martedì 22 dicembre 2009

Un ospite indigesto

Finalmente hanno dato all'IdV il posto di segretario d'aula del Senato che le era stato illecitamente negato ad inizio legislatura. Fa così paura avere delle persone oneste a controllare le istituzioni?

Dal Fatto di oggi.

Palazzo Madama, due segretari d’aula in più per darne uno all’Italia dei valori

di Stefano Ferrante

Alla fine l’operazione allargamento è andata in porto. Aniello Di Nardo dell’Idv e Simona Vicari del Pdl sono stati eletti segretari d’aula del Senato. Non che Palazzo Madama ne fosse sprovvisto. In carica di segretari ce ne erano già dieci, due in più rispetto alla precedente legislatura. Ma la decisione di portarli a dodici – modificando il regolamento del Senato con una norma transitoria– era stata bipartisan, o se si preferisce inciucista. Obiettivo: dare un membro del consiglio di presidenza – in cui secondo lo stesso regolamento devono essererappresentatituttiigruppi parlamentari - anche all’Idv, silurata dal voto segreto a inizio mandato
, a vantaggio della Svp- gruppomistoHelgaThalerAussserhofer. Una ferita che si poteva risolvere con le dimissioni della altoatesina o di uno dei segretari del Pd, Amati, Baio, Stradiotto e Mongiello. Ma nessuno ha fatto il bel gesto. E nessuno ha pensato di “suggerirlo”. Così è passata la linea dell’aggiungi un posto al tavolo del consiglio di presidenza, anzi dell’aggiungine due visto che per mantenere la proporzione tra maggioranza e opposizione è stato necessario prevedere un segretario in più anche per il Pdl. Il che non è solo una questione di prestigio, di indennità (tremila e quattrocento euro mensili in più), dei benefit come la segreteria (dotata di un budget di oltre diecimila euro) o della possibilità di utilizzare le auto blu del Senato. I segretari d’aula leggono i verbali dell’Assemblea, ma soprattutto fanno parte, con presidente, vicepresidenti, questori e segretario generale, del consiglio di presidenza. Che è un organo di oscuro significato per i non addetti ai palazzi, ma di concretissimo potere. E’ il consiglio infatti che dà il primo via libera al ricc bilancio del Senato (l’approvazione finale spetta all’Aula), è il consiglio che decide sulle gare d’appalto, dai restauri, ai ristoranti, alle forniture. E’ il consiglio chestabiliscelacarriereinternee che nomina le commissioni d’esame per l’assunzione del personale. Decisioni delicate, prese sempre in un clima ovattato, condivise senza strepiti, in un modo che più inciucista non si può. Sullo svolgimento delle riunioni vige un silenzio discreto, quasi un mistero, trovarne traccia è impresa ardua. E forse è anche qui la ragione dell’esclusioneinizialeperl’Idv:” Pd e Pdl ci fecero fuori anche dalla presidenza della commissione di vigilanza Rai – spiega il capogruppo dell’Italia dei valori Felice Belisario - perché sapevano che non avremmo fatto le belle statuine”. Ora è pace fatta, l’Idv ha il suo segretario. “L’hanno dovuto fare perché era una violazione del regolamento e saremmo arrivati anche ad occupare l’aula per protesta – assicura Belisario – ma non si illudano, vogliamo capire se le leggi sono rispettate e come si spendono i soldi”.

Una mano lava l'altra

Dal Fatto di oggi.

BERLUSCONI SALVA POLLARI & POMPA
SEGRETO DI STATO SULLE SCHEDATURE ILLEGALI

di Marco Travaglio

Schedare e spiare giornalisti, magistrati e politici di opposizione è fra le attività “indispensabili alle finalità istituzionali” dei servizi segreti, dunque il reato è coperto dalla “speciale causa di giustificazione” che, secondo la legge 124 del 2007, “si applica quando le condotte sono poste in essere nell’esercizio o a causa di compiti istituzionali dei servizi di informazione per la sicurezza” e “indispensabili e proporzionate al conseguimento degli obiettivi dell’operazione non altrimenti perseguibili”. SEGRETO DI STATO. Insomma l’archivio riservato del Sismi sequestrato il 5 luglio 2006 dalla Digos su mandato della Procura di Milano nell’ufficio segreto di via Nazionale 230 a Roma e gestito dall’analista Pio Pompa, fedelissimo dell’allora direttore Niccolò Pollari, è da ritenersi “autorizzato dal presidente del Consiglio dei ministri”. Il che consente a Pollari e Pompa di rifiutarsi di rispondere al magistrato. Lo ha comunicato lo stesso Silvio Berlusconi due settimane fa alla Procura
di Perugia, che il 27 aprile scorso ha ereditato per competenza da quella di Roma il fascicolo sulle deviazioni del Sismi. Fra i magistrati spiati, infatti, ce n’erano alcuni in servizio nella Capitale. Un mese fa il pm umbro Sergio Sottani ha concluso le indagini e depositato gli atti a disposizione delle parti: un atto chepreludeallerichiestedirinvioa giudizio.Graviiduereaticontestati all’ex direttore e al funzionario: il peculato per aver distratto, appropriandosene e usandole, “somme di denaro, risorse umane e materiali” per fini diversi da quelli istituzionali, come la redazione di “analisi sulle presunte opinioni politiche, sui contatti e sulle iniziative di magistrati, funzionari dello Stato, associazionidimagistratiancheeuropei, giornalisti e parlamentari”; e l’indebita intrusione nella vita privata delle persone schedate, con la “violazione, sottrazione e soppressione della corrispondenza elettronica dell’associazione di magistrati Medel”, l’“accesso abusivo al sistema informatico dell’associazione”, la “violazione della privacy”. Per la seconda imputazione il pm romano aveva chiesto l’archiviazione (prima che il gip e il gup si dichiarassero incompetenti), ma quello di Perugia è di diverso avviso e intende processare Pollari e Pompa anche per quello. Alla notifica degli atti, i due indagati han chiesto di essere interrogati. E, assistiti dagli avvocati Franco Coppi e Titta Madia, hanno opposto il segreto di Stato. Il pm Sottani è caduto dalle nuvole e s’è rivolto a Palazzo Chigi, che per legge è l’unico depositario del top secret, con due distinte richieste per Pollari e per Pompa: ai fini dell’indagine, gli serve sapere chi pagava l’affitto dell’ufficio di via Nazionale, a chi erano intestate le utenze telefoniche e soprattutto chi impartiva le direttive a Pompa e Pollari. Berlusconi ha già risposto per Pollari: tutte le questioni poste sono coperte da segreto di Stato. La risposta per Pompa è attesa per i primi del 2010 e ben difficilmente si discosterà dall’altra. Se ne deduce che lo spionaggio su vasta scala messo in atto dal Sismi a partire dal 2001 contro i supposti nemici non dello Stato, ma di Berlusconi, era autorizzato, se non addirittura ordinato dal secondo governo, il Berlusconi-2. IL PRIMO SALVATAGGIO. Il segreto di Stato (opposto sia dal governo Prodi sia dal governo Berlusconi) ha già salvato Pollari da un altro processo, quello a Milano per il sequestro di Abu Omar, per cui sono stati condannati in primo grado una ventina di agenti e dirigenti della Cia e, per favoreggiamento, Pio Pompa (3 anni) e il giornalista prezzolato Renato Farina, alias “agente Betulla” (ha patteggiato 6 mesi prima di entrare alla Camera come deputato del Pdl). Ora il top secret potrebbe salvare Pollari e Pompa anche nel processo per le schedature ad personam gentilmente offerte al Cavaliere, del quale entrambi sono devotissimi, pur mantenendo eccellenti rapporti anche col centrosinistra, in particolare con l’area dalemiana. Memorabile il fax che Pompa inviò al suo spirito-guida il 21 novembre 2001: “Signor Presidente, sul foglio che ho davanti stento ad affidarmi a frasi di rito per esprimerLe la mia gratitudine nell’aver approvato… ilmioinserimento,qualeconsulente , nello staff del Direttore del Sismi... Sarò, se Lei vorrà, anche il Suo uomo fedele e leale... Desidero averLa come riferimento e esempio ponendomi da subito al lavoro... Avendo quale ispiratore e modello di vita don Luigi Verzé, posso solo parlarLe con il cuore: insieme a don Luigi voglio impegnarmi a fondo, com’è nella tradizione contadina della mia famiglia, nella difesa della Sua straordinaria missione... La Divina Provvidenza mi ha concesso di sperimentare la possibilità di poter lavorare per Lei...”. Ben altri toni, da maccartista anni Cinquanta, quelli usati nelle veline trovate nel suo ufficio. Veline anonime che additavano gli avversari del premier da “disarticolare”, “neutralizzare”, “ridimensionare” e “dissuadere”, anche con “provvedimenti” e “misure traumatiche”. Fra questi, i pm milanesi Bruti Liberati, Boccassini, De Pasquale, Borrelli, Davigo, Taddei, D’Ambrosio, Greco, Ichino, Carnevali, Colombo e Napoleone; i romani Loris D’Ambrosio, Almerighi, Salvi, Cesqui, Sabella; i palermitani Ingroia, Principato, Natoli e l’ex procuratore Caselli; e altri noti magistrati come i fratelli Mancuso, Monetti, Melillo, Perduca, Casson, Lembo, Vaudano, più il francese Barbe e lo spagnolo Garzòn. E poi giornalisti e intellettuali : Furio Colombo, Arlacchi, Flores d’Arcais, Santoro, Ruotolo, Pennarola, Cinquegrani, Giulietti, Serventi Longhi, Giulietto Chiesa, Eric Jozsef, Gomez, Barbacetto e Travaglio; D’Avanzo e Bonini di Repubblica sarebbero addirittura stati pedinati. E ancora, fra gli schedati, l’editore De Benedetti e politici come Violante, Brutti, Veltri, Visco, Leoluca Orlando e Di Pietro. Ora soltanto il Copasir potrebbe ribaltare il segreto di Stato, con una relazione motivata al Parlamento.Ma il candidato più accreditato a presiederlo, dopo le dimissioni di Rutelli, è proprio Massimo D’Alema, che ha sempre molto apprezzato Pollari. L’uomo giusto al posto giusto.
Niccolò Pollari con Claudio Scajola (FOTO ANSA)


Cattiverie

Silvio Berlusconi ha sempre combattuto la mafia: spesso nascondeva le ciabatte a Mangano.

www.spinoza.it

Chissà gli elettori del PD...?

