giovedì 28 gennaio 2010

La selezione della classe dirigente

Dal Fatto di oggi.

Il deserto del tartaro

di Marco Travaglio

La differenza fra Pdl e Pd, a parte la elle, è tutta nella battuta di Prodi: “Ma chi comanda nel Pd?”. Nel Pdl invece comanda il Banana. Infatti, mentre il centrosinistra si dilania in primarie fratricide, sfibranti dibattiti su alleanze e candidature, addirittura dimissioni per scandaletti da film di Jenny Tamburi e Bombolo, e mentre persino Cuffaro si autosospende dall’attività politica nell’Udc (ma non dal Senato, mica è fesso) dopo la condanna per favoreggiamento mafioso, dall’altra parte non muove foglia che Banana non voglia. Anche Fini è tornato a cuccia, i suoi han votato il processo morto e ora vorrebbero addirittura riesumare l’immunità parlamentare. Nicola Cosentino, raggiunto da un mandato di cattura, è saldamente al suo posto di sottosegretario alle Finanze e presidente del Cipe: lui mica aveva l’amante, è solo indagato per Camorra. Raffaele Fitto, rinviato a giudizio due volte per corruzione, turbativa d’asta e interesse privato, rimane a pie’ fermo ministro e sceglie pure il candidato governatore di Puglia. Lottizia Moratti, condannata in primo grado col suo staff dalla Corte dei conti a risarcire 263 mila euro per avere sperperato denaro pubblico in consulenze inutili, resta felicemente sindaco di Milano.
Idem Roberto Castelli, noto nemico di Roma ladrona, condannato pure lui dalla Corte a restituire 100 mila euro per le consulenze pazze al ministero della Giustizia, ergo viceministro delle Infrastrutture. L’esempio viene dall’alto: se il Banana non fa una piega nemmeno ora che ha mezza famiglia indagata per frode fiscale e appropriazione indebita da 34 milioni di dollari, c’è speranza per tutti. Resta da capire cosa debba fare uno del Pdl per doversi dimettere: basterà una rapina in banca con omicidio, o è richiesta la strage? Dopotutto la democrazia all’italiana è questa: prendere i voti e profittarne finché si può. Dopo il processo breve, il Banana ha inventato le primarie brevi: rimessosi dal vile attentato di piazza Duomo, si è riunito con se stesso, ha riaperto l’agendina delle girls (una Treccani in 18 volumi) e ha messo giù le liste e i listini. Repubblica informa che, nei listini con gli eletti sicuri in ogni regione, “due posti vanno lasciati a disposizione del Presidente”. Pare che l’assista nella ferrea selezione Licia Ronzulli, la sua fisioterapista promossa eurodeputata, detta anche “la Rasputin di Arcore”. Licia Rasputin gli avrebbe suggerito, fra i candidati d’eccellenza, un collega massaggiatore. Ma “questi dovrà vedersela con il suo geometra di fiducia del Cavaliere, Francesco Magnano, con il massaggiatore del Milan, Giorgio Puricelli, e la sua igienista dentale che avrebbe avuto piccole esperienze televisive”. Alla regione Lombardia mancava giusto quella che gli leva il tartaro dal sorriso di plastica. Dopodiché nulla osterà all’elezione della callista, del tagliatore di peli dal naso e del fornitore di capelli sintetici (a proposito, è ora di una ripiantatina). A quel punto bisognerà trovare un posto anche alla manicure di Angelino Jolie, che non ha fatto nulla di male per essere così odiosamente discriminata, anzi le tocca pure maneggiare gli arti superiori del Guardasigilli alle Maldive. Pare che l’altro giorno un certo Riccardo Migliori, ex di An, sia salito a Palazzo Grazioli per autoproporsi come governatore in Toscana: il Banana, quando finalmente, dopo lunga anticamera, l’ha ricevuto nel consueto accappatoio bianco, ha obiettato: “Lei avrà anche esperienza, ma non ha il fisico adatto, qui ci vuole una bella donna”. Pare infatti che il Migliori sia sprovvisto di tette e, diversamente dal premier, pure di fondotinta. Scartato. Per la Toscana si pensa alla procace ex sindaca di Castiglion della Pescaia, Monica Faenzi, sponsorizzata dal coordinatore Pdl Denis Verdini, lo stesso che un anno fa stroncò le speranze di rielezione dell’europarlamentare pugliese Marcello Vernola con questa insuperabile motivazione: “Caro, tu non c’hai le poppe”. Poi dicono che in Italia non c’è selezione delle classi dirigenti.

mercoledì 27 gennaio 2010

Il senso dello Stato

Dal fatto di oggi.

D’Alema alla prova del Copasir: può dimostrare il “senso dello Stato”

di Marco Lillo

Massimo D’Alema è stato nominato presidente del Copasir, il Comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti, all’unanimità. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni gli ha promesso la sua collaborazione e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi, Gianni Letta, ha brindato alla sua elezione. Dal canto suo D’Alema, che ieri pareva tornato ai tempi della nefasta Bicamerale delle riforme del 1997, per l’occasione ha rispolverato lo slogan dell’epoca: “Lavorerò con senso dello Stato”. Ecco, se vuole mantenere questa promessa, dovrà abituarsi all’idea di perdere il consenso unanime. Il primo caso all’ordine del giorno è quello del segreto di stato sui processi di Perugia e Milano. Per fermare i pm che volevano incriminare l’ex capo del Sismi Nicolò Pollari e il capo del controspionaggio Marco Mancini per il caso del sequestro Abu Omar e il medesimo Pollari, stavolta in compagnia del fido Pio Pompa, per l’archivio di via Nazionale contenente dossier su giornalisti e magistrati, il premier ha apposto il segreto. Quella decisione però non tutela solo Pollari, Mancini e Pompa ma anche il loro capo, cioè Berlusconi stesso. La legge attuale permette al Copasir di opporsi alla decisione di Berlusconi sollecitando una discussione pubblica e una votazione del Parlamento. Uno scenario
improbabile: il Copasir (guidato dall’opposizione per legge) è stato finora un esempio di politica delle larghe intese alle spalle dei cittadini. Durante la gestione di Francesco Rutelli il Copasir si è occupato con grande generosità della protezione della privacy del premier a Villa Certosa ma non ha mai votato una relazione sullo scandalo di via Nazionale. Si è attardato in audizioni interminabili sui tabulati di Gioacchino Genchi ma ha evitato come la peste Pio Pompa e sodali. Ecco, se D’Alema vuole davvero tutelare l’interesse dello Stato e non quello dei politici e dei loro miseri accordi trasversali, non deve fare molto. Basta chiedere subito tutte le carte della Procura di Perugia che indaga sull’archivio di Pio Pompa e tutte quelle dell’indagine di Milano sul sequestro Abu Omar e sulle relazioni tra Sismi e Telecom. Quelle carte sono in gran parte pubbliche e “Il Fatto Quotidiano” le ha messe a disposizione dei suoi lettori. Vi si legge, per esempio, di una chiara attività di lobby posta in essere dai seguaci del fondatore del San Raffaele, don Luigi Verzé, i cosiddetti “raffaeliani”, per far nominare al vertice del Sismi nel 2001 Nicolò Pollari. Lo scopo, non era quello di lottare contro Osama bin Laden, ma quello più prosaico di fare affari e ottenere finanziamenti pubblici per varie operazioni, alcune delle quali, dopo la nomina di Pollari, poi giunte in porto. I membri del Copasir hanno letto sul nostro quotidiano che in un immobile affittato da don Verzé (come da progetto di Pompa) Nicolò Pollari stabilì un centro del Sismi. E che proprio lì accanto lo stesso Pollari ottenne a prezzo di saldo da don Verzé una bella villa da 24 vani a 500 mila euro. Dal nostro giornale il Copasir ha appreso l’esistenza nelle carte di Perugia dei compensi stratosferici previsti per il politologo americano Edward Luttwak (300 mila euro) e per la società italiana Apri (2 milioni di euro). Il Copasir avrebbe potuto conoscere queste cose da solo, chiedendo gli atti (depositati) ai magistrati di Perugia. Invece non lo ha fatto. Ora che le ha lette sul nostro giornale però può recuperare il tempo perduto. E sarebbe davvero imbarazzante se il Copasir dell’era D’Alema non se ne occupasse. Con senso dello Stato. Ovviamente.

Bertochi?

Dal Fatto di oggi.

