Programma quadro’, dove vengono stanziati 52 miliardi di euro, da assegnare a vari progetti di ricerca. In questi anni molti paesi hanno lavorato, investito, promosso studi e pubblicazioni per ottenere i soldi. La Francia, in particolare, ha lavorato molto bene sulle malattie neurogenerative, settore simile a quello che interessa Daniele. Noi, invece, siamo indietro quasi su tutto. E con le nostre menti più brillanti che preferiscono andare all’estero perché sanno di trovare paesi dove il valore viene privilegiato rispetto a logiche nepotistiche”. In sintesi, come giudica l’Italia? “Come una nazione che sta svendendo il suo futuro. Non c’è nessuna strategia. Vede, un individuo, dalle elementari fino all’università, costa allo Stato circa 500mila euro. E noi cosa facciamo? Nel momento in cui diventa produttivo lo lasciamo andare via, con paesi come gli Stati Uniti ben felici di accoglierli nel loro momento migliore. È come una squadra di calcio che cresce un calciatore dai pulcini fino alla prima squadra e al momento del debutto in ‘A’ lo offre, gratis, agli avversari. Le sembra normale?”. Proprio no..