I buoni maestri

da Antefatto.it

di Marco Travaglio

Dopo tanti cattivi maestri, finalmente è scoccata l’ora di quelli buoni. I moderati della Lega Nord, quelli che sfilavano con una lapide per il procuratore di Verona Papalia, quelli dei fucili e dei kalashnikov, quelli che vietano agli islamici di pregare nelle loro moschee e poi si sposano con rito celtico davanti al druido, sciolgono inni all’Amore e intimano al Pd di liberarsi di quell’estremista di Di Pietro. Luciano Moggi, condannato dalla giustizia sportiva e imputato per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, l’uomo che ha trascinato la Juventus in serie B condannandola all’irrilevanza per anni, il braccio destro del dottor Giraudo appena condannato in primo grado a 3 anni, ecco, un personaggino di tal fatta pontifica sulla crisi della Juve iniziata grazie ai suoi maneggi: “Non cacciate Ferrara, ma la dirigenza”. Gli attuali dirigenti, infatti, hanno il grave torto di essere incensurati, di non ricorrere al doping e di non scegliersi gli arbitri à la carte. Dunque se ne devono andare (Ferrara invece no, perché è un fedelissimo suo e di Lippi, padre di cotanto figlio, vedi alla voce Gea). Anche Clemente Mastella, imputato a Napoli per varie concussioni, abusi e altre quisquilie insieme alla sua signora e a mezza Udeur,dunque rappresentante dell’Italia al Parlamento europeo, monta in cattedra: invece di andare a nascondersi per quel che è emerso sul suo conto, chiede 10 milioni di danni all’ex pm De Magistris, reo di averlo inquisito per i suoi rapporti con i vari Saladino e Bisignani. Sventola, a riprova della sua innocenza, il decreto di archiviazione di una gip di Catanzaro, dimenticando forse quel che ha scoperto la Procura di Salerno: la gip non aveva ricevuto tutte le carte dell’inchiesta Why Not necessarie per decidere su di lui; pare infatti che i pm calabresi ora indagati per aver fatto cacciare De Magistris e per aver insabbiato parte delle sue indagini non le avessero trasmesso l’intero fascicolo. Poi ci sono le lezioncine di Formigoni, al quale stanno arrestando assessori e amici al ritmo di uno alla settimana: lo Sgovernatore lombardo spiega che quello squisito esponente del Partito dell’Amore che è l’assessore Prosperini (“I gay? Garrotiamoli. Ma non con la garrota di Francisco Franco. Alla maniera degli Apache: cinghia bagnata legata stretta intorno al cranio. Il sole asciuga il laccio umido, il cuoio si ritira, il cervello scoppia”) è stato arrestato per sbaglio, “come Alberto Stasi”. Si attende la querela di Stasi per l’accostamento.

Frattanto gli avvocati del premier si affannano a escogitare non una, ma tre leggi ad personam (superlodo Alfano con turboelica costituzionale, legittimo impedimento ovviamente illegittimo e processo breve anzi morto) con l’amorevole collaborazione del duo Violante & D’Alema. I quali, mentre ribadiscono di essere contrari alle leggi ad personam per evitare che gli elettori capiscano, lasciano chiaramente intendere una voglia matta di immunità-impunità. E seguitano a richiamarsi alla “Costituzione del 1948”. Si guardano bene dal dire che il vecchio articolo 68 non prevedeva alcuna immunità automatica, ma solo la possibilità che il Parlamento bloccasse eventuali inchieste viziate da fumus persecutionis, nei casi rarissimi, eccezionali di magistrati animati da intenti persecutori contro esponenti dell’opposizione per reati politici.

Mai ai padri costituenti, quelli veri, era venuto in mente di proteggere i capi di governo da sacrosante inchieste per reati comuni. Ora c’è solo un piccolo ostacolo, sulla strada dell’inciucione: gli eventuali elettori del pd, animati da quella che D’Alema chiama “la cultura azionista che non ha mai fatto bene al paese”. Non ce l’ha, si capisce, con gli azionisti Mediaset o Telecom: quelli gli son sempre piaciuti un sacco. Ce l’ha con il Partito d’azione dei Parri, Luss, Rosselli, Galante Garrone, Bobbio, Mila, Casalegno, Sylos Labini. Cattivi maestri che parlavano di questione morale. Tutti pericolosamente incensurati. Gentaglia.

sabato 19 dicembre 2009

Parola di Littorio Feltri

Dal Fatto di oggi.

Duomo Connection

di Marco Travaglio

L’ultimo numero di Panorama è un bel ritrattino del mondo alla rovescia in cui viviamo, popolato di buoi che danno del cornuto all’asino. Per non parlare delle vespe. Il direttore è un certo Giorgio Mulè, molto noto in casa Previti e Dell’Utri, un po’ meno presso gli altri italiani. Dirige un settimanale che, negli anni, sotto le direzioni di Ferrara (condirettore Pigi Battista), Rossella e Belpietro, ha linciato non solo gli avversari politici del padrone (che almeno hanno la possibilità di difendersi), ma anche cittadini comuni come Stefania Ariosto e magistrati a cui il padrone levò la scorta, come Ilda Boccassini. Quest’ultima fu accusata nel 2001 da Lino Jannuzzi di aver incontrato a Lugano i colleghi Castresana, Del Ponte ed Paciotti per organizzare l’arresto di Berlusconi. I quattro dimostrarono che quel giorno si trovavano rispettivamente a Milano, a Madrid, in Tanzania e a Bruxelles. Ma Iannuzzi promise di “portare le prove”.
Naturalmente non le portò, Panorama fu condannato, Iannuzzi si rifugiò in Parlamento con relativa impunità. Si attendono ancora le scuse del settimanale alle vittime della diffamazione: ma Mulè è troppo impegnato in nuovi linciaggi. Stavolta riesce a infilare, tra i “brigatisti dell’odio” e i “cattivi maestri”, Ciampi e “i magistrati che permettono a un assassino (Spatuzza, ndr) di appiccicare a Berlusconi l’etichetta di mafioso e di stragista”. Peccato che Falcone e Borsellino siano morti, altrimenti sarebbero iscritti anch’essi nelle Brigate dell’Odio, visto che istruirono il maxiprocesso alla mafia sulla base di tre pentiti – Buscetta, Calderone e Contorno – due dei quali erano dei noti assassini. Nel Panorama rovesciato pontifica anche Giuliano Ferrara, che dopo aver dato del “golpista” a un presidente della Repubblica in carica, Scalfaro, fa la verginella violata contro i “faziosi” (lui, equilibrato stilnovista) che si permettono di attaccare il padrone, “nemico di tutte le ideologie fallite del secolo scorso”. Compreso il comunismo, di cui naturalmente Ferrara faceva parte fino al 1983 nella versione più truculenta: lo stalinismo togliattiano. E c’è pure Littorio Feltri, nota dama della carità, che alza il ditino contro “chi per 16 anni hanno linciato Berlusconi”. Forse ce l’ha con quel direttore dell’Europeo che l’11 agosto ’90 tuonava: "Per 14 anni, diconsi 14 anni, la Fininvest ha scippato vari privilegi, complici i partiti: la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci con la loro stolida inerzia; e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l'altro la perla denominata 'decreto Berlusconi', cioè la scappatoia che consente all'intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Bettino Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura, in un soprassalto di dignità, e che invece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna". Poi aggiungeva, profetico: “Il dottor Silvio di Milano 2, l'amico antennuto del Garofano, pretende tre emittenti, pubblicità pressoché illimitata, la Mondadori, un quotidiano e alcuni periodici. Poca roba. Perché non dargli anche un paio di stazioni radiofoniche, il bollettino dei naviganti e la Gazzetta ufficiale, così almeno le leggi se le fa sul bancone della tipografia?". Chi era costui? Ma Feltri, naturalmente, in una delle sue numerose reincarnazioni. Voltando qualche pagina di Panorama, compare la firma di Giuseppe Cruciani, specializzato nel linciaggio di persone assenti nella rubrichetta “La zanzara” su Radio24,nonchè autore di un libro encomiastico in lode del Ponte sullo Stretto. Finalmente, dopo tanti sforzi di lingua, ha conquistato anche lui un posto al sole alla corte di Reo Silvio. Leccate, leccate, qualcosa resterà.

venerdì 18 dicembre 2009

IO STO CON MARCO TRAVAGLIO DALLA PARTE DEI FATTI


FIRMA L’APPELLO

“TEMONO I FATTI”

di Luigi De Magistris

Può mai accadere che in una democrazia moderna riecheggino, in Parlamento, parole come “mandante morale” o “terrorista mediatico” verso giornalisti “colpevoli” di raccontare fatti? Può mai capitare che queste affermazioni, pronunciate dopo un’aggressione esecrabile al presidente del Consiglio, siano scandite da un onorevole (Cicchitto), in passato iscritto alla P2? Può mai succedere che lo stesso onorevole, nello stesso Parlamento, punti l’indice contro dei magistrati impegnati in indagini di mafia e li indichi come parte di un “network” che alimenta una “campagna d’odio” verso il premier, esponendoli al crimine? Purtroppo sì, se questa democrazia (non più tale) è l’Italia del berlusconismo al governo. Un paese dove sono i fatti a far paura al potere, perché il potere è consapevole che per questi deve vergognarsi. E raccontarli è una colpa perché dal racconto nasce la coscienza sociale e la coscienza sociale può essere critica e questa critica può trasformarsi in azione pacifica di ribellione. Si chiama regime, purtroppo. E si sta compiendo nel nostro paese.

