venerdì 26 febbraio 2010

Berlusconi è un corruttore, bugiardo, spergiuro

Berlusconi è un corruttore, bugiardo, spergiuro. E da oggi lo si può dire ad alta voce, perché è confermato da una sentenza della Cassazione. Non potrà mai querelare chi glielo rinfaccerà, perché é la verità come ci ricorda D'Avanzo la corruzione è un reato "a concorso necessario": se Mills è corrotto, il presidente del Consiglio è il corruttore. Ed è bugiardo perché aveva giurato sulla testa dei suoi figli di non conoscere Mills e che se ne sarebbe andato dall'Italia se avessero dimostrato il contrario. Vediamo chi ci proverà d'ora in poi a ricordargli che aveva promesso di andarsene?



Da Repubblica.it riporto, causa copyright, solo una parte del commento sul caso Berlusconi-Mills molto pungente di D'Avanzo il resto lo potete leggere QUA.

IL COMMENTO

La prova delle menzogne

di GIUSEPPE D'AVANZO

DAVID MILLS è stato corrotto. È quel che conta anche se la manipolazione delle norme sulla prescrizione, che Berlusconi si è affatturato a partita in corso, lo salva dalla condanna e lo obbliga soltanto a risarcire il danno per il pregiudizio arrecato all'immagine dello Stato. Questa è la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione. Per comprenderla bisogna sapere che la corruzione è un reato "a concorso necessario": se Mills è corrotto, il presidente del Consiglio è il corruttore.

Per apprezzare la decisione, si deve ricordare che cosa ha detto, nel corso del tempo, Silvio Berlusconi di David Mills e di All Iberian, l'arcipelago di società off-shore creato dall'avvocato inglese. "Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conosco neppure l'esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario" (Ansa, 23 novembre 1999). "Non conosco David Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l'Italia" (Ansa, 20 giugno 2008). Bisogna cominciare dalle parole - e dagli impegni pubblici - del capo del governo per intendere il significato della sentenza della Cassazione.

Perché l'interesse pubblico della decisione non è soltanto nella forma giuridica che qualifica gli atti, ma nei fatti che convalida; nella responsabilità che svela; nell'obbligo che oggi incombe sul presidente del Consiglio, se fosse un uomo che tiene fede alle sue promesse.

Dunque, Berlusconi ha conosciuto Mills e, come il processo ha dimostrato e la Cassazione ha confermato (il fatto sussiste e il reato c'è stato), All Iberian è stata sempre nella sua disponibilità. Sono i due punti fermi e fattuali della sentenza (altro è l'aspetto formale, come si è detto).

[...]

La sentenza conferma non solo che Berlusconi è stato il corruttore di Mills, ma che la sua imprenditorialità, l'efficienza, la mitologia dell'homo faber, l'intero corpo mistico dell'ideologia berlusconiana ha il suo fondamento nel malaffare, nell'illegalità, nel pozzo nero della corruzione della Prima Repubblica, di cui egli è il figlio più longevo.

E' la connessione con il peggiore passato della nostra storia recente che, durante gli interminabili dibattimenti del processo Mills, il capo del governo deve recidere. La radice del suo magnificato talento non può allungarsi in quel fondo fangoso perché, nell'ideologia del premier, è il suo trionfo personale che gli assegna il diritto di governare il Paese. Le sue ricchezze sono la garanzia del patto con gli elettori e dell'infallibilità della sua politica; il canone ineliminabile della "società dell'incanto" che lo beatifica. Per scavare un solco tra sé e il suo passato e farsi alfiere credibile e antipolitico del nuovo, deve allontanare da sé l'ombra di quell'avvocato inglese, il peso di All Iberian. È la scommessa che Berlusconi decide di giocare in pubblico. Così intreccia in un unico nodo il suo futuro di leader politico, responsabile di fronte agli elettori, e il suo passato di imprenditore di successo. Se quel passato risulta opaco perché legato a All Iberian, di cui non conosce l'esistenza, o di David Mills, che non ha mai incontrato, egli è disposto a lasciare la politica e addirittura il Paese. Oggi dovrebbe farlo davvero perché la decisione della Cassazione conferma che ha corrotto Mills (lo conosceva) per nascondere il dominio diretto su quella macchina d'illegalità e abusi che è stata All Iberian (la governava). Il capo del governo non lo farà, naturalmente, aggrappandosi come un naufrago al legno della prescrizione che egli stesso si è approvato. Non lascerà l'Italia, ma l'affliggerà con nuove leggi ad personam (processo breve, legittimo impedimento), utili forse a metterlo al sicuro da una sentenza, ma non dal giudizio degli italiani che da oggi potranno giudicarlo corruttore, bugiardo, spergiuro anche quando fa voto della "testa dei suoi figli".