Disguido Bertolaso


di Marco Travaglio

Il Banana ha trovato finalmente il suo erede naturale, un uomo che come lui, appena varca i confini patrii, riesce a scatenare guerre diplomatiche di dimensioni planetarie. Quest’uomo è Guido Bertolaso, medico specializzato in malattie tropicali dell’infanzia, da anni scambiato in Italia da destra e da sinistra per un grande esperto in fatto di Protezione civile. In realtà l’unica esperienza che il popolare Disguido ha maturato sul campo è quella in catastrofi: quelle che provoca lui a ogni suo passaggio. L’altro giorno il Banana l’ha paracadutato ad Haiti “per coordinare gli aiuti” e fargliela vedere agli americani. Quello, atterrato a Port-au-Prince, ha subito scoperto che non gli lasciavano coordinare un bel nulla, anzi non sapevano proprio chi fosse (“Bertochi?”, era il commento più benevolo sul nostro). Allora, fasciato dalla consueta casacca azzurra della Nazionale, s’è fatto fotografare e filmare mentre baciava bambini e rincuorava vedove, come se fosse in passerella a L’Aquila. Poi, ai microfoni di Lucia Annunziata, in piena sindrome da mosca cocchiera, ha pensato bene di dichiarare guerra agli Stati Uniti, notoriamente incapaci a gestire le emergenze (“patetici”, li ha definiti), e anche personalmente a quello sprovveduto di Bill Clinton, che “invece di scaricare casse di acqua dovrebbe coordinare gli aiuti”. Lui sì, era il sottinteso, che saprebbe come fare a sistemare Haiti (150 mila morti, 200 mila feriti e 3 milioni di senzatetto), avendo sistemato da par suo i terremotati de L’Aquila (dove le “case per tutti entro
Natale” non sono mai arrivate e la ricostruzione è affidata a note ditte mafiose). Mancava solo un sapido accenno a quel selvaggio di Obama appena sceso dalla pianta. La performance bertolasa s’inserisce nella nobile tradizione del cumenda in vacanza all’estero, già immortalato da pellicole neorealiste quali “Natale a Miami”, in cui si vede il nostro connazionale che pontifica sulla spiaggia e si fa subito riconoscere per il tono vocale a diecimila decibel, per la suoneria del cellulare firmata da Toto Cutugno e per il costume anatomico col pacco imbottito di cotonina. A quel punto l’ambasciatore italiano a Washington ha fatto presente al governo che era meglio scaricare il malcapitato, onde evitare che il previsto incontro tra Frattini e Hillary Clinton si trasformasse in un bagno di sangue e che battaglioni di marines muovessero contro qualunque cosa odorasse d’Italia. Frattini, eccezionalmente libero da impegni vacanzieri in giro per il mondo, ha portato il ditino alla boccuccia e ha pigolato qualche imbarazzata presa di distanza. Ma, come spesso avviene quando parla Frattini, non se n’è accorto nessuno. Così Hillary ha paragonato pubblicamente le parole di Disguido ai commenti da bar sport del dopo-partita, apparentando il governo Berlusconi al “Processo di Biscardi”. A quel punto Disguido ha rimediato da par suo, dichiarando guerra all’Onu (che fra l’altro nella tragedia haitiana conta 82 caduti e 53 dispersi; si spera che Frattini lo scarichi di nuovo, prima che i Caschi blu sbarchino a Civitavecchia). Immaginarsi lo stupore dei tanti bravi italiani che avevano preso sul serio Bertolaso, complice la stampa turiferaria, nel vedere che, appena varca la cinta daziaria, il nostro luminare viene sbeffeggiato dal primo che passa. Appena un gigante italico viene misurato secondo gli standard stranieri, diventa un nano. Basti pensare al consenso di cui gode il Banana in patria rispetto alla fama che lo precede oltre la frontiera di Chiasso. O alla fine miseranda di D’Alema, candidato a ministro degli Esteri europeo e trombato all’unanimità al grido di “D’Alema chi?”. Solo in Italia continua a passare per un genio: ieri infatti, reduce dai trionfi pugliesi, è stato eletto presidente del Copasir con i voti del centrodestra. Che ormai lo considera uno di famiglia.

Milano, piano sotterraneo, binario 21

Dal Fatto di oggi.

Milano-Auschwitz


di Furio Colombo

C’è un sotterraneo alla Stazione centrale di Milano, una immensa stanza segreta che riproduce tutto quello che vedete di sopra, al piano dei treni e della grande tettoia di ferro e di vetro che, ancora adesso, fa sentire la tensione del viaggio. Capisci che l’avventura comincia nell’arco di luce che si vede verso il fondo, dove i treni diventano una linea che va verso il mondo. Anche sotto, nella immensa stanza segreta, ci sono binari. Vanno verso un punto lontano, che non rivela niente, solo altre gradazioni di buio. Qui senti che sei lontano dal cielo come se questo luogo fosse una fenditura profonda. Pochi metri tra sopra e sotto, ma la distanza è infinita. Sopra siete liberi, sotto no. Come in una strana, torbida fiaba, essere qui è una condanna. Così è stato ogni giorno, ogni settimana in un periodo maledetto della nostra storia.
Noi siamo su un lastrone di cemento al binario 21. Siamo testimoni di un delitto italiano di cui sono restati tutti i segni e tutte le impronte. Dal binario 21 partivano i treni, mentre Milano viveva la sua difficile vita di guerra, la borsa nera, lo sfollamento, il treno per venire al lavoro e tornare in campagna per essere più al sicuro, quel tanto di solidarietà che nasce sempre nei momenti difficili. Non per tutti. Una bambina che è passata sul marciapiede buio del binario 21, in quel misterioso piano di sotto racconta: “Dopo l’arresto ci avevano rinchiuso a San Vittore, con ladri e malfattori. Quando ci hanno messi in marcia verso la stazione donne, uomini, vecchi, bambini, in uno strano corteo, soltanto i detenuti di San Vittore hanno gridato “coraggio”, hanno capito l’assurdo, ci hanno dato quel che avevano da mangiare e per stare caldi. Nelle strade di Milano non se ne è accorto nessuno, nessuno si è voltato”. E’ la voce di Liliana Segre che ha fatto da guida alla stanza sotterranea, ha mostrato che pietre , cemento, umido, buio e binari ci sono ancora. Ecco il binario 21. Da qui, dalla stazione italiana, con personale italiano e scorta italiana, partivano i treni Milano-Auschwitz. Qui spingevano sui vagoni gli ebrei italiani destinati a morire. Qui il 26 gennaio, decimo anniversario del Giorno della Memoria, Marco Szulc, figlio della Shoah, ha posto la prima pietra del Memoriale italiano. Milano, piano sotterraneo, binario 21. Ci sono ancora i vagoni.

martedì 26 gennaio 2010

Boccia, ah ah ah...

Dal Post di Beppe Grillo su Boccia, il candidato del PD alle primarie del PD che contro Vendola, non del PD, ha perso in modo risibile.



Il Pdmenoelle è un partito pieno di domande. Boccia (who is Boccia?) mi chiede se ho mai letto le cose che ha scritto. Lo confesso, non le ho mai lette, ma forse le hanno lette i pugliesi prima delle Primarie. "Pretendo che le famiglie del San Paolo di Bari non paghino nulla e i benestanti come me e Vendola paghino di più. E, per farlo, occorre aprire le porte della gestione dell'acquedotto pugliese alla competizione tra privati". Chi l'ha detto? Proprio lui, Boccia. E l'alleanza con l'Udc di Caltagirone, possibile candidato alla gestione dell'acquedotto chi l'ha voluta? Sempre lui, Boccia. La Puglia ha preso atto e lo ha mandato a fanculo.
In realtà Boccia è un falso bersaglio. Il trio delle meraviglie D'Alema, Enrico Letta (il nipote di suo zio Gianni) e Bersani (il portavoce di D'Alema) lo ha mandato allo sbaraglio, come Corrado ai bei tempi della Corrida.
Valium Prodi chiede chi comanda nel PDmenoelle. Una domanda retorica, lo sanno tutti che comanda Berlusconi. D'Alema, Violante e Fassino sono da tre lustri i suoi migliori alleati. Più fedeli della Lega, meno rompicoglioni di Fini, più allineati di Casini. Gli hanno dato tutto: la concessione delle frequenze televisive in cambio dell'uno per cento dei ricavi, non hanno cancellato le leggi ad personam, non sono intervenuti sui conflitti di interesse. Hanno un presidente pidimenoelino che ha firmato con la velocità di Usain Bolt il Lodo Alfano, lo Scudo Fiscale e la lettera di commemorazione di Bottino Craxi che: "Pagò con durezza senza eguali". D'Alema è stato eletto oggi presidente del Copasir, il premio post primarie di Gianni Letta. Il Pdl non era riuscito a farlo eleggere mister Pesc, responsabile degli esteri per l'Europa, e ha saldato il debito.
Nel Pdmenoelle forse non si sa chi comanda, anche se tutti i sospetti portano alla "Volpe del Tavoliere". Di certo si sa chi NON comanda: gli elettori. Il Pdmenoelle è in costante competizione con il Pdl, il suo ispiratore, tenta sempre di superarlo nelle politiche sociali e del territorio e qualche volta ci riesce. Gli abitanti della Val di Susa non vogliono la TAV, un mostro che costerà decine di miliardi, sarà finito tra vent'anni, inutile, in quanto il traffico merci è in costante diminuzione da un decennio. La TAV distruggerà la Valle e ingrasserà partiti e costruttori. Domenica 40.000 persone hanno protestato pacificamente (volantino). Bresso e il lombrosiano Chiamparino hanno organizzato a Torino una contro manifestazione del Si Tav con poche centinaia di duri e puri del cemento. Il Pdl non si è fatto vedere e Bossi ha dichiarato che la Tav è forse inutile. Se il Pdl costruisce tre inceneritori in Liguria, il Pdmenoelle ne fa otto in Emilia Romagna. E' una continua rincorsa. Quando Di Pietro lanciò il referendum contro il Lodo Alfano, Topo Gigio Veltroni si dissociò e gli chiese, perentorio, di rientrare nel recinto razionale e riformista del Pdmenoelle. Il compianto Mike Bongiorno, quando faceva la pubblicità del prosciutto Rovagnati, si immedesimava a tal punto da diventare lui stesso un prosciutto. Il vertice disconnesso del Pdmenoelle è andato oltre, per fare l'imitazione del prosciutto Pdl, è diventato un intero maiale.