Io sto con Marco Travaglio, dalla parte dei fatti

di Antonio Padellaro

Contro Marco Travaglio è in atto un'aggressione violenta. A un cenno del capogruppo Pdl alla Camera, il piduista Fabrizio Cicchitto, che nel compilare la lista nera comprendente il Fatto, Santoro e il gruppo Repubblica-Espresso, lo ha definito "terrorista mediatico", subito si è scatenata la canea televisiva. Da Porta a Porta, a Canale 5, a Omnibus il pestaggio di Marco si è sviluppato attraverso la falsificazione e la manipolazione di sue dichiarazioni rese dopo il ferimento di Berlusconi a Milano, in totale assenza di contraddittorio o con interventi tardivi quando ormai la scientifica azione diffamatoria era irrimediabile. I diffamatori e i picchiatori a libro paga sappiano che risponderemo colpo su colpo. A difesa della persona di Marco Travaglio a cui tutti i giornalisti del Fatto ribadiscono la loro più totale e affettuosa solidarietà. A difesa del suo diritto di fare giornalismo. A difesa dell'informazione e della democrazia di questo Paese, mai come oggi messa in pericolo dall'assalto dei nuovi squadristi.

Barbara Spinelli: Solidarietà a Marco Travaglio

Non è tempo di tacere

L'attacco a Il Fatto Quotidiano, il comunicato del presidente Giorgio Poidomani

Cicchitto: chi è il piduista incendiario

Cick to Cick di Marco Travaglio

Quel sorriso da Joker, dal marxi-cicchittismo al cicchi-berlusconismo di Luca Telese

Altro che "abbassare i toni" di Gianni Barbacetto

Fini: sì alla libertà di parola, no alle liste di proscrizione

Una proposta di legge (grazie PD!)

Dal Fatto di ieri.

Se non è ad personam non la vogliamo

di Marco Travaglio

Quella di ieri era una giornata da segnare sul calendario: il professor Angelo Panebianco, sul Pompiere della Sera, definiva addirittura “del tutto sbagliato e inopportuno” il killeraggio parlamentare di Cappuccetto Ciquito. Mancava che aggiungesse “perdincibacco” e “perdindirindina”, poi si spettinava tutto. Comunque l’ha detto. Ha impiegato il periodo minimo di latenza, 48 ore, ma l’ha detto. Ha spiegato che Grembiulino Azzurro sbaglia perché così “non aiuta Bersani a sciogliere i nodi che egli sa di dover sciogliere”, cioè a scaricare Di Pietro e fondersi con Berlusconi. Ma l’ha detto. E tanto basta: l’ultima volta che Whitebread aveva pronunciato gli aggettivi “sbagliato” e “inopportuno” a proposito di un berlusconiano, fu quando un pelo della barba gli s’impigliò nel rasoio elettrico, allora si redarguì allo specchio: “Santi numi, Angelo, ti radi in modo del tutto sbagliato e inopportuno!”. Quando ci vuole, ci vuole. Ancora nessun segno di vita, invece, dal vertice del Pd che non ha ancora detto alcunché di proporzionato ai rastrellamenti e alle spedizioni punitive delle Brigate Cicchitto. Bersani, del resto, è impegnatissimo a Palermo a stringere l’accordo con l’Mpa di Lombardo, che vanta una densità di inquisiti e condannati da far impallidire il quartiere Zen. Meglio dell’Udc e di Forza Italia, per dare l’idea. La minoranza interna domanda al segretario come lo spiegherà agli elettori, ma pare che Bersani abbia già risposto con il consueto humour: “Quali elettori?”. D’Alema intanto, reduce dagli ultimi trionfi europei, rivela che “Bersani si muove bene”. Ma la notizia è che si muove. Sono movimenti impercettibili che sfuggono all’occhio umano, paragonabili a quelli del bradipo. Ma, munendosi di un rilevatore ad altissima precisione, tipo contatore geiger o elettroencefalografo, qualche attività motoria la si può notare. E’ coma, però vigile. In attesa di movimenti visibili a occhio nudo, l’Attila di Gallipoli si muove in proprio. Spiega al Pompiere che “i populismi di Berlusconi e Di Pietro sono speculari e si alimentano a vicenda: Di Pietro è l’oppositore ideale per Berlusconi”. Per questo tv e giornali berlusconiani attaccano sempre Di Pietro e mai D’Alema: temono che il Cavaliere stravinca. Invece D’Alema, dai tempi della Bicamerale, è una vera spina nel fianco. E, per dare il colpo di grazia all’illustre convalescente, propone “una leggina ad personam per evitare il suo processo e limitare il danno all’ordinamento e alla sicurezza dei cittadini”. Come avevamo ampiamente previsto un mese fa, quando ci domandammo quale dei diversamente concordi si sarebbe fatto avanti per primo a offrire un salvacondotto a Berlusconi in cambio del ritiro del “processo breve”. Beata ingenuità: D’Alema, chi altri? Era già accaduto due estati fa con il lodo Alfano: Berlusconi minacciò di bloccare 100 mila processi, Veltroni e Napolitano gli proposero di bloccare solo i suoi, il lodo passò e quelli finsero pure di aver vinto. Ora Max torna sul luogo del delitto, anzi del relitto. Gli fa eco Piercasinando su Repubblica: “L’Udc è pronta a discutere del legittimo impedimento. A patto che sia soltanto una misura per il premier”. Ecco, a patto. E bravo l’oppositore Casini: che fegato. C’era un tempo in cui si parlava di conflitto d’interessi (ne parlava persino Berlusconi) e le leggi ad personam erano considerate una vergogna incostituzionale proprio perché ad personam, visto che in uno Stato di diritto le norme sono “provvedimenti generali e astratti”. Ora apprendiamo da Max e Pier, i nuovi padri ricostituenti, che una legge è buona solo se è ad personam, solo se serve soltanto a Berlusconi. Altrimenti non gliela votano. E chi sarebbe l’oppositore ideale per Berlusconi? Di Pietro, of course.

L'antimafia dei fatti

Da un post di Travaglio sul sito Voglioscendere.it


Signornò

da l'Espresso in edicola

Già è singolare un presidente del Consiglio che, ogni due per tre, vanta le migliaia di perquisizioni e di udienze subite, le decine di processi affrontati (in realtà sono 16), le centinaia di magistrati che si sono occupati di lui, come se quelle medie da delinquente incallito fossero un titolo di merito. Ora poi che s'è messo a vantarsi dei mafiosi arrestati e dei beni sequestrati come se fossero opera sua, non ci si capisce più niente. Anche perché nel frattempo, in tandem con Dell'Utri, ha ribadito che Mangano fu un "eroe" perché in carcere non parlò di nessunodei due, mentre Spatuzza che parla di entrambi, oltreché di se stesso e dei suoi complici,è un pentito prezzolato e dice "minchiate".Ma i nove decimi dei boss e killer della mafia, della camorra e della 'ndrangheta arrestati e dei loro patrimoni sequestrati sono stati individuati grazie ai pentiti che parlano anziché esercitare la virtù dell'omertà (pardon, dell'eroismo). O grazie alle intercettazioni che il governo sta per ridurre al lumicino. Che facciamo? Tagliamo i pentiti in due, come fa Silvan con la sua valletta: buoni quando parlano di se stessi e dei loro pari, cattivi quando parlano dei livelli superiori? L'affare si complica vieppiù se si considera che i magistrati che arrestano i mafiosi e sequestrano i beni sono gli stessi che a Palermo processano Dell'Utri per concorso esterno e due ufficiali del Ros per la mancata cattura di Provenzano, e indagano sulle trattative Stato-mafia. Gli stessi che a Caltanissetta e Firenze hanno riaperto le indagini sui mandanti occulti delle stragi del 1992-93. Gli stessi che a Napoli han chiesto e ottenuto un ordine di custodia per il sottosegretario Cosentino, subito stoppato dalla Camera.Se Montecitorio avesse dato il via libera, le statistiche sventolate da Berlusconi, Alfano e Maroni avrebbero potuto arricchirsi di un bel +1: invece niente, anzi -1. Come ci regoliamo allora? Tagliamo a fette anche i magistrati antimafia, buonissimi quando arrestano i quacquaracquà e cattivissimi quando arrestano (o almeno ci provano) i politici loro amici? Possibile che la Dda di Napoli sia una squadra di fuoriclasse quando ingabbia la bassa manovalanza e si trasformi un covo di schiappe quando prende i colletti bianchi, salvo tornare a rifulgere d'infallibilità quando sequestra il tesoro dei Casalesi rimpinguando le statistiche del governo? A proposito di soldi sequestrati: tre anni fa Clementina Forleo recuperò dai furbetti del quartierino 300 milioni, subito usati dal governo per costruire asili e tappar buchi nel bilancio della Giustizia: come mai il Csm la premiò cacciandola da Milano anche col voto del Pdl che si fa bello con quelle cifre? Gianfranco Fini è stato crocifisso dai berluscones per collusione con la Giustizia, avendo osato rivolgere la parola al procuratore di Pescara, Nicola Trifuoggi, che aveva osato far arrestare Ottaviano Del Turco. Ma, se gli arresti sono merito del governo, il premier e tutti i ministri dovrebbero correre da Trifuoggi per congratularsi. O no?