© Riproduzione riservata (26 febbraio 2010)

giovedì 25 febbraio 2010

Le mafie emigrate

Dal Fatto.

LA ‘NDRANGHETA ELEGGE GLI ITALIANI IN GERMANIA

Forgione: è una grande holding economico-finanziaria

di Enrico Fierro

“La permanenza di Nicola Di Girolamo sui banchi del Senato è una vergogna assoluta. La Repubblica italiana non può essere rappresentata da personaggi che devono la loro elezione a boss di una mafia spietata e sanguinaria come quella degli Arena di Isola Capo Rizzuto”. Francesco Forgione, ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, ha scritto "Mafia Export", edito da Dalai, sulla forza delle mafie italiane nel mondo. Forgione, di cosa ci parla la vicenda Fastweb, Di Girolamo, 'ndrangheta? Conferma quello che alcuni vanno dicendo da qualche anno nell'ipocrisia generale della politica e delle istituzioni. Che la 'ndrangheta non è solo una organizzazione criminale ma è una grande holding economico-finanziaria capace di tessere rapporti col mondo imprenditoriale romano,
lombardo europeo ed internazionale. E' la mafia che dispone della più grande quantità di soldi liquidi e di un tessuto di relazioni borghesi, professionali ed economiche, che nessuna mafia oggi è in grado di mettere in campo. Questa forza le consegna un potere di contrattazione con la politica che nessun'altra organizzazione ha. Anche fuori dai confini tradizionali? La novità è proprio questa. La 'ndrangheta è stata in grado di insediare le proprie strutture all'estero, non si è limitata a riciclare denari, ha portato avanti una vera e propria opera di conquista riproducendo anche i modelli culturali a Duisburg come a Sidney, a Caracas come a Toronto. A Stoccarda e nel resto della Germania è come nella Locride: forza militare, modelli culturali e controllo del voto politico? Esatto, è in questo contesto che si colloca la vicenda Di Girolamo. Se vuoi avere il voto della comunità italiana in Germania devi andare a Crotone o a San Luca. La cosca degli Arena in Germania ha un proprio sistema di relazioni radicato perché da anni le cosche del Crotonese sono presenti su quel territorio, svolgono attività economiche, dispensano posti di lavoro, offrono protezione. A Stoccarda c'è una cosca storica, quella degli Iona di Belvedere Spinello, provincia di Crotone, i Farao Marincola di Cirò, che hanno basi anche a Bakum, a Francoforte e Friburgo, a Munster ci sono i Grandi Aracri di Cutro, a Dusseldorf la cosca Megna di Crotone. I Pugliese e gli Arena sono diventati gli ambasciatori presso questi insediamenti. Quindi il voto degli italiani all'estero è condizionato da queste presenze? Mi pare evidente, lo raccontano le inchieste dei magistrati di diverse procure soprattutto calabresi. Ma al di là delle inchieste, è chiaro che chi è egemone nella comunità italiana è egemone anche nel voto. Quello che mi colpisce in questa inchiesta è la vastità delle relazioni della 'ndrangheta con pezzi importanti dell'economia più moderna, quella delle comunicazioni e per questa via con settori politici. Meno male che ci sono le intercettazioni telefoniche che hanno svelato questo meccanismo. Di Girolamo era nelle mani della 'ndrangheta, lo trattavano come uno straccio. Perché i rapporti tra mafia e politica sono cambiati, prima era la mafia ad avere bisogno della politica e dei partiti, oggi sono i partiti che si rivolgono alle mafie per ricevere il consenso. Oggi siamo di fronte ad un politico che è subalterno alla mafia, è il portiere, lo schiavo dei mafiosi. Ma c'è di più: questo Di Girolamo è il vice di un altro signore che si chiama De Gregorio, bisogna interrogarsi su cos'è questa fondazione Italiani nel mondo, perché a De Gregorio è stato assegnato un seggio, perché De Gregorio si sceglie come vice un personaggio come Di Girolamo. A questo punto dobbiamo chiederci cosa sono alcune strutture politiche, come nascono, con quali finanziamenti, andando noi al di là dei fatti giudiziari. È tempo di liste ed elezioni, in Campania e in Calabria ci son grandi movimenti anche nel mondo della criminalità organizzata. Sono seriamente allarmato, è legittimo sperare che i partiti ce la facciano a ripulirsi, ma è anche legittimo avere seri dubbi che ciò accada. Perché negli ultimi anni nel Sud nessuno ha avuto la forza di operare scelte di rottura radicali, non solo nella rappresentanza, ma anche nelle pratiche di governo. Pensiamo alla gestione dei rifIuti a Napoli, alla sanità e ai finanziamenti europei in Calabria I partiti, però, promettono trasparenza. Sono scettico, perché se si continua a tenere al governo un uomo come Cosentino, se soggetti già rinviati a giudizio per gravi reati di corruzione e di mafia si fanno scudo delle garanzie e della sentenza di terzo grado, se dell'Utri e Cuffaro continuano ad essere al loro posto, se Fitto continua a rimanere ministro, il segnale che arriva all'opinione pubblica è quello di una politica che pensa solo a tutelarsi.
La strage di Duisburg (FOTO ANSA)