domenica 24 gennaio 2010

Processo lungo, breve o morto. Chiamiamola amnistia

Chiamiamola amnistia

di Marco Travaglio

Da Il Fatto Quotidiano del 23 gennaio 2010


Alla fine il sagace Gasparri, ad Annozero l’ha ammesso. Non se n’è accorto, come spesso gli accade, ma l’ha ammesso: “Siccome nel 2006 il centrosinistra ha fatto l’indulto, i processi per reati commessi fino al 2006 sono inutili e quindi tanto vale non celebrarli più. Per questo abbiamo reso retroattivo il processo breve”. Cioè: dopo l’indulto del centrosinistra (votato anche da Forza Italia e Udc), arriva l’amnistia del centrodestra. Solo che, se la chiamassero col suo vero nome, quelli del Pdl non potrebbero approvarla con la loro maggioranza, avrebbero bisogno dei due terzi; ma, soprattutto, non potrebbero più uscire di casa nemmeno con barba posticcia e plastica facciale: qualcuno dei milioni di gonzi che li votarono meno di due anni fa in nome della “sicurezza”, della “certezza della pena” e della “tolleranza zero”, li riconoscerebbero e li farebbero a fette.

Perché l’amnistia è ancora peggio dell’indulto: se questo “abbuona” 3 anni di pena, quella cancella il reato e dunque il processo. Per questo il “processo breve” retroattivo è un’amnistia camuffata: estingue il processo e dunque il reato. Con l’indulto, i colpevoli vengono comunque condannati e se han danneggiato qualcuno devono risarcirlo. Con l’amnistia (e il processo breve) non c’è neppure l’accertamento della verità, dunque il colpevole la fa franca, rimane incensurato e la parte offesa deve imbarcarsi in una lunghissima causa civile dall’esito incerto (visto che non c’è stata condanna in sede penale). E per i processi nuovi, che succede? Per quelli niente
paura, dice Gasparri: i giudici avranno “da 10 a 15 anni di tempo”. Campa cavallo.

E, se lo dice lui che della legge è il primo firmatario, c’è da credergli. Purtroppo, come disse un giorno Storace a proposito di quella sulle tv, “Gasparri ‘sta legge non solo non l’ha scritta, ma manco l’ha letta”. Infatti, salvo per i reati più gravi e più rari, puniti con pene superiori ai 10 anni (omicidio, mafia, terrorismo, strage), i processi non potranno durare più di 6 anni e mezzo: 3 dalla richiesta di rinvio a giudizio alla sentenza di primo grado, 2 da questa alla sentenza d’Appello, 1 e mezzo da questa alla sentenza di Cassazione. Il che significa, in un paese dove durano in media 7 anni, un’amnistia anche per i processi futuri. Anche perché, con una furbata da azzeccagarbugli, lorsignori hanno infilato al comma 3 dell’articolo 5, un codicillo che ammazza il processo ancor prima dei 6 anni e mezzo: “Il pm deve assumere le proprie determinazioni in ordine all’azione penale entro e non oltre tre mesi dal termine delle indagini preliminari. Da tale data iniziano comunque a decorrere i termini di cui ai commi precedenti, se il pm non ha già esercitato l’azione penale…”.
Traduzione: se il pm non chiede il rinvio a giudizio entro 3 mesi dalla scadenza delle indagini, al 91° giorno parte comunque il conteggio dei 3 anni concessi per il primo grado. Ma è impossibile chiedere il rinvio a giudizio entro tre mesi dalla scadenza delle indagini, perché prima il pm deve far notificare l’avviso di chiusura indagini, i difensori hanno 20 giorni per chiedere nuove indagini e interrogatori, dopodiché il pm deve farli e depositare gli atti conseguenti. Impensabile che bastino 3 mesi.
Non solo: nei processi di media complessità, le indagini non scadono lo stesso giorno per tutti gli indagati: alcuni vengono iscritti prima e altri dopo; alla fine il pm chiede il rinvio a giudizio per tutti quelli che lo meritano. Quindi, con la nuova legge, la sabbia dei 3 anni per il calcolo della prescrizione processuale comincerà a scendere nella clessidra per i primi iscritti sul registro degli indagati ancor prima che scadano i termini delle indagini per gli ultimi iscritti. E il processo morirà certamente prima della sentenza di primo grado. Ecco la filosofia del processo breve: prendono un atleta, gli tagliano le gambe, poi gli ordinano di correre i 100 metri in 10 secondi netti; se non ce la fa, gli sparano.

sabato 23 gennaio 2010

L'acqua è di tutti e deve rimanere pubblica

Beppe Grillo porta avanti il progetto politico "MoVimento 5 stelle". Una delle stelle da salvaguardare è l'acqua pubblica, la rete idrica, gli acquedotti, la rete fognaria etc. Grillo presenta il MoVimento in cinque regioni d'Italia: Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Campania. Non sarà presente in Puglia. In Puglia sostiene Vendola. Riporto il suo post su questo tema.



Ho parlato al telefono con Nichi Vendola. Mi ha dato la sua parola che l'acquedotto pugliese, il più grande d'Europa, sarà pubblico nella proprietà e nella gestione (quindi dei cittadini) se lui verrà eletto presidente di Regione. E che, con una sua Giunta, per costruire centrali nucleari in Puglia sarà necessario l'uso dei carri armati da parte del Governo. Vendola ha rilasciato un'intervista per il blog. Il MoVimento a 5 Stelle non si presenta alle elezioni pugliesi e, quindi, mi sento di sostenere Vendola contro il Pdl di Berlusconi e l'alleanza del Pdmenoelle di D'Alema con Casini-Caltagirone che candida Boccia. Vendola sa che in Rete non si può mentire e che le sue parole dovranno trasformarsi in fatti. Domenica 24 gennaio si terranno le Primarie tra Vendola e Boccia, l'"Uomo per me di D'Alema". Con Vendola i pugliesi hanno una possibilità, con Boccia la certezza della distruzione del territorio e dell'esproprio dell'acqua pubblica. D'Alema si è presentato in Puglia per esercitare la sua nefasta influenza come "fratello maggiore", lui è come Caino, fratello maggiore di Abele,che ha schierato il Pdmenoelle contro Vendola. Il giudizio negativo di D'Alema per Vendola è il miglior riconoscimento possibile. Una medaglia da appuntare al petto. La battaglia dell'acqua è solo al suo inizio. La vinceranno i cittadini con l'elmetto.
Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

La giusta memoria

Sonia Alfano, europarlamentare Idv figlia del giornalista Beppe Alfano ucciso dalla mafia l'8 gennaio di 17 anni fa a Barcellona Pozzo di Gotto, ha scritto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sottolineandone il "silenzio", a fronte della lettera inviata ai familiari di Bettino Craxi a dieci anni dalla sua morte ad Hammamet.

di Sonia Alfano, da soniaalfano.it

"Gentile Presidente, l’8 gennaio – scrive Sonia Alfano – ho atteso fino all' ultimo una Sua parola di commemorazione, nella Sua veste di massimo rappresentante di quello Stato per la cui difesa mio padre ha dato la vita. Da Lei è venuto solo silenzio, come negli anni passati, verso il ricordo di mio padre.Mio padre non è morto da latitante – continua la missiva – anzi, lui è stato condannato a morte perchè i latitanti li faceva arrestare. Ieri Lei ha, viceversa, voluto pubblicamente ricordare al Paese (perfino sul sito web ufficiale della Presidenza della Repubblica), la figura di Bettino Craxi, morto dieci anni fa da pluripregiudicato e da latitante, in virtù di due sentenze definitive emesse in nome del popolo italiano. Lei ha detto che sull'ex presidente del Consiglio – continua Sonia Alfano – il peso della responsabilità per la corruzione del sistema politico era caduto con durezza senza eguali. Sono parole di gravità inaudita, perchè esse implicano o una pretesa ingiustizia di provvedimenti giurisdizionali irrevocabili, oppure conoscenza di altri responsabili di analoghi crimini sfuggiti alle maglie della giustizia.Mi chiedo, nel rispetto del Suo ruolo di garante della legalità costituzionale – conclude l'eurodeputata – se quelle Sue parole non rechino un vulnus, nella forma, alla autorevolezza di procedimenti giudiziari sviluppatisi nel rispetto delle leggi del Paese e, nella sostanza, all'eguale considerazione di tutti i condannati, appartenenti alla casta politica o meno che essi siano. Proprio di questi tempi sono in essere aberranti tentativi di abbattimento dei principi costituzionali di legalità e di eguaglianza dei cittadini. Pur involontariamente, le Sue parole di oggi rischiano di rafforzarli".