(Vignetta di Bertolotti e De Pirro)

lunedì 14 dicembre 2009

Io confesso

Dal Fatto Quotidiano di oggi.

Io confesso


di Marco Travaglio

Ebbene sì, han ragione Cicchitto, Capezzone e Sallusti, con rispetto parlando. Inutile negare l’evidenza, non ci resta che confessare: i mandanti morali del nuovo caso Moro siamo noi di Annozero e del Fatto, in combutta con la Repubblica e le procure rosse. Come dice Pigi Battista sul Corriere, abbiamo creato “un clima avvelenato”, di “odio politico”, roba da “guerra civile”. Le turbe psichiche che da dieci anni affliggono l’attentatore non devono ingannare: erano dieci anni che il nostro uomo, da noi selezionato con la massima cura (da notare le iniziali M.T.), si fingeva pazzo per preparare il colpo. E la poderosa scorta del premier che si è prodigiosamente spalancata per favorire il lancio del souvenir (come già con il cavalletto in piazza Navona) non è che un plotone di attivisti delle Brigate Il Fatto, colonna milanese Annozero. Siamo stati noi. Abbiamo spacciato per cronaca giudiziaria il racconto dei processi Mills, Mondadori e Dell’Utri, nonché la lettura delle relative sentenze, mentre non era altro che “antiberlusconismo” per aprire la strada ai terroristi annidati nei centri di igiene mentale. Ecco perché non ci siamo dedicati anche noi ai processi di Cogne, Garlasco, Erba e Perugia: per “ridurre l’avversario a bersaglio da annichilire” (sempre Battista, chiedendo scusa alle signore). Ci siamo pure travestiti da leader del centrodestra e abbiamo preso a delirare all’impazzata. Ricordate Berlusconi che dà dei “coglioni” alla metà degli italiani che non votano per lui, dei “matti antropologicamente diversi dal resto della razza umana” ai magistrati, dei “golpisti” agli ultimi tre presidenti della Repubblica, dei fomentatori di “guerra civile” ai giudici costituzionali e ai pm di Milano e Palermo, dei “criminosi” a Biagi, Santoro e Luttazzi, che minaccia Casini e Follini di “farvi attaccare dalle mie tv” perché “mi avete rotto il cazzo” e invoca “il regicidio” per rovesciare Prodi? Ero io che camminavo in ginocchio sotto mentite spoglie e tre chili di cerone. Poi, già che ero allenato, mi sono ridotto a Brunetta per dire che questa “sinistra di merda” deve “morire ammazzata”. Ricordate Bossi che annuncia “300 uomini armati dalle valli della Bergamasca”, minaccia di “oliare i kalashnikov” e “drizzare la schiena” a un pm poliomielitico, sventola “fucili e mitra”, organizza bande paramilitari di camicie verdi e ronde padane perché “siamo veloci di mano e di pallottole che da noi costano 300 lire”? Era Santoro che riusciva a stento a coprire il suo accento salernitano con quello varesotto imparato alla scuola di dizione. Ricordate Ignazio La Russa che diceva “dovete morire” ai giudici europei anti-crocifisso? Era Scalfari opportunamente truccato in costume da Mefistofele. E Sgarbi che su Canale5 chiamava “assassini” i pm di Milano e Palermo e Caselli “mafioso” e “mandante morale dell’omicidio di don Pino Puglisi”? Era Furio Colombo con la parrucca della Carrà. E chi pedinava il giudice Mesiano dopo la sentenza Mondadori per immortalargli i calzini turchesi? Sandro Ruotolo, naturalmente, camuffato sotto le insegne di Canale5. Chi si è introdotto nel sistema informatico di Libero e poi del Giornale di Feltri e Sallusti per accusare falsamente Dino Boffo di essere gay, Veronica Lario di farsela con la guardia del corpo, Fini di essere un traditore al soldo dei comunisti? Quel diavolo di Peter Gomez. Chi ha seviziato Gianfranco Mascia, animatore dei comitati Boicotta il Biscione? Chi ha polverizzato la villa della vicedirettrice dell’Espresso Chiara Beria dopo una copertina sulla Boccassini? Chi ha spedito a Stefania Ariosto una testa di coniglio mozzata per Natale? Noi, sempre noi. Ora però ci hanno beccati e non ci resta che confessare. Se ci lasciano a piede libero, ci impegniamo a non dire mai più che Berlusconi è un corruttore amico di mafiosi. Lui è come Jessica Rabbit: non è cattivo, è che lo disegnano così.

Le aggressioni del potere

Insisto sul tema della settimana, perché è chiaro che siamo giunti alla fase finale di questa brutta fase politica italiana, ma non è chiaro che la fase successiva possa nascere con delle buone prospettive. Anzi è chiaro che la lotta di opposizione dovrà essere ancora più intransigente.

Di seguito l'editoriale di Padellaro sul Fatto di oggi, martedì 15 dicembre.

AGGRESSIONI

Berlusconi ancora in ospedale a Milano Tartaglia in carcere al centro neuropsichiatrico Da destra campagna di odio contro chi si oppone

di Antonio Padellaro


Primo. Il volto insanguinato e sofferente di Silvio Berlusconi è una pagina nera per l’Italia. L’aggressione fisica è sempre ripugnante. Ma l’immagine in diretta tv di quell’oggetto scagliato con violenza contro un uomo sarà difficile da dimenticare.
Secondo. L’autore del gesto è uno squilibrato noto e certificato. Chi lo associa al gruppo di fischiatori del premier nella piazza di Milano, mente sapendo di mentire. Terzo. Nei fotogrammi mandati e rimandati in video si vede Tartaglia prendere due volte la mira impugnando la statuetta del Duomo. Tranquillamente senza che nessuno tra i numerosi custodi, tutti grinta e auricolari, muovesse un dito. Il ministro Maroni può dire ciò che vuole, ma alla prova dei fatti il tanto decantato sistema a protezione del presidente del Consiglio ha fallito su tutta la linea. Quarto. La domande sul clima infame che regna nel paese e sui cosiddetti mandanti morali sono fuori luogo vista la personalità dell’aggressore. Ma se proprio si insiste a voler porre il problema di chi questo clima infame ha creato, sottoscriviamo il giudizio di Rosy Bindi, tra i pochi nel Pd a non balbettare scuse per colpe non commesse. Responsabile dei veleni è chi non smette di attaccare e accusare le più alte istituzioni: dal Quirinale alla Corte costituzionale alla magistratura tutta. Quinto. I berluscones parlanti che hanno subito scatenato la caccia agli oppositori rimasti, in Parlamento e nei giornali, sappiano che non arretreremo di un millimetro nella contrapposizione civile e rigorosa al peggior governo della storia repubblicana. A Marco Travaglio pesantemente minacciato da un comunicato dei parlamentari Pdl di chiaro stampo squadrista, la nostra più totale e affettuosa solidarietà. Infine, dalla destra più responsabile (se non è entrata in clandestinità) attendiamo ancora una ferma presa di distanza dal titolo eversivo del Giornale: “Violenza costituzionale”. A quando le leggi speciali?

Travaglio dice inconfutabilmente nient'altro che la verità!

Il passaparola di oggi di Travaglio sull'attacco a Berlusconi è per me l'esempio migliore di coerenza e lucidità, anche in momenti critici come questo, di chi fa veramente da molto tempo una vera opposizione. Vi consiglio l'ascolto integrale! Buon Passaparola a tutti! Inutile dire che mi riconosco in TUTTO quello che dice uno dei migliori Travaglio.


domenica 13 dicembre 2009

I vari commenti

Vogliamo guardare in faccia i problemi d'Italia?

Dopo il gesto violento contro il premier quasi tutti i commenti sono stati ovviamente di solidarietà a Berlusconi, di condanna di questa violenza e poi però, subito dopo, di attacco a Di Pietro. Il regime non perde tempo e sfrutta ogni occasione per buttare un po' di fango contro i suoi oppositori.

Condanno la violenza di oggi pienamente anch'io come ho già espresso nel post precedente, ma non capisco perché bisogna attaccare le parole di Di Pietro, che semplicemente descrivono la situazione italiana come la può vedere chiunque smetta di vedere la fiction in atto a "canali unificati".