Mills prescritto. Ma il reato c'è stato!

Da Il Giornale, la gazzetta di regime, si legge "l'interpretazione libera" della prescrizione del reato di corruzione per Mills e della prossima (fra 11 mesi) prescrizione anche per Mr B.

[...]

Verdini: "Fine di una persecuzione giudiziaria"
"Anche i muri sapevano ciò che oggi ha sancito la Corte di Cassazione. Solo la protervia dei giudici milanesi, che colpendo Mills intendevano colpire Berlusconi, ha fatto sì che il processo contro l’avvocato inglese venisse trascinato per mesi attraverso continui strattonamenti al codice". È Denis Verdini ad affermarlo in una nota. "È questo - prosegue il coordinatore Pdl - il prezzo che si deve pagare, anche a danno del contribuente, per l’incredibile persecuzione giudiziaria di cui è fatto oggetto il presidente del Consiglio. Per fortuna esiste una maggioranza silenziosa e autorevole della magistratura non militante - conclude - che applica il diritto e non lo altera solo per sovvertire la volontà degli italiani".

La Russa "Bisogna prendere atto che ci sono elementi contro Mills, ma anche che si voleva tenere in vita un processo che era morto evidentemente per altri fini". Così il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, commenta la sentenza della Cassazione sul ricorso dell’avvocato inglese. "Voglio fare un commento più da avvocato che da politico. Solo una valutazione fortemente apodittica - dichiara - poteva consentire già nei precedenti gradi di giudizio che il reato non venisse prescritto. La Cassazione non poteva che prescrivere".

[...]

La ricostruzione dei fatti Il momento in cui si consumò il reato fu infatti, per i giudici milanesi, il 29 febbraio 2000, quando il legale inglese, ritenuto l'ideatore del sistema di società off shore della Finivest entrò nella disponibilità della somma che, secondo l'accusa, gli sarebbe stata promessa nel 1999. Il difensore di Mills, Federico Cecconi, ha sempre sostenuto l'estraneità del suo assistito alle accuse. Di quei 600mila dollari, per Cecconi, che si è avvalso di svariate consulenza, non vi è traccia nel processo. Mancano inoltre, la qualità di pubblico ufficiale in cui avrebbe reso quelle dichiarazioni, la prova di un accordo corruttivo e la prova che sia stata resa una falsa testimonianza per favorire Silvio Berlusconi.

Il processo a Berlusconi Per il Cavaliere il processo ricomincerà il 27 gennaio ed è ancora in primo grado per via della sospensione dovuta al Lodo Alfano, poi dichiarato parzialmente incostituzionale dalla Consulta. Il dibattimento è ancora alla fasi iniziali. Nella scorsa udienza, a gennaio, gli avvocati di Berlusconi, Niccolò Ghedini e Piero Longo, non hanno prestato il consenso all'utilizzabilità degli atti formatisi nel processo a Mills prima dello stralcio della posizione del premier in conseguenza del Lodo Alfano. I giudici li avevano invece ritenuti validi ma con la riserva di valutare la loro utilizzabilità di volta in volta. Poi avevano disposto un rinvio, in attesa, appunto, del verdetto della Cassazione per il coimputato del premier David Mills. Il fatto che i giudici della Cassazione abbiano ritenuto configurabile il delitto di corruzione in atti giudiziari susseguente, fa sì che per Berlusconi la prescrizione non sia ancora maturata, proprio perchè i termini di questa erano stati sospesi durante l’interruzione del processo per effetto del Lodo. Certo, appare difficile che il processo al premier possa svolgersi in tutte e tre i gradi di giudizio senza cadere in prescrizione, proprio perchè questa maturerà fra11 mesi.

Dal Fatto invece si leggono i fatti.

Il Complice

di Peter Gomez

Adesso lo dice anche la Corte di Cassazione. Davvero il testimone inglese David Mills è stato corrotto dal premier, Silvio