Max e la sua Puglia

Signornò

di Marco Travaglio (da l'Espresso in edicola)

Due anni fa, in pieno scandalo Unipol, il Signornò domandò cosa dovesse ancora fare Massimo D’Alema contro il centrosinistra per essere accompagnato alla porta. D’Alema ha risposto con i fatti. Nel giro di un mese ha riabilitato l’inciucio con Berlusconi, ha riabilitato per l’ennesima volta quel Craxi a cui 10 anni fa offrì addirittura i funerali di Stato e soprattutto ha devastato alla velocità della luce il centrosinistra nella sua Puglia, una delle poche regioni in cui il Pd conservava una vocazione maggioritaria. Ha sacrificato il governatore Nichi Vendola sull’altare dell’Udc, ha lanciato al suo posto il sindaco appena rieletto di Bari Michele Emiliano senza passare per le primarie, poi l’ha cambiato in corsa con Francesco Boccia irridendo alle primarie, poi le ha riesumate (“le ho sempre volute”) ma a patto che le vinca Boccia, poi si è meravigliato del fatto che Vendola non si ritiri tutto giulivo dalla corsa. Infine, con l’aria di chi passa di lì per caso e vola alto su una distesa di cadaveri e macerie, ha commentato schifato: “Non ci capisco più niente”. Il tutto in una regione dove non muove foglia che lui non voglia. La Volpe del Tavoliere, come lo chiama “il manifesto”, aveva già tentato di imporre Boccia quattro anni fa: purtroppo però le primarie le vinse Vendola. D’Alema, furibondo con gli elettori che non lo capivano, commentò: “La mia pazienza ha un limite” e scaricò il suo sarcasmo su Nichi: “Vincere le primarie è facile, battere Fitto è un’altra cosa”. Naturalmente Vendola battè Fitto. Allora Max gli diede una mano delle sue, regalandogli due assessori coi fiocchi: il vicepresidente Sandro Frisullo e il responsabile della Sanità, l’ex socialista Alberto Tedesco. Sarà un caso, ma il primo s’è scoperto cliente del pappone Giampi Tarantini, ras delle protesi sanitarie e fornitore privilegiato delle Asl pugliesi, esattamente come la famiglia di Tedesco, assessore in pieno conflitto d’interessi. Sia Frisullo sia Tedesco sono stati indagati dalla Procura e dimissionati da Vendola, che ha azzerato l’intera giunta. Tedesco è passato al Senato col Pd, cioè al sicuro, grazie al dalemiano Paolo De Castro, spedito a Strasburgo per liberargli il seggio. Ora, dopo l’ennesimo passaggio dell’Attila di Gallipoli, si contano i morti e i feriti: Emiliano, uno dei sindaci più popolari d’Italia, deve far dimenticare l’autocandidatura e la richiesta di una legge ad personam per correre alla Regione senza lasciare il Comune; Boccia, dopo aver detto “primarie mai”, deve tentare di vincerle contro Vendola, il quale è riuscito a far dimenticare gli errori politici degli ultimi mesi (come la lettera aperta contro il pm Desirèe Di Geronimo che indaga sulla sua ex-giunta), ma ormai ha col Pd rapporti talmente conflittuali da rendere impossibile qualunque ricucitura. Sabato scorso, Max pareva avere finalmente capito: “In certi momenti – ha detto - un leader deve fare un passo indietro”. Ma l’illusione è durata poco: parlava di Vendola.

venerdì 22 gennaio 2010

Meglio morto che breve

Dal Fatto di oggi.

Il giudice breve


di Marco Travaglio

E’letteralmente strepitosa l’idea che un miracolato dai processi lunghi, uno che se durassero un po’ meno sarebbe in galera da un pezzo, abbia potuto varare il “processo breve”. Ma è addirittura entusiasmante il fatto che la cosiddetta stampa indipendente, la cui unica funzione è di trovare le parole giuste per difendere cause sbagliate, faccia finta di prenderlo sul serio. E’ la stessa stampa indipendente che non ha scritto una riga sul rapporto della Dia svelato dal Fatto sui progetti di attentato della mafia contro i pm Lari, Ingroia, Gozzo e Paci e contro il giornalista Lirio Abbate. E in questa censura, non si sa bene se dovuta al fatto che la notizia l’ha data il Fatto o alla circostanza che le vittime designate sono pubblici ministeri, c’è della coerenza. In fondo Cosa Nostra, con la sua rudimentale ed essenziale semplicità, il processo breve l’ha sperimentato ben prima che vi si applicassero Berlusconi e i suoi legislatori à la carte. Non c’è processo più breve di quello che non si fa più perché i giudici e/o i pubblici ministeri sono morti ammazzati. Eliminando Falcone, Borsellino, Livatino, Caccia, Chinnici, Costa, Terranova, Scopelliti, le cosche hanno tracciato la strada del processo più breve del mondo: quello che si estingue e riposa in pace insieme col magistrato. E’ il “giudice breve” (con separazione delle carriere incorporata: i giudici che processano i mafiosi e i loro amici muoiono subito, gli altri no). Invece di tante leggi ad personam, che
richiedono tempi e costi sociali elevatissimi, il problema è risolvibile quasi gratis, al netto di una modica quantità di tritolo per uso personale. Infatti il Cavaliere, troppo impegnato a celebrare un corrotto latitante, non ha detto una parola sui progetti di attentati ai magistrati, a parte definirli “plotone di esecuzione” (del resto si attende ancora una sua parola di plauso ai poliziotti che catturarono Provenzano nel maggio 2006). E i suoi uomini, per difendere in tv il “processo breve”, cioè morto, usano gli stessi argomenti degli avvocati dei boss nei processi di mafia: “Minchia, signor giudice, il mio cliente è un perseguitato, lo processano da quando era piccolo, ma sempre assolto fu...”. L’altra sera Bonaiuti, con quella faccia da Bonaiuti, sbavava a Porta a Porta dinanzi all’insetto, comprensibilmente affezionato alle leggi vergogna, che portano il timbro della sua signora Augusta Iannini, direttore dell’ufficio legislativo del ministero della Giustizia per volontà di Angelino Jolie. “Il processo breve – spiegava Bonaiuti – serve a difendere Berlusconi contro i processi ad personam”. Originale tesi ripresa anche dall’acuto Gasparri: “A Milano c’è una giustizia contra personam”. A nessuno è venuto in mente di rispondere ai due giureconsulti che tutti i processi sono ad o contra personam: la personam dell’imputato. Forse i due geni pensano a una legge che imponga di fare i processi senza imputati, magari omissandone i nomi col segreto di Stato. Infatti, oltre alla personam del premier, la porcata salverà anche le personas imputate per i crac Parmalat, Cirio e Hdc, per le scalate Bnl e Antonveneta, per gli spionaggi Telecom e Sismi, per le truffe Impregilo sui rifiuti, e persino per i processi contabili alla Corte dei conti che coinvolgono le personas di Letizia Moratti, del viceministro Castelli e persino dell’autore dell’emendamento che estende il processo morto alle cause contabili, senatore Giuseppe Valentino. Più che una legge, un’auto-legge. Ora, sul modello del processo breve, si provvederà a una riforma della chirurgia breve: se l’intervento in sala operatoria va per le lunghe, il medico deve smettere, magari eliminando direttamente il paziente. Poi avremo il treno breve e l’auto breve: se non arrivano a destinazione entro un paio di minuti, esplodono in corsa.

mercoledì 20 gennaio 2010

La terza repubblica

Dalle pagine di Repubblica l'analisi di Zagrebelsky sulla situazione italiana odierna e sui suoi possibili sviluppi, che potete leggere integralmente QUA.

L'ANALISI


Il sospetto

di GUSTAVO ZAGREBELSKY

C'è una gran voglia di voltare pagina e guardare avanti. Quello che è stato un Paese riconosciuto e rispettato per la sua politica, la sua cultura, la civiltà dei rapporti sociali, è ormai identificato con l'impasse in cui è caduto a causa di un conflitto di principio al quale, finora, non si è trovata soluzione. Sono quasi vent'anni che il nodo si stringe, dalla fine della cosiddetta prima repubblica a questa situazione, che rischia d'essere la fine della seconda. La terza che si preannuncia ha tratti tutt'altro che rassicuranti.
Siamo probabilmente al punto di una sorta di redde rationem, il cui momento culminante si avvicina. Sarà subito dopo le prossime elezioni regionali. A meno che si trovi una soluzione condivisa, che si addivenga cioè a un compromesso. È possibile? E quale ne sarebbe il prezzo? Se consideriamo i termini del conflitto - la politica contro la legalità; un uomo politico legittimato dal voto contro i giudici legittimati dal diritto - l'impresa è ardua, quasi come la quadratura del cerchio. Per progressivi cedimenti che ora hanno fatto massa anche nell'opinione pubblica, dividendo gli elettori in opposti schieramenti, i due fattori su cui si basa lo stato di diritto democratico, il voto e la legge, sono venuti a collisione.