A Roma al il No Berlusconi Day ho visto centinaia di migliaia di giovani ordinati, decisi e soprattutto consci che in gioco ci sia il loro futuro. Dalle immagini del comizio di Berlusconi mi sembra di aver visto molte persone più anziane, un'altra Italia rispetto a quella che lotta per i diritti allo studio (studenti e ricercatori) o al lavoro (operai e piccoli imprenditori). Non mi sembra di aver visto gli operai e le famiglie che hanno perso il lavoro o lo stanno perdendo. Insomma l'Italia che attualmente ha bisogno di un governo non mi sembra stia simpatizzando per il miglior premier degli ultimi 150 anni o per il premier "bello" e "brau fieu" come si è definito oggi prima di perdere due denti per l'impatto con il souvenir del duomo di Milano.

Riporto i commenti di Di Pietro, pubblicati sul suo sito a scanso di equivoci.




L'aggressione nei confronti di Berlusconi e' un gesto inconsulto e sconsiderato che noi dell'Italia dei Valori deploriamo e condanniamo fermamente. Ma questo non può e non deve giustificare e legittimare il totale abbandono nel quale il Governo ha lasciato le fasce sociali più deboli, i lavoratori che hanno perso il lavoro e tutti coloro che non arrivano alla fine del mese.

Già nei giorni scorsi ho segnalato l'esasperazione che ho avuto modo di notare nelle piazze, durante le manifestazioni. E ho lanciato l'allarme che il menefreghismo del Governo, prima o poi, avrebbe rischiato di procurare reazioni negative.

Condanniamo fermamente l'accaduto e ripeto che non è prendendosela con me che si affronta il problema.

Un pugno in faccia a Berlusconi, uno schiaffo all'Italia democratica



Berlusconi colpito in viso da un contestatore alla fine del comizio milanese per l'apertura del tesseramento PdL. Un uomo, Massimo Tartaglia (42), ha colpito Berlusconi sul viso, lanciando da una distanza ravvicinata una statuina del duomo di Milano. Berlusconi viene portato in ospedale sanguinante come si vede dalle immagini di Rai News24.

Una evento così violento non avrebbe dovuto succedere. Questo gesto segna l'inizio di una nuova fase scura della vita del nostro Paese. Sono dispiaciuto che l'Italia si stia trasformando in un paese dell'odio. Sono fermamente convinto però che Berlusconi abbia una grande responsabilità politica, e non solo politica, sul cambiamento negativo del costume del nostro Paese, grazie all'immagine di potente intoccabile e impunibile che si è creato, all'uso politico delle sue televisioni e soprattutto all'uso che fa delle parole. Si permette ,per esempio, di dare degli eversivi al Capo dello Stato e ai giudici della Consulta o dei malati di mente ai giudici tutti o dei comunisti a chiunque gli faccia opposizione, compresi esponenti della Chiesa. Berlusconi e il "potere" che lo sostiene (che si chiami mafia o qualcos'altro) ha spaccato il paese in due. Ha creato degli slogan per agitare gli animi come se il "campo" politico fosse un campo di calcio, in modo che in molti si possano sentire chiamati in causa. Ha offerto facili argomenti per sentirsi migliori degli "altri". Contrappone sempre, durante i comizi, un generico "noi" da opporre ad un generico "loro" in modo da creare un fronte e quindi un nemico senza doverlo nominare. Lavora sull'immaginazione. Ha creato dei motivi fittizi per odiare la controparte, un nemico al quale poter dare una connotazione negativa slegata da una realtà tangibile. In questo modo prepara il terreno per poter poi attaccare chiunque (magari dandogli del "comunista", tanto per dare una definizione) ed essere sempre sostenuto, perché i suoi simpatizzanti a quel punto non avranno più bisogno di argomentazioni fondate per confrontarsi con gli "altri", basteranno quelle generiche che questo "sistema" offre loro.

Non so chi sia chi ha compiuto questo gesto e da cosa sia stato animato, o se abbia problemi psichici come scrivono i giornalisti, ma so che questo gesto fará molto più male (in senso lato) al Paese che a Berlusconi stesso (fisicamente). Rimane il fatto che esso rivela lo stato di emergenza in cui è calato questo Paese europeo che si ostina a chiamarsi democratico.

venerdì 11 dicembre 2009

Le telefonate "mafiose" di Dell'Utri

Un articolo di Salvo Palazzolo da Repubblica di Palermo.

Quando il boss Tanino Cinà telefonava a Marcello Dell'Utri



Ecco le telefonate intercettate a metà degli anni Ottanta sull'utenza di Marcello Dell'Utri nell'ambito di un'inchiesta dei giudici di Milano sul fallimento di una società. Per i magistrati che hanno condannato Dell'Utri in primo grado quelle telefonate con un mafioso di Palermo sono gli eccezionali riscontri alle accuse dei pentiti arrivate molti anni dopo

di Salvo Palazzolo

Il boss Gaetano Cinà
Il boss Gaetano Cinà

Nel caso Dell'Utri è considerato l'uomo chiave, Gaetano Cinà: il "tramite" - come lo definisce la sentenza che l'ha condannato in primo grado assieme al senatore di Forza Italia - "l'intermediario di alto livello fra l'organizzazione mafiosa e gli ambienti imprenditoriali del Nord". Ma lui non portava il doppiopetto. Per trent'anni, il signor Gaetano Cinà (che è deceduto nel 2006, prima dell'inizio del processo d'appello) ha lavorato nella piccola lavanderia di famiglia, a pochi passi da dove fu assassinato il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, nel salotto buono di Palermo.

Solo quando era ormai in pensione, tredici anni fa, venne arrestato con l'accusa di essere l'influente padrino della famiglia di Malaspina che all'inizio degli anni Settanta aveva fatto da tramite per l'arrivo del fattore-boss Vittorio Mangano nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi. Racconta il pentito Francesco Di Carlo che Cinà avrebbe anche accompagnato i capimafia Stefano Bontade e Mimmo Teresi negli uffici milanesi della Edilnord a un incontro con Dell'Utri e il costruttore Silvio Berlusconi, all'epoca in cerca di "garanzie di tranquillità" per tirare su Milano 2. Di Carlo ricorda ancora Dell'Utri e Cinà insieme, nel 1980, alla festa di matrimonio di un trafficante di droga, Girolamo Fauci, che si tenne a Londra. A metà degli anni Ottanta, la voce di Cinà era stata intercettata nel telefono di Dell'Utri, sotto controllo per ordine dei magistrati di Milano che indagavano sul fallimento della Bresciano. E anche queste intercettazioni fanno parte del processo al senatore di Forza Italia.

Il Capodanno del 1987, alle 12,39 Cinà telefona a Dell'Utri per fargli gli auguri (chiede anche: "Ma ne sai niente se l'ha vista, almeno, la cassata?". In un'altra conversazione, del dicembre 1986, Cinà aveva annunciato la spedizione di una cassata, con il logo di canale 5, al Cavaliere) ASCOLTA L'AUDIO

11 giugno 1988, Cinà ha ricevuto una comunicazione giudiziaria ed è preoccupato. Chiama Dell'Utri, che gli dice di venire a Milano ASCOLTA L'AUDIO

8 luglio 1988, Cinà cambia tono. Parla a Palermo con qualcuno rimasto senza nome e fissa un appuntamento ASCOLTA L'AUDIO

Dell'Utri si è sempre difeso: "Cinà era solo un caro amico, non sapevo delle sue frequentazioni con ambienti di mafia". Cinà, dal canto suo, non ha mai partecipato a un'udienza del processo. Non ha mai fatto alcuna dichiarazione in aula. Solo una volta rispose, durante un interrogatorio in Procura nel corso delle indagini: "Mio figlio giocava a calcio nella Bacigalupo, allenata da Dell'Utri. Io stesso sono stato dirigente della squadra per dieci anni. È da allora la mia grande amicizia con Dell'Utri, che io considero come un figlio". Ma, paradosso dei paradossi, a mettere nei guai Dell'Utri e Cinà è arrivato nel processo di Palermo il verbale di un inaspettato testimone, Silvio Berlusconi. Nel 1987, quando ancora nessuno pensava al processo per mafia a carico di Dell'Utri, l'imprenditore diceva ai giudici di Milano a proposito dell'assunzione di un fattore: "Chiesi a Marcello di interessarsi. Lui mi presentò il signor Vittorio Mangano come persona a lui conosciuta, più precisamente conosciuta da un suo amico con cui si davano del tu, che da tempo conosceva e che aveva conosciuto sui campi di calcio della squadra Bacigalupo di Palermo, squadra di dilettanti". All'epoca, naturalmente, il nome di Cinà non aveva fatto capolino nelle carte giudiziarie. Oggi, dietro l'assunzione di Mangano ad Arcore i giudici di primo grado del processo Dell'Utri ritengono di aver trovato la prima intermediazione di Cinà.

(10 dicembre 2009)

I diversamente concordi

Rag. Ugo Fantozzi, segretario del Pd

di Marco Travaglio

Chissà che aspettano i diversamente concordi del Pd per urlare alto e forte chi è Silvio Berlusconi. Forse aspettano che li faccia arrestare a uno a uno, modello Putin o Lukashenko. Fino a quel momento, dialogo e prudenza. Si pensava, anni fa, che bastasse la Telekom Serbia, quando il Pdl costruì una commissione parlamentare per fabbricare a tavolino tangenti immaginarie da Milosevic a Prodi, Fassino e Dini sui leggendari conti Mortadella, Cigogna e Ranocchio. Niente da fare: dialogo e prudenza. Ora si scopre che Berlusconi ricevette in dono per Natale 2005 l’intercettazione segretata Fassino-Consorte (“Abbiamo una banca?”) e una settimana dopo il suo Giornale la sbattè in prima pagina avviando la campagna elettorale. Non male per l’ometto di Stato che tuona da 15 anni contro le fughe di notizie, brandisce la privacy e il “segreto istruttorio”, vuole abolire le intercettazioni (tranne quelle degli altri). Basterà a far insorgere i diversamente concordi? Ma no che non basta. Al loro posto i berluscones avrebbero già tirato giù il governo, l’Ue, e forse anche l’Onu. Invece, dal fronte pidino, è tutto un pigolare distinguo fra se, ma, però, magari, forse, avrebbe, eventualmente, se fosse confermato... Dialogo e prudenza. La scena ricorda quella del rag. Ugo Fantozzi pestato a sangue da una gang di teppisti che sventrano pure la Bianchina e, fra un ceffone e una testata, prima di perdere i sensi esala: “Badi, signore, che se osa alzare la voce con me...”. Ogni giorno la cronaca sforna tre-quattro assist, a beneficio di un’eventuale opposizione: tutte palle alzate in attesa di qualcuno addetto alla schiacciata. Impresa titanica per il Pd, notoriamente acronimo di Per Disperazione. Ieri il Corriere pubblicava un commento di Salvatore Bragantini sulla mega-fideiussione prossimamente emessa da Intesa Sanpaolo per garantire il debito di Berlusconi & Fininvest verso De Benedetti per avergli fregato la Mondadori con una sentenza comprata da Previti (una cosina da 750 milioni): “Immaginiamo se Obama convocasse a Washington il gotha bancario Usa per garantire un suo debito personale: non sarebbe concepibile”. Anche perché in America l’opposizione c’è. E anche perché in America porcherie come l’operazione Alitalia, pilotata da Intesa Sanpaolo, finiscono in tribunale. Sempre ieri La Stampa raccontava come Previti abbia appena staccato un assegno da 17 milioni per evitare un processo per riciclaggio e chiudere il contenzioso con la stessa Intesa Sanpaolo, proprietaria dell’Imi a suo tempo derubata di 1000 miliardi di lire dalla famiglia Rovelli grazie a un’altra sentenza comprata dalla premiata ditta Previti & C. Naturalmente i 17 milioni, secondo La Stampa, han fatto il giro del mondo fra le Bahamas e il Liechtenstein, nella migliore tradizione del nostro centrodestra off shore. Stiamo parlando di un soggettino che Berlusconi portò al governo nel ‘94 e in Parlamento nel ‘94, nel ‘96, nel 2001 e nel 2006: lo voleva addirittura ministro della Giustizia e solo grazie alla vista aguzza di Scalfaro, molto fisionomista, fu dirottato alla Difesa. A questo punto anche l’opposizione del Madagascar o dell’isola di Pasqua, con tutto il rispetto, chiederebbe conto al premier di questa vergogna a cielo aperto e, appena ciarla di complotti giudiziari e toghe rosse, lo incalzerebbe con qualche domandina semplice semplice. Scusi, ometto, ma se era tutto un complotto, perché Previti ha restituito 17 milioni sull’unghia? E ora che aspetta a chiedere scusa a Stefania Ariosto, ai pm di Mani Pulite e ai giudici di primo, secondo e terzo grado che condannarono il suo amico corruttore di giudici ed evasore fiscale e che lei e i suoi house organ avete diffamato e calunniato per 13 anni? Ancora una cosa, ometto: se i complotti ai suoi danni sono tutti come quelli che han colpito Previti, non sarà per caso colpevole anche lei? Infatti i diversamente concordi queste domande non le fanno. Mica siamo in Madagascar o nell’isola di Pasqua.

mercoledì 9 dicembre 2009

Genchi: la verità sugli ultimi arresti di mafia



Secondo Gioacchno Genchi l'arresto di Nicchi e Fidanzati (notizia ANSA) è una montatura per dimostrare che lo Stato è contro la mafia, mentre Spatuzza sta raccotando che lo Stato di adesso ed in particolare Berlusconi e Dell'Utri hanno affari con la mafia dagli anni '70. Di Carlo, un altro pentito che ha deposto nel processo in primo grado a Dell'Utri, parla di un primo contatto tra Berlusconi trentenne e Stefano Bontade allora capo supremo della mafia nel 1974. All'incontro era presente anche Dell'Utri e altri dirigenti della Fininvest da una parte e della mafia dall'altra. Dell'Utri era l'unico affiliato ad entrambi le parti.

Il passaparola di questa settimana di Travaglio spiega in dettaglio queste vicende:

lunedì 7 dicembre 2009

L'onda viola dice basta


Una marea umana a Roma per il No B. Day: “Siamo un milione”

L’ONDA VIOLA DICE BASTA

L’ITALIA PULITA HA UN VOLTO GIOVANE

di Antonio Padellaro

Se sono stati un milione o forse di meno o forse di più ha poca importanza perché raramente si era vista tanta energia vitale nelle strade di Roma. Energia nuova perché le ragazze e i ragazzi erano testa, cuore, braccia, gambe del grande corteo, e a vent’anni il sangue scorre più velocemente, e i pensieri pure. Energia tranquilla perché non c’è stato un solo gesto sbagliato, una vetrina infranta, una bandiera bruciata così che i tanti corvi del malaugurio sono rimasti a becco asciutto. Energia scaturita da quel vulcano inesploso che è la condizione giovanile. Generazioni abbandonate a se stesse, senza lavoro e senza prospettive in un paese dominato da un potere invecchiato male, rancoroso, autistico, indifferente, impresentabile e reso più grottesco dai lifting ripetuti. Un popolo acerbo ma compatto che ha scelto il viola per marcare la distanza forse irrecuperabile con i colori tradizionali dei partiti, di tutti i partiti. Non inganni il bersaglio Berlusconi che, certo, non incarna un modello accettabile per chi ha un minimo di ideali nella vita. Ma il premier, almeno, calamita attenzione, sia pure per contrasto. Molto di più dovrebbe preoccuparsi quella opposizione sempre più condannata alla irrilevanza. Impegnata nel ridicolo balletto del vado-non vado al corteo, e infatti rimasta ai margini del fiume in piena. L’onda viola ha lanciato il suo basta. Chi saprà raccoglierlo prima che diventi energia sprecata, delusa, negativa?



Io c'ero


Io sabato c'ero. Sono stato al No B. Day. Ho camminato insieme a centinaia di migliaia di persone in un corteo che a Roma da piazza della Repubblica si è portato a piazza S. Giovanni. È stata una esperienza bellissima. Ho incontrato un'umanità fantastica. Tanti, tantissimi i giovanissimi. Molto creativi gli slogan. Massima è stata la civiltà dimostrata. Mia madre aveva paura che venissimo caricati dalla polizia. Ho visto pochissime pattuglie, solo alcuni della digos mescolati tra la gente. Personaggi che ti fissano con fare sospetto. Che schifo dev'essere fare i servi di un regime ignorante. Mia madre temeva che le forze dell'ordine si scagliassero contro dei cittadini inoffensivi dimostranti. In che paese viviamo se una madre deve avere paura delle forze dell'ordine? In che Stato siamo? Bene, tutti quelli che sono scesi in piazza sabato sanno perfettamente in che Stato viviamo. Abbiamo fatto bene a muoverci, a diventare testimoni di quello che l'Italia è diventata o forse semplicemnete di quello che l'Italiaè. Perché l'Italia non è diventata così, forse lo è sempre stata. Provate a parlare con quelli che sostengono questo governo e vedrete che loro e i loro padri e madri non sono cambiati negli ultimi 15 anni. È proprio questo il problema. Non siamo cresciuti come popolo. Ma sabato in piazza c'era un popolo che ha voglia di crescere e lo ha gridato forte. Come altre volte l'intervento di Salvatore Borsellino è stato per me il più toccante. Ero lì anche per sentire quel "profumo di libertà" di cui parla sempre lui in queste occasioni. Ero lì per sentire quella vibrazione che nasce dall'emozione nel sentire Borsellino gridare "resistenza resistenza"!!! A fine serata ho stretto la mano a Borsellino e l'ho ringraziato a nome di tutti noi.

Ascoltate le sue parole dal palco. In particolare gli ultimi momenti del secondo video. Quel grido deve rimbombare nelle viscere di ogni cittadino onesto!




La scorta di Falcone

Dal blog Antefatto.it un post di Peter Gomez:

La verità sugli arresti dei boss Gianni Nicchi e Gaetano Fidanzati è semplice. Le nostre forze di polizia e la nostra magistratura continuano a lavorare e a produrre risultati nonostante i tagli ai finanziamenti per la sicurezza per centinaia di milioni di euro. Ogni giorno in strada ci sono ragazzi e ragazze che lavorano per 10, 12 ore sapendo che nessuno pagherà loro gli straordinari o rimborserà la benzina.

Ogni giorno nelle Questure e nelle caserme c'è gente che si porta da casa computer, toner o carta per fotocopiatrici , perché i soldi per nuovi materiali non ci sono più. E tutto questo avviene mentre la classe politica ha il coraggio di rivendicare come propri i successi nella cattura dei latitanti. Non è un bello spettacolo. Soprattutto perché in strada polizia, carabinieri e finanzieri rischiano la vita. Per questo l'Antefatto, assieme ai nostri articoli sui retroscena del doppio colpo a Cosa Nostra, pubblica integralmente questa lettera aperta scritta dall'assistente capo della polizia Antonello Marini. Leggetela con attenzione.