Questa è la rappresentazione oggettiva della situazione, che deliberatamente trascura le ragioni e i torti. Trascura cioè le reciproche e opposte accuse, che ciascuna parte ritiene fondate: che la magistratura sia mossa da accanimento preconcetto, da un lato; che l'uomo politico si sia fatto strada con mezzi d'ogni genere, inclusi quelli illeciti, dall'altro. Se si guarda la situazione con distacco, questo è ciò che appare come dato di fatto e le discussioni sui torti e le ragioni, come ormai l'esperienza dovrebbe avere insegnato, sono senza costrutto.

I negoziatori che sono all'opera si riconosceranno, forse, nelle indicazioni che precedono. Ma, probabilmente, non altrettanto nelle controindicazioni che seguono.

Per raggiungere un accordo, si è disposti a "diluire" il problema pressante in una riforma ad ampio raggio della Costituzione. Per ora, la disponibilità dell'opposizione al dialogo o, come si dice ora, al confronto, è tenuta nel vago (no a norme ad personam, ma sì a interventi "di sistema" per "riequilibrare" i rapporti tra politica e giustizia), è coperta dalla reticenza (partire da dove s'era arrivati nella passata legislatura, ma per arrivare dove?) o è nascosta col silenzio (la separazione tra potere politico, economico e mediatico, cioè il conflitto d'interessi, è o non è questione ancora da porsi?).

Vaghezza, reticenza e silenzio sono il peggior avvio d'un negoziato costituzionale onesto. La materia costituzionale ha questa proprietà: quando la si lascia tranquilla, alimenta fiducia; quando la si scuote, alimenta sospetti. Per questo, può diventare pericolosa se non la si maneggia con precauzione. Tocca convinzioni etiche e interessi materiali profondi. Non c'è bisogno di evocare gli antichi, che conoscevano il rischio di disfacimento, di discordia, di "stasi", insito già nella proposta di mutamento costituzionale. Per questo lo circondavano d'ogni precauzione. Chi si esponeva avventatamente correva il rischio della pena capitale. Per quale motivo? Prevenire il sospetto di secondi fini, di tradimento delle promesse, di combutta con l'avversario. Quando si tratta di "regole del gioco", tutti i giocatori hanno motivo di diffidare degli altri. La riforma è come un momento di sospensione e d'incertezza tra il vecchio, destinato a non valere più, e il nuovo che ancora non c'è e non si sa come sarà. In questo momento, speranze e timori si mescolano in modo tale che le speranze degli uni sono i timori degli altri. È perciò che non si gioca a carte scoperte. Ma sul sospetto, sentimento tra tutti il più corrosivo, non si costruisce nulla, anzi tutto si distrugge.

Leggi il resto...

lunedì 18 gennaio 2010

Craxi al netto delle tangenti



Guarda il video

Udite udite!!!

Marco Travaglio dà il meglio di sè sulla storia di Craxi :-)

Il Popolo Viola in difesa della Costituzione

Dal sito del Popolo Viola.


30 Gennaio 2010
sit-in in tutta Italia
in difesa della Costituzione

pagina facebook


L’Appello:

Di fronte all’ennesimo tentativo di saccheggiare la Costituzione, che si concretizza principalmente nelle manovre del Governo per garantire impunità a Berlusconi (a partire dal nuovo Lodo Alfano) e nei proclami irresponsabili di qualche ministro che chiede addirittura la cancellazione dell’Art. 1 (L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro…), abbiamo soltanto due strade: o assistere passivamente al delirio distruttivo dell’establishment berlusconiano o reagire con la prontezza e la determinazione democratica che la situazione richiede. Noi scegliamo la seconda. La Costituzione della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza antifascista rimane, ad oltre 60 anni dalla sua emanazione, il principale strumento di garanzia del patto di convivenza civile di una società che fonda le proprie basi sul principio di uguaglianza tra i cittadini e l’anticorpo più efficace contro il rischio di nuove derive autoritarie. E’ per questo che ad ogni cittadino democratico compete difenderla. Noi siamo tra questi.

Invitiamo i cittadini e le forze democratiche del Paese ad organizzare sabato 30 gennaio, contemporaneamente in tutte le città italiane, sit-in in difesa della Costituzione.

Promuovono
Comitato 30 gennaio – pagina del Popolo Viola

Per contattarci:

Tel. 347-1657207 (Daniel Perugia)

domenica 17 gennaio 2010

Protezione Civile s.p.a.


Dal Fatto di oggi

Pagine hard

Dal Fatto di oggi.

La Shoah è un delitto italiano tanto quanto è un delitto tedesco

Dalla rubrica "A DOMANDA RISPONDO" di Furio Colombo sul Fatto di oggi.

IL GIORNO DELLA MEMORIA

Furio Colombo

Caro Furio, si avvicina Il Giorno della Memoria e vorrei chiederti se ci credi come quando hai scritto la legge. Se continui a pensare che serve ancora.

Ippolita

SULLA ricorrenza detta “Il Giorno della Memoria” ( il 27 gennaio, anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz) ci sono due posizioni diverse che non sono “sì” e “no”. Ma “sì” e “se”. Provo a spiegarmi tornando ai giorni della legge.

1) Un evento come “Il Giorno della Memoria” non è dedicato agli italiani ebrei, che non dimenticano e a cui nessuno può dire ciò che è accaduto. E’ per gli italiani che sanno male, che sanno poco, che pensano che la Shoah sia una cattiveria tedesca con cui i cittadini del nostro paese non hanno avuto nulla a che fare. Purtroppo non è vero. La Shoah è un delitto italiano tanto quanto è un delitto tedesco. L’Italia ha approvato all’unanimità leggi razziali, perfette nel loro intento persecutorio. E hanno messo gli ebrei che vivevano in questo paese, italiani e no, a disposizione della persecuzione tedesca, privandoli di ogni tutela e diritto. E’ il delitto più grande, fra tanti, compiuto dall’Italia fascista.

2) Una cosa in più si può dire: l’intera, spaventosa vicenda europea (la persecuzione si è estesa dal Mediterraneo di Salonicco fino alla Russia e alla Norvegia) non avrebbe mai potuto compiersi senza la piena partecipazione dell’Italia, dei suoi funzionari, burocrati e forze armate all’ignobile progetto nazista. E il silenzio di tanti personaggi-guida, laici e religiosi. E’ vero che molti, fra le fila di coloro che avrebbero dovuto obbedire (militari, diplomatici) non hanno partecipato al tragico gioco e anzi hanno ostacolato, hanno salvato ebrei. E’ vero che era italiano (e originariamente fascista ) Giorgio Perlasca, l’uomo che da solo ha tenuto testa alla macchina persecutoria di Eichmann, in Ungheria, impedendo migliaia di deportazioni. Ma l’Italia c’era, con le sue leggi e il suo peso di allora, c’era e ha reso possibile l’estendersi europeo del piano di Hitler. Se non ci fosse un giorno dedicato al delitto italiano della Shoah qualcosa di troppo grande andrebbe perduto per sempre. Il Giorno della Memoria ci serve a ricordare che chi poteva parlare (quasi ogni personaggio noto e visibile della cultura, i vertici della Chiesa) non ha parlato. E questa triste verità riporta a oggi. Rivela l’opportunismo di chi, potendo parlare, trova più conveniente il silenzio anche di fronte a leggi delittuose.

Decreto TV: come fregare Sky e il resto della concorrenza di Mr. B.




Veto del governo sulla tv online

di Federico Mello


“Una riforma che cambia completamente le norme che regolano tv e Internet in Italia” e tutto ciò senza coinvolgere il Parlamento. Sono parole allarmate quelle di Paolo Gentiloni, responsabile Comunicazioni del Partito democratico: così commenta il decreto legislativo presentato dal Parlamento ora approdato in Camera e Senato per un parere obbligatorio ma non vincolante.
Il governo aveva la delega del Parlamento per recepire una direttiva europa: “Tv senza frontiere”. “Una delega di sei righe” specifica Gentiloni. Il governo ha presentato un testo di 40 pagine che contengono quella che appare come una riforma articolata. Il provvedimento prevede infatti una riduzione della pubblicità per i canali Sky; la cancellazione delle norme che tutelano il cinema italiano e la fiction indipendente; una revisione di ciò che costituisce un “programma televisivo” in maniera di permettere a Mediaset di superare il limite del 20 per cento dei ricavi complessivi del sistema integrato delle comunicazioni (Sic), previsto dalla legge Gasparri.
Ma le disposizioni riguardano anche Internet. In particolare: 1) la trasmissioni audio-visive su Internet (Web tv, dirette streaming, ma anche YouTube o You-Reporter) necessiterà di un’autorizzazione del governo per operare; 2) sarà obbligatoria anche per non meglio specificati “notiziari Web” la rettifica prevista per i telegiornali ; 3) è demandata all’Agenzia delle Comunicazioni (di nomina politica) la stesura di un regolamento sul diritto d’autore per tutelare i produttori di servizi audiovisivi (quindi contro il download). Anche Vincenza Vita del Pd definisce le misure proposte: “Un nuovo codice delle comunicazione fatto senza il Parlamento”. E’ prevista per oggi la conferenza stampa delle opposizioni contro questo decreto che potrebbe diventare operativo molto presto.