LETTERA APERTA
Palermo, li 1 dicembre 2009

Il sottoscritto Ass. c.po della P. di S. MARINI Antonello, fa presente quanto segue: Domenica 29 novembre verso le ore 21,00 circa, mi trovavo presso l'armeria del Reparto Scorte, notavo un giovane collega avente in mano un "Pappello" di moduli in carta riciclata, quando in quel momento fui colto da un irresistibile necessità di ispezionare quei fogli, come colto da un irresistibile richiamo chiesi al collega di mostrarmeli, quindi estrapolandone dal mazzo uno in particolare, con grande stupore e meraviglia condivisa dai colleghi presenti, notai immediatamente che si trattava dell'ordine di servizio ORIGINALE del 23 maggio 1992, e più precisamente l'ordine di servizio della Ouarto Savona 15 e 15 Bis. Proprio lei la Scorta del Giudice Falcone. l'ordine di servizio del giorno della strage. ed ebbi la sensazione che quel foglio. mi avesse in qualche incomprensibile modo chiamato. Faccio presente che di tale fatto, al termine di un breve interminabile emozionantissimo e commovente silenzio, è seguita una condiyisa manifestazione di rabbia e grande risentimento, nell' essersi resi conto che un documento di inestimabile valore, quale prova inconfutabile per coloro che portano il ricordo sincero nel cuore, che il 23 maggio sia realmente esistito e che quegli equipaggi erano reali, L'ORDINE DI SERVIZIO PER IL QUALE SONO ANDATI A FARE IL LORO DOVERE PER L'ULTIMA VOLTA quei nostri colleghi. Non siamo riusciti a comprendere come abbia potuto quel prezioso reperto, finire nella carta riciclata, ECCO SCUSATE L'IGNORANZA, LA SCARSA INTELLIGENZA, SE VOGLIAMO LA NOSTRA STUPIDITA' MA NON RruSCIAMO A COMPRENDERE, come quel documento con quei nomi, sia potuto diventare spazzatura e del perché invece, innumerevoli colleghi ~biano immediatamente sentito la necessità la voglia, di fotocopiarlo, con la fotocopiatrice di reparto, con la carta di reparto, con quella carta tanto preziosa bianca che si deve risparmiare, e se qualcuno pensa che questo sia stato un abuso o un comportamento illegittimo perche noi, perche io cercassi di salvare la memoria del foglio, di quel foglio di quel maledetto giorno, faccio presente che in quel momento ero il più alto in grado e ho autorizzato tutto io, e che mi assumo tutta la responsabilità di legge e regolamento, eeee homo, ecco ii pettu;~come io e i ngazzÌ delle scotte siarncfiibituati· a mostrare sempre, quando usciamo di servizio con i CESSI DI AUTO che ci date per lavorare, mentre le personalità e soprattutto i politici hanno le auto blindate alla moda, VIP ultimò modello, sedili in pelle e tutti gli optional, confort e soprattutto ben BLINDATE, tanto per loro si, che non sono mai soldi sprecati. Parole pesanti? Be non girerò la faccia facendo finta non vedere e non capire, io sono delle Scorte, e la paura io non la conosco più, me l'hanno rubata il 19 luglio del 1992. Qualcuno pretende dai dipendenti Pubblici un GnJRAMENTO, ma prima di far giurare gli altri, che li mantenessero loro i giuramenti, come quello che ci avevano fatto per bocca del ministro dell'interno e del capo della Polizia, dopo le stragi, che a Palermo, mai più, mai più, avremo lavorato senza auto blindate. BUGIARDI, BUGIARDI. Quante brillanti carriere a tutti i livelli, più splendenti delle comete, quanti elogi encomi, persino chi ha salvato il gatto della nonnina sul ramo dell'albero è stato encomiato. Agli uomini che salivano sulle croma e alfettone blindate, quando c'era da sporcarsi le mutande e pochissimi volevano fare quello sporco lavoro, nessuno ha mai, detto neppure grazie. Perché andare avanti, davanti a tanta ingratitudine? Per il solito maledetto motivo di sempre, perché questo è il nostro "sporco" sacro lavoro, perché non saremo mai da meno ai nostri EROI e mai li disonoreremo. Signor Questore la prossima volta che qualcuno decide di premiare qualcuno, mi dia l'opportunità di farle presente anche, qualche nome dei ragazzi delle Scorte, e giuro davanti a Dio, che sono uoinini che se lo meritano davvero per la devozione, il coraggio lo spirito di sacrificio con il quale anche oggi continuano a proteggere nonostante mai come ora il livello di sicurezza per la pelliccia dei ragazzi delle scorte sia stato così basso. Si parla tanto di valori, di ideali, ecco noi li abbiamo fatti nostri, ma per condividere certe cose, occorre avere oltre alla voglia di far carriera e mettersi in evidenza, anche una capacità dell' anima che si chiama SENSffiILIT A' quella che è mancata, nel far insensibilmente circolare, ciò di cui abbiamo illustrato e non accorgersi o non aver previsto che, tra la carta straccia c'era qualcosa, che pecçhi ha questa capacità la SENSffiILIT A', avrebbe quantomeno fatto girare qualcosa, nello scoprire che per quello che qualcuno considerava solo carta da riciclare e che pure non riusciva a capire, che per quel banalissimo foglio, considerato spazzatura, potesse esserci qualcuno e più di uno, disposto rischiare tutto quello che ha, come avevano già fatto i suoi compagni a maggio e a luglio del 92. Quel foglio mi ha chiamato, era l'originale ed ora è mio, perche l'ho raccolto dai rifiuti e non lo darò mai a nessuno che io non voglia. Forse qualcuno pensandoci meglio, si renderebbe conto che dovrebbe chiedere scusa, e quel qualcuno non sono io.

mercoledì 2 dicembre 2009

Silenzio parla Spatuzza

Torino, tutti gli occhi sullo Spatuzza-Day

MAFIA, DOMANI LA DEPOSIZIONE DEL PENTITO CHE ACCUSA BERLUSCONI E DELL’UTRI

di Stefano Caselli (Fatto Quotidiano)

Torino si prepara al d-day, dove d sta per deposizione. Venerdì 4 dicembre, alle nove del mattino, Gaspare Spatuzza parlerà di fronte alla Corte d’Appello di Palermo in trasferta nel capoluogo piemontese. Niente aule bunker, audizioni a porte chiuse e simili. L’udienza del processo di secondo grado a carico del senatore Marcello Dell’Utri, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa e condannato a nove anni di reclusione in primo grado, si terrà al Palazzo di Giustizia. A porte aperte, nella maxi aula numero uno del piano interrato. La stessa dove si ammassavano gli appassionati del caso Franzoni; la stessa che in questi mesi ospita il processo per la strage della ThyssenKrupp; la stessa, infine, che lo scorso 6 aprile accolse, senza intoppi, oltre trecento cittadini, costituitisi parte civile all’udienza preliminare del processo per i morti dell’Eternit, che si aprirà giovedì 10 dicembre con un afflusso di almeno ottocento parti lese (ma potrebbero essere il doppio).
E proprio il buon esito della maxiudienza Eternit deve aver consigliato il presidente della Corte d’Appello di Palermo Claudio Dell’Acqua a trasferire a Torino, per motivi logistici e di sicurezza, la deposizione dell’ultimo collaboratore di giustizia di Cosa Nostra, che con le sue rivelazioni potrebbe riscrivere un pezzo di storia dello stragismo mafioso dei primi anni Novanta. A occuparsi di tutto nei minimi dettagli, come in altri casi simili, l’avvocato generale di Torino Luigi Riccomagno: “Questa mattina (ieri, ndr) ci siamo riuniti con il personale di polizia, carabinieri, polizia penitenziaria e con gli addetti alla vigilanza esterna per mettere a punto le operazioni di sicurezza e la tutela dei magistrati della Corte d’Appello e della Procura generale di Palermo. La Corte d’Appello ha autorizzato oltre cento giornalisti – dichiara Riccomagno – il che ha reso insufficiente la capienza dell’aula inizialmente prevista. La decisione definitiva su dove tenere l’udienza spetta ora alla Corte d’Appello di Torino”.
Dunque, salvo improbabili sorprese, si trasloca nell’aula uno, grande abbastanza per contenere giudici, avvocati, troupe televisive e giornalisti accreditati provenienti da tutta Italia e dall’estero. Potrà accedere anche il pubblico. In caso di sold out è pronto il video-collegamento con la vicina aula due o addirittura – ce ne fosse bisogno – con l’aula magna. “Gli unici disagi – conclude Luigi Riccomagno – potrebbero derivare da alcune restrizioni alla viabilità su corso Vittorio Emanuele, ma l’interferenza con la normale attività del Palazzo di Giustizia sarà minima”. Un palazzo intitolato alla memoria di Bruno Caccia, procuratore capo di Torino ucciso dalla ‘Ndrangheta il 26 giugno 1983, il cui ingresso principale da su via Giovanni Falcone, che poco più in là diventa via Paolo Borsellino.