Ma il Web non conosce limiti come questo articolo di V. Venturi ci suggerisce.


TV: TUTTI I CANALI SUL WEB GRAZIE A UN SOFTWARE GRATUITO


di Valerio Venturi


La tv senza la tv: basta avere Internet. In barba al canone – e a volte anche a Sky e Mediaset Premium – si riesce a vedere online quasi tutto: partite di calcio, programmi generalisti, film in prima visione... E’ da un po' che lo streaming cerca di affossare il digitale terrestre: l’ultima novità in tal senso è Tvosa, un software gratuito italianissimo che consente non solo di vedere Rai, Mediaset e qualche altro canale satellitare; ma anche di registrare i programmi tv in modo automatico, come fosse un videoregistratore – solidità della connessione permettendo. Tvosa, che si basa sul mediaplayer Vlc, mette a disposizione una guida-tv e una lista di canali aggiornabile via Web; l’interfaccia semplice, a forma di telecomando, conquisterebbe anche l’ultimo degli Homer Simpson. Buone visioni.



Alcuni link su Tvosa:




mercoledì 13 gennaio 2010

Perché parla Ciancimino jr?

Dal Fatto di oggi giovedì 14 gennaio

Il rampollo “vip” della “Palermo bene” figlio dell’ex sindaco

Massimo Ciancimino è il figlio di Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo morto nel 2002, detto don Vito, che fu uno dei responsabili del “sacco” edilizio di Palermo da parte dell
di Marco Lillo a mafia, prima da assessore comunale ai lavori pubblici poi da primo cittadino. Ciancimino Jr. era considerato uno dei rampolli della “Palermo bene”: girava in Ferrari e se la spassava tra le Egadi e le Eolie con il suo fuoribordo Itama 55. Tutto questo, però, prima di essere arrestato l’8 giugno 2006, con l’accusa di aver riciclato il tesoro del padre, considerato il braccio politico dei Corleonesi. Il 10 marzo del 2007 Ciancimino Jr viene condannato in primo grado a 5 anni e 8 mesi di carcere, e nell’aprile 2008 comincia a collaborare con gli inquirenti sulla presunta trattativa tra stato e mafia. Il 30 dicembre del 2009 la pena del figlio di don Vito viene ridotta in appello a 3 anni e 4 mesi. Secondo Ciancimino Jr Marcello Dell’Utri sarebbe diventato l’uomo politico di riferimento di Provenzano dopo l’uscita di scena suo padre. Il boss lo citerebbe nei pizzini del 2000 e del 2001 come “il nostro senatore”.

“BASTA CON L’IPOCRISIA”

Ciancimino jr spiega: non potevo tirarmi indietro quando mi hanno chiesto di quella carta sequestrata sul Cavaliere

di Marco Lillo

De rustica progenie, semper villana fuit. È questa la reazione di Massimo Ciancimino alle parole di Marcello Dell’Utri su di lui. Dopo la pubblicazione dei verbali sui rapporti del senatore bibliofilo con il boss Bernardo Provenzano, Dell’Utri ha replicato: “non vorrei incazzarmi ma ci sarebbe da prendere un badile e rovesciarlo addosso a questi cretini”. Ciancimino junior sorride: “mio padre non lo stimava e lo considerava una persona troppo impulsiva. Ora scopre i mei verbali e che fa? Mi risponde con il badile. Come dicevano i latini: chi discese da stirpe rustica, rimane rozzo”.
A parte le battute, Dell’Utri pone un problema: Ciancimino mi accusa per riavere il suo patrimonio sequestrato. Faccio una scommessa con il senatore. Nell’ipotesi assurda che mi restituiscano questo favoloso tesoro, mi impegno a cedergli tutto in cambio di una barca nuova. Non è vero che le hanno sequestrato 60 milioni? C’è solo uno yacht Itama 55 in leasing e vale meno delle rate da pagare. Più una serie di società in perdita. I milioni di cui si parla non sono miei. Con una battuta potrei dire che non cito in giudizio Dell’Utri solo perché se vincessi rischierei un secondo processo per riciclaggio. Ciancimino lei scherza ma la domanda di Dell’Utri resta. Perché parla? Io non mi sono mai tirato indietro quando mi hanno chiamato a collaborare. È successo tre volte. E il primo è stato Falcone. Che c’entra Falcone? Mio padre era stato arrestato e gli garantii che avrebbe parlato aprendo uno squarcio sul cosiddetto terzo livello. In cambio di cosa? Mio padre non fu processato nel maxiprocesso, che era una vera e propria mattanza giudiziariama in un procedimento separato. Falcone non fece nulla che non fosse nei diritti di un imputato ma mio padre lo apprezzò, anche se poi si tirò indietro. E la seconda collaborazione? Nel 1992 il capitano del Ros Giuseppe De Donno mi chiede una mano per convincere mio padre a collaborare. Io rispondo di sì e parliamo di un periodo nel quale la mafia faceva saltare in aria le autostrade. Nonostante tutto però sono l’unico di 5 figli a essere stato condannato. Sì ma quando i magistrati la interrogano dopo l’arresto per il riciclaggio del tesoro di don Vito lei non risponde. Non consideravo credibile quell’inchiesta e quegli interlocutori. Nessuno mi chiedeva nulla sulla carta sequestrata a casa mia con le richieste della mafia al Cavaliere. Prima di attaccarmi Dell’Utri dovrebbe studiare come sono andate le cose. È tutta colpa di Belpietro”. Che c’entra il direttore di Libero? Era il 2007, quando esco dal carcere dopo la condanna è la prima persona che cerco per raccontargli la trattativa Stato-mafia. Allora stava al Giornale ma io lo considero una persona seria. Lui mi ascolta a lungo e mi passa all’inviato Gianluigi Nuzzi, un altro giornalista di destra che stimo. Poi entrambi passano a Panorama ed è il settimanale di Berlusconi a fare lo scoop. Non mi sembra il comportamento di uno che vuole accusare Dell’Utri per avere salvo il patrimonio . A me Berlusconi sta pure simpatico”. Sì. E poi va a Palermo e racconta ai pm che Dell’Utri incontrava Provenzano e che Riina scriveva lettere al Cavaliere di un ‘luttuoso evento’. Bell’amico di Berlusconi. Andatelo a leggere quel verbale. Avevo già fatto molti interrogatori, era giugno del 2009. Il pm Ingroia, a sorpresa, mi mette in mano la lettera trovata a casa mia. A me manca il respiro. Per uno che ha fatto il postino di papà Vito e Provenzano, era una bazzeccola. Il fatto era che avevo parlato con mia moglie Carlotta dei limiti della mia collaborazione. Le avevo garantito che non avrei mai varcato il punto di non ritorno e che un giorno saremo riusciti a girare ancora in moto per Palermo sulla Ducati che mi ha regalato suo padre. Io sapevo che in quel preciso istante lo stavo varcando. All’inizio ho detto che il pizzino lo avevo scritto io. Sembravo Fantozzi. Me lo sarei voluto ingoiare davanti a Ingroia. Poi ho detto che era di mio padre, ma non stava in piedi. Poi ho pianto e ho chiesto una pausa. Solo alla fine ho detto la verità. Cioé che suo padre le disse che la lettera veniva da Riina e Provenzano? Non posso parlare di queste cose, comunque io giro con la scorta e la Ducati non è più uscita dal garage. Lei sta parlando degli investimenti milanesi dei costruttori mafiosi di Palermo, Bonura e Buscemi. Si dice che parli anche dell’interessamento di suo padre per i primi cantieri del giovane Berlusconi. Non le sembra di esagerare? Tutto deve essere visto con gli occhi di allora. Quei costruttori allora erano insospettabili. A Palermo avevano edificato molto, forse quanto Berlusconi a Milano. Io l’ho già detto non penso che Berlusconi sia mafioso. Altra cosa è poi il ruolo che possono avere avuto alcune persone come Dell’Utri che lo hanno aiutato nei rapporti con questi ambienti. Ciancimino lei, anche al ristorante, si guarda intorno come una preda braccata. Ha paura? Sarei uno stupido se non avessi paura. Ci sono molte indagini partite dalle mie dichiarazioni. I mafiosi possono sopportare se gli tocchi l’amico politico ma non se metti in discussione i piccioli. Non penso che Provenzano sia contento di quello che ho raccontato sull’arresto di Riina. Né lo sarà Riina. Nonostante tutto non ha ancora risposto. Perché parla? Per ridare dignità al nome di mio figlio, Vito Andrea Ciancimino. Lei lo sa cosa vuol dire essere fidanzato di una ragazza a Roma per due anni con un cognome falso? Io lo so. Lei sa cosa vuol dire per un Ciancimino sentirsi fare i complimenti dal fratello di Borsellino, Salvatore? Io lo so. E poi non ne potevo più dell’ipocrisia dei palermitani. Quelli come Cuffaro che hanno fatto finta di non conoscermi. Ce l’ho con quelli che prima facevano la fila per venire a Panarea sul mio elicottero e dopo l’arresto, fingevano di non conoscermi. L’avevo già provato nel 1984 quando era stato arrestato mio padre ma quando l’ho visto sulla pelle di mio figlio, che non veniva più invitato alle feste, e di mia moglie non ce l’ho fatta. Si è voluto prendere una rivincita sulla Palermo bene? Sì, forse un po’ è così. Lei sta parlando anche di suo padre. Cosa direbbe Don Vito, se fosse vivo? Che sono un traditore. Ma anche in vita non siamo mai andati d’accordo. Ed è andata bene così.
Massimo Ciancimino durante la trasmissione Annozero