Mi chiamo Bond...i

Rubrica del Fatto ALTRO CHE FUORIONDA

ZITTO E BONDI

Serataccia di Bondi a Ballarò. Il ministro aveva provato a fare la voce del capo sull’affaire del fuorionda del presidente della Camera: “È opportuno che Fini ribadisca le sue posizioni e le chiarisca”. Poi una tirata sul presidenzialismo e sul diritto del premier di andare avanti. Ma squilla l’imprevisto. La telefonata di Fini: “Sono presidenzialista da quando Bondi militava nel Pci. Ma il presidente eletto dal popolo ha il dovere di rispettare gli altri poteri: l’ordine giudiziario, il Parlamento, la Corte Costituzionale, le altre magistrature. Quindi non ho nulla da chiarire e non cambio opinione”. Sandrone sbianca, tenta la replica: “Ma ho detto le stesse parole di Fini. È giusto che il capo dell’esecutivo abbia rispetto degli altri poteri e ordini dello Stato. Ma Berlusconi non è mai venuto meno a questo”. Peggio, altra batosta: “Credo che gli spettatori abbiano compreso il senso delle mie dichiarazioni e quelle di Bondi” lo affonda Fini. Applausi in studio. Niente fuorionda.

La politica dei cannoli

Dal Fatto Quotidiano un articolo di Sandra Amurri.

Il Pd, l’Udc e il caso Cuffaro

VERSO L’ALLEANZA NELLE MARCHE MA CASINI DIFESE TOTÒ

di Sandra Amurri

Le Marche fanno da apripista all’alleanza del Pd con l’Udc in vista delle prossime Regionali. Parola di Enrico Letta: “Riportare tutti i nostri a votare non basta per vincere, più riusciamo a fare un’intesa con l’Udc più si concretizza l’alternativa a Berlusconi. Non andiamo con il cappello in mano da nessuno ma stare con l’Udc è importante”. Verrebbe da dire, con il cappello in mano, no, ma neppure con i “cannoli” con cui Totò Cuffaro ha festeggiato la condanna in primo grado a 5 anni “solo” per aver favorito singoli boss e non Cosa Nostra, come sostenuto nel rinvio a giudizio. Casini a Ballarò lo commentò così: “Posso sbagliare ma, nella mia responsabilità politica, ritengo che Salvatore Cuffaro sia una persona perbene e dunque lo candideremo alle elezioni”. Cuffaro fu eletto senatore e l’Udc anche grazie ai suoi voti siede in Parlamento. Riconoscenza di cui Cuffaro gli ha subito dato atto: “Ringrazio Casini per la passione che ha messo nel difendermi. Non posso accettare lezioni di morale da nessuno”. Chi conserva ancora il vizio della memoria ricorda anche che Casini da presidente della Camera, mentre era riunita la Camera di Consiglio che condannò Dell’Utri a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, telefonò al senatore per esprimergli “i più profondi sensi di stima e amicizia”. Parole gradite a Dell’Utri: “Provo affetto per Pier Ferdinando, gli voglio bene, si è esposto manifestandomi solidarietà in modo spontaneo, sincero, disinteressato”. Casini disse anche: “Noi, al contrario della sinistra, dobbiamo vincere le elezioni, la sinistra o le vince o le vince a tavolino con i ribaltoni o con l’intervento del potere giudiziario che il più delle volte interviene a fiancheggiarla. La vera anomalia italiana non è Berlusconi ma il fatto che Forlani sia ai servizi sociali. Rispetto a questo, la proprietà di Mediaset è un dettaglio trascurabile”. Ma Casini è lo stesso che in una riunione del partito ha detto: “Dobbiamo liberarci dei corrotti, dei riciclati e di chi ha condiviso le dimissioni di Cosentino. Premesso che rispondere “esiste la presunzione di innocenza fino a giudizio definitivo” non possa avere valenza politica, premesso che i comportamenti dei leader non sono indifferenti in politica, la domanda resta. Ed è: il Pd, che rivendica la difesa della legalità e la necessità della questione morale, non dovrebbe pretendere da Casini un ripensamento pubblico su certe frasi e coerenza tra ciò che dice oggi e ciò che ha detto, o non detto, ieri tenendo presente che la neutralità di fronte a un’ingiustizia vuol dire scegliere l’oppressore, per dirla con il vescovo sudafricano Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace? “I voti Cuffaro li prende in Sicilia e noi con quelli non abbiamo nulla a che fare”, chiarisce Rosy Bindi che da presidente del Pd non va al No B. day mentre come Rosy Bindi potrebbe andarci. “Noi non ostentiamo sicurezza o autosufficienza. Faremo alleanze dove ci saranno le condizioni”. Sostanza condivisa dalla Finocchiaro: “Non mi pare che Cuffaro sia un astro nascente del’Udc, che occupi politicamente un posto centrale, che sia l’asse attorno al quale valutare l’alternativa se consegnare i governi delle regioni al Pdl. Avere una lettura manichea dell’Udc sarebbe ingeneroso,sbagliato e non veritiero. È ovvio che la politica dell’Udc è a geometrie variabili, è chiaro che non si deve essere di bocca buona ma neppure discriminare in assoluto ma si deve valutare scegliendo di governare su una serie di posizioni condivise”. Mentre a dissentire è Bruno Tabacci, uscito dall’Udc per fondare con Rutelli “Alleanza per l’Italia”: “Occorre scrivere un rigoroso codice etico, nuove regole del gioco, impegnarsi a rispettarle e non solo a farle rispettare. È un’esigenza del Pd e dell’intero sistema politico italiano” che con chiaro riferimento al premier ma anche a Letta aggiunge: “A Cuffaro va dato atto che ha accettato di farsi processare , di difendersi nel processo e non dal processo”. E alla proposta di Dell’Utri di “modificare” il concorso esterno risponde: “La forza della mafia sta anche nel poter contare su comportamenti ambigui, non trasparenti di pubblici ufficiali e politici”. A proposito del racconto dell’ex moglie del senatore del Pdl D’Alì dice: “Uno spaccato sconcertante, ne sono rimasto stordito” definendo il silenzio seguito delle forze politiche di opposizione “il risultato di un paese confuso dalle escort dai trans, dalle leggi ad uso personale che ormai digerisce tutto, un paese malato che non è più in grado di indignarsi”. Ma anche di una politica cinica che “conosce il prezzo di tutte le cose ma non il loro valore” per dirla con Oscar Wilde.

Alleati

martedì 1 dicembre 2009

Cosa c'entra Forza Italia con la Mafia?

Un'estratto dall'articolo di D'Avanzo di oggi su Repubblica.
L'articolo intero lo trovate QUA.

L'analisi. Nel '94 l'annuncio, ma il progetto partì nel '92. Il premier lamenta di essere accusato di "cose mai viste" a proposito delle stragi di mafia del 1993

La nascita di Forza Italia e le bugie del Cavaliere

Ma ci sono anche documenti notarili che retrodatano la creazione del partito

di GIUSEPPE D'AVANZO


La nascita di Forza Italia e le bugie del Cavaliere

FORZA ITALIA nasce nel 1993, da un'idea covata fin dal 1992. Non c'è dubbio che già nell'aprile del 1993 - quindi alla vigilia della prima ondata delle stragi di mafia di via Fauro, Roma (14 maggio), via dei Georgofili, Firenze (27 maggio) - è matura la volontà di Berlusconi di "mettersi alla testa di un nuovo partito".

In luglio - in parallelo con la seconda ondata di bombe, via Palestro, Milano, 27 luglio; S. Giorgio al Velabro, S. Giovanni in Laterano, Roma, 28 luglio - si mette a punto il progetto politico che diventa visibile in settembre e concretissimo in autunno. E' una cronologia pubblica, quasi familiare, documentata da testimoni al di sopra di ogni sospetto. Dagli stessi protagonisti. Addirittura da atti notarili. Se è necessario ricordarla, dopo sedici anni, è per le sorprendenti parole di Silvio Berlusconi. Dice il presidente del Consiglio a Olbia: "Mi accusano di cose mai viste. Dicono che io sia il mandante delle stragi di mafia del '92 e '93; che avrei orchestrato insieme a Dell'Utri per destabilizzare il Paese. E' una bufala visto che Forza Italia non era ancora nata e nacque solo un anno dopo quando diversi sondaggi mi avevano detto che c'era un spazio politico per evitare che finissimo in mano ai comunisti" (il Giornale, 29 novembre).

[...]

E' il 4 aprile 1993. Quel giorno - è domenica, piove, fa freddo come in inverno - può essere considerato il giorno di nascita di Forza Italia. Perché il Cavaliere vuole farlo dimenticare?

Non è una novità, in Berlusconi, l'uso politico e sistematico della menzogna. In questo caso egli nega la realtà, la sostituisce con una menzogna per liberarsi di un sospetto - fino a prova contraria, soltanto una coincidenza - sollecitato dal sincronismo tra le sue mosse politiche e la strategia terroristica di Cosa Nostra. E' una contemporaneità che i mafiosi disertori dicono combinata. Se c'è stata intesa o collaborazione, non ha trovato per il momento alcun attendibile, concreto conforto. Confondere le cose, eclissare fatti da tutti conosciuti, appare a Berlusconi la migliore via d'uscita dall'imbarazzante angolo. E' la peggiore perché destinata a rinvigorire, e non a sciogliere, i dubbi. Un atteggiamento di disprezzo per la realtà già non è mai moralmente innocente. In questi casi, la negazione della realtà - al di là di ogni moralistica condanna - finisce per mostrare il bugiardo corresponsabile di una colpa. Che bisogno ne ha Berlusconi, quando raccontando la verità dei fatti può liberarsi di quella nebbia? Perché non lo fa? Qual è la ragione di questa fragorosa ultima menzogna, in un momento così delicato per il Cavaliere?