Scodinzolini riabilita il ladro Craxi



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Dal Fatto di oggi giovedì 14 gennaio

TG1 REDUX

Minzolini: “Craxi? Come Wojtyla”

In ritardo sulla toponomastica, in anticipo sul decennale. Anche Minzolini celebra Craxi a telecamera unica all'ora di cena: “Craxi è stato trasformato nel capro espiatorio di un sistema che era stato l’ultimo residuo della guerra fredda, una democrazia costosa permise al paese di restare per 50 anni nel mondo libero". Il quarto editoriale di Minzolini è un trattato di revisione storica. Il ragionamento: “Il reato portante di Tangentopoli, cioé il finanziamento illecito ai partiti, era stato oggetto di un’amnistia appena due anni prima. La verità è che ad un problema politico fu dato una soluzione giudiziaria e l’unico che ebbe il coraggio di porre in questi termini la questione, cioé Craxi, fu spedito alla ghigliottina. Per questo s'è rifiutato di vestire i panni imputato". Conclusione: “Era uno statista”. Di più: “Insieme a Reagan e papa Giovanni Paolo II ha messo in crisi l’Urss”. E subito Antonio Di Pietro ha annunciato querela contro l’editoriale.

Liste a 5 Stelle

Dal post di Beppe del 13 gennaio 2010:



Nel MoVimento 5 Stelle "ognuno vale uno", ma anche "ognuno vale tutti", nel senso che è collegato a ogni persona dell'organizzazione. Non si può battere la Rete e l'intelligenza collettiva applicata a un obiettivo.
Giovanni Favia è primo assoluto per attività nel Consiglio comunale di Bologna. Mentre gli altri facevano "politica", lui, e tutte le persone del MoVimento che rappresenta, facevano i "fatti". Trasparenza e spirito di servizio.
Il MoVimento ha eletto 37 consiglieri comunali in città come Treviso, Reggio Emilia, Spoleto, Livorno, Ferrara. A marzo ci sono anche le elezioni comunali in molte città.

In 13 comuni è già in formazione una Lista 5 Stelle: Arco, Bollate, Corsico, Eboli, Gonnosfanadiga, Macerata Campania, Mandello Del Lario, Porto Torres, Procida, Quartucciu, Segrate, Voghera, Zagarolo.

Leggete e diffondete la "Carta di Firenze", partecipate al Forum dei Comuni, create la vostra Lista 5 Stelle e tenetevi informati sulla Lista 5 Stelle del vostro comune.
Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

"Ciao Beppe,
è ormai l'una di notte e da poco ho finito una riunione skypecast sulle prossime elezioni regionali. Sono stanco ma contento, oggi a Bologna siamo stati ripagati di tanto lavoro e della buona volontà profusa da tutti in questi mesi. Il Corriere della Sera edizione locale infatti, riportava tra le sue pagine lo studio dell'Associazione Controllo Cittadino che ha monitorato i lavori del Consiglio comunale di Bologna durante questi sei mesi. Il nostro gruppo consiliare, di cui io sono l'unico rappresentante, nonostante le poche risorse a disposizione (2 uffici ed una segretaria contro gli otto uffici e le altrettante segretarie del PD) è risultato quello più attivo, doppiando addirittura il "secondo classificato" (lega nord).
Nessuno se lo sarebbe mai immaginato all'indomani della nostra elezione, un po' per la mia età e inesperienza ed un po' per la mancanza di una struttura organizzata del nostro movimento. Ora ci vengono dietro in tanti e quando, per spiegare il nostro sistema di lavoro, parlo di "intelligenza collettiva attraverso la Rete" o di condivisione dal basso del mandato, i miei colleghi consiglieri mi fissano come se parlassi una lingua straniera. Noi siamo tanti piccoli consiglieri riuniti in un unico portavoce che è l'eletto e questa è la nostra grande forza.
Voglio condividere questo riconoscimento con tutte le persone che hanno dato il loro contributo alla lista, da chi ha firmato per i candidati, all'utente anonimo che posta sul forum, agli attivisti che tutte le settimane dibattono, studiano e partecipano alle nostre iniziative.
Voglio però dedicarlo in particolare a te Beppe, perchè senza il tuo metterti in gioco ed il tuo coraggio, tutto questo non sarebbe stato possibile e molti di noi sarebbero ancora chiusi nelle loro case a lamentarsi davanti al tg della politica corrotta e del governo ladro, convinti del fatto che tanto non è possibile fare nulla per cambiare le cose.... Oggi invece sappiamo che non è così e che noi cittadini se vogliamo sappiamo fare "la politica" anche meglio dei vecchi politicanti di carriera... che è finito il momento di delegare il nostro futuro a qualcun altro ma che è l'ora di mettersi l'elmetto e partire. Un abbraccio." Giovanni Favia

martedì 12 gennaio 2010

L'inferno di Rosarno

Dal sito di Micromega l'intervista a Roberto Saviano sui fatti vergognosi di Rosarno.

Rosarno, il coraggio di insorgere contro la mafia. Intervista a Roberto Saviano
di Giorgio Santilli, da "Il sole 24 ore", 9 gennaio 2010

«Gli immigrati non vengono in Italia solo a fare lavori che gli italiani non vogliono più fare, ma anche a difendere diritti che gli italiani non vogliono più difendere». Roberto Saviano, autore trentenne del bestseller mondiale Gomorra, simbolo della lotta alle mafie che il Sole 24 Ore ha inserito nella classifica dell'uomo dell'anno per la battaglia di legalità, non rinuncia a vedere negli incidenti di Rosarno un lato positivo. L'altra faccia della luna. A mostrarla sono gli immigrati che protestano contro le mafie oggi come a Villa Literno nel settembre 1989, dopo l'omicidio del sudafricano Jerry Masso, e a Castel Volturno nel settembre 2008 dopo l'uccisione di sei immigrati.
Saviano - che in questa intervista lancia l'allarme per il rischio di nuovi attentati di 'ndrangheta e camorra dopo la bomba di Reggio Calabria - non nega che le modalità della rivolta siano criticabili, ma è convinto che «a ribellarsi è la parte sana della comunità africana» che non accetta compromessi con la criminalità. «Quello che colpisce - dice lo scrittore - è che gli immigrati hanno un coraggio contro le mafie che gli italiani hanno perso. Per loro il contrasto alle organizzazioni criminali è questione di vita o di morte». Non vanno criminalizzati. «Piuttosto dovremmo considerarli alleati nella battaglia all'illegalità».
Saviano non vuole criminalizzare gli immigrati di Rosarno, che nelle regioni a rischio mafia entrano nella rete della criminalità organizzata fin dallo sbarco. «Mentre nel nord Italia la Lega ha continuato a ostacolare l'immigrazione, la camorra si è lentamente impadronita del monopolio dei documenti falsi: le leggi più severe sull'immigrazione le hanno fruttato milioni di euro».

Saviano, lei usò parole dure anche in occasione del massacro di Castel Volturno, territorio che conosce bene.
Di Rosarno come di Castel Volturno si parla solo quando c'è una rivolta. Anche questo mi colpisce: il silenzio favorisce le mafie e si perdono occasioni di sviluppo. Castel Volturno ha il maggior numero di abusi edilizi al mondo ed è il comune più africano d'Italia.

C'è una connessione fra le due cose?
Era una città abbandonata per via dell'abusivismo e nei palazzi vuoti arrivarono gli africani. È diventata così la prima città africana d'Italia. Anziché valorizzarla, l'abbiamo nascosta come fosse una suburra.

Valorizzarla, come?
Qualunque paese europeo avrebbe fatto un vanto di avere una città tutta africana e l'avrebbe messa sotto i riflettori mediatici. Avrebbe fatto un sindaco immigrato, avrebbe portato lì le ambasciate dei paesi africani, avrebbe organizzato un bel festival africano. Ne avrebbe fatto una porta sul Mediterraneo. Invece, si è consegnata la città in mano alla mafia nigeriana con il risultato di farne uno snodo del traffico della droga. Una città dove la maggior parte degli immigrati onesti vivono una vita d'inferno.

Cos'è che i media non raccontano?
La Calabria è, come la Campania, un territorio che vive una guerra quotidiana. Se si vedono i dati, ci sono tantissimi attentati alle associazioni antiracket o a consiglieri comunali, intimidazioni con un colpo sparato alla porta o una molotov su una tomba. Magistrati continuamente nel mirino come Raffaele Cantone o Nicola Gratteri. È una guerra silenziosa che non trovi sui giornali.

Che significa in questa guerra quotidiana la bomba alla procura di Reggio?
È il segno che la 'ndrangheta alza il livello dello scontro. È una bomba artigianale, quindi un segnale di misura contenuta e simbolica ancora, un messaggino. La famiglia Condello possiede bazooka ed esplosivi C3 e C4, capaci di far saltare l'intero edificio della procura.

È credibile che l'attentato sia stato deciso da una riunione di tutti i capiclan?
Mi pare più probabile che l'abbia deciso una famiglia e abbia ottenuto il silenzio-assenso delle altre. Certo è un segnale condiviso in qualche misura da tutte le 'ndrine.

Un segnale alla procura o a chi altro?
Alla procura, non c'è dubbio. Le grammatiche delle mafie sono disciplinatissime. Se avessero voluto intimidire la direzione antimafia, l'avrebbero messo alla loro sede.

Perché ora?
Ci sono due livelli di risposta. Il primo riguarda la procura di Reggio Calabria. Il destinatario della bomba è il procuratore capo che è arrivato un mese fa e ha già fatto scelte importanti. Penso ci fossero correnti di magistrati, all'interno della procura, che le cosche preferivano. Non necessariamente colluse. Forse, più semplicemente, meno efficienti. Istruire le carte di un processo in tre mesi o due anni può cambiare il destino di una famiglia, saltano attività economiche, azioni criminose.

C'è un livello di lettura più generale dell'attentato di Reggio Calabria?
Molto è cambiato con gli arresti nel casertano e le sentenze di condanna in Calabria. Un anno e mezzo fa a Reggio è stato arrestato Pasquale Condello detto "il supremo". Era il leader indiscusso, uomo capace di mediazione, anche con la politica. Il suo arresto ha messo in crisi assetti consolidati. Le mafie si aspettavano molto dai loro referenti politici e non sono disposte a vedere che se la cavano. Il problema non riguarda solo la Calabria.

Pensa che l'episodio della bomba non resterà isolato?
Non mi aspetto che sia finita qui. Chiedo molta attenzione al governo, ai media. Il 15 gennaio dovrebbe chiudersi in Cassazione il processo Spartacus contro i Casalesi. È il primo processo sull'intera organizzazione camorristica che arriva al terzo grado. È il più importante processo di mafia nella storia insieme al maxiprocesso di Palermo. Se le condanne saranno confermate, l'organizzazione non potrà non fare nulla, manderà segnali.

C'è il rischio di una escalation.
Tanto più se la cosa passerà sotto silenzio. Ricordo che questo processo era durato dieci anni in primo grado e, dopo che sono stati accesi i riflettori sui Casalesi, fino ad allora sconosciuti alla pubblica opinione, il processo di appello è durato un anno e mezzo e ora il terzo grado un anno.

C'è un collegamento fra questi gruppi? Siamo abituati a ragionare che le mafie sono sistemi isolati.
Le mafie non sono monadi isolate. Casertani e calabresi sono in continua connessione perché sono le mafie degli investimenti e delle regole. Non come i napoletani, sregolati, e i siciliani, ormai vecchi. In Romania stanno lavorando insieme, sui casinò investono insieme. Le loro strutture seguono la globalizzazione con ritmi più veloci di quanto riesca a fare lo Stato. Nelle loro strutture ci sono domenicani, boliviani, tedeschi. Negli ultimi arresti fatti a Caserta c'era un tunisino affiliato. La camorra è la prima mafia ad aver aperto agli stranieri e fra dieci anni avremo capicamorra arabi e slavi.

Il cambiamento di clima confermerebbe quel che dice il ministro Maroni: una risposta dello Stato c'è già stata. Che valutazione dà del modello Caserta?
È stato fatto un buon lavoro: arresti e molta pressione sulle amministrazioni pubbliche, sul risparmio, sul ciclo dei rifiuti. Però le mafie sono tutt'altro che sconfitte ed è un errore grave dirlo o anche solo farlo pensare.

Qual è la realtà della vita quotidiana?
Se cammini sulla Napoli-Caserta, anche stasera, continui a vedere, proprio come dieci anni fa, i fuochi delle discariche abusive che bruciano copertoni arrivati da tutta Italia. Non è vero che il ciclo dei rifiuti è stato sconfitto. Ancora sono liberi, per altro, Antonio Iovine e Michele Zagaria, latitanti da 13 anni, i capi, uomini del cemento che investono a Roma e in Romania.

Siamo in una fase di transizione?
C'è una operatività dello Stato che viene riconosciuta dalle mafie ma non ancora considerata fisiologica. Se lo Stato fosse unito e la risposta compatta, le mafie capirebbero che qualunque azione peggiorerebbe la loro situazione. Se alzano il tiro è perché sanno che ancora possono parlare con qualcuno all'interno dell'apparato statale. È un brutto clima, lo stesso che ha portato alla primavera siciliana, quando fu ucciso Lima.

Il sequestro di beni è strumento risolutivo?
Un salto di qualità c'è stato anche lì. Però rinnovo l'invito a non abbassare la guardia. Sequestrare la Lamborghini o la villa è importante, ma non abbiamo ancora intaccato i patrimoni attivi delle mafie. La cosa davvero importante è che non si mettano all'asta. Chiedo a Maroni che intervenga su questo punto: i beni vengano immediatamente riassegnati alle biblioteche, alle associazioni antiracket, alle università.

Sul piano repressivo che altro bisogna fare?
La repressione non basta. Bisogna sconfiggere l'economia mafiosa, passare al sequestro delle loro aziende. Ci vuole un segnale di cambiamento anche a livello di leggi: lo scudo fiscale, il limite alle intercettazioni, il patteggiamento per i reati di mafia non vanno bene.

Qual è l'obiettivo?
Deve essere premiato il mondo delle imprese pulite, si deve permettere all'imprenditore di guadagnare dalla prassi antimafia. Oggi per l'imprenditore pulito essere contro le organizzazioni mafiose porta solo svantaggi e danni.

Come?
Va bene quel che ha cominciato a fare Confindustria Sicilia: cacciare dal mercato chiunque partecipi all'economica mafiosa, prima ancora che per un fatto morale, per una concorrenza sleale. Prendiamo gli appalti. Il gioco del massimo ribasso fa vincere le mafie perché possono fare costi più bassi: pagano meno la manodopera in nero, ammortizzano i costi con altre entrate come la droga. Se non cambi le regole degli appalti, vinceranno sempre.

Ance propone di passare a un sistema di subappalti in cui l'appaltatore scelga in un elenco di imprese pulite selezionate dalle Procure. Che ne pensa?
Il certificato antimafia è una garanzia di partenza ma non basta. Bisogna togliere all'imprenditore pulito la possibilità di utilizzare il vantaggio competitivo che arriva dall'economia mafiosa. La proposta va in quella direzione.

Che significa uscire dal sistema del massimo ribasso?
Se un'impresa investe per lo sviluppo del territorio, per esempio con una scuola di formazione di carpentieri, va premiata. Di più: bisogna premiare l'attività antimafiosa delle imprese. Nelle gare d'appalto basta massimo ribasso, diamo un premio a chi si impegna in un'attività antimafiosa: chi denuncia il pizzo o l'economia mafiosa. Se vogliamo vincere questa guerra dobbiamo abbandonare il formalismo di certe gare e la legge del massimo ribasso.

Che altro si può fare per sconfiggere l'economia mafiosa?
Fare quello che fa l'associazione Libera. Porta lì ragazzi di Torino, del Friuli, romani o umbri a fare il lavoro con le bufale di Schiavone o i filari di vite portati via a Reina. Combatte l'economia mafiosa e occupa il territorio.

Vede segnali positivi?
Cresce il disgusto degli elettori per politici collusi di destra e sinistra. Penso alla Campania dove il coordinatore Pdl è Nicola Cosentino che dice di essere dalla mia parte, ma non lo è affatto. I processi faranno il loro corso. A un politico, però, bisogna chiedere non solo di essere lontano dagli affari criminali, ma anche di avere una reputazione lontana dagli affari criminali. Il fatto che sul territorio un politico sia considerato da tutti come interlocutore di quel mondo è di per sé imbarazzante anche qualora non fosse condannato. Aggiungo che anche le politiche del centro-sinistra degli ultimi anni sono state politiche di connivenza. Spero che gli elettori alle prossime regionali facciano pulizia dei collusi mandando un segnale chiaro.

(11 gennaio 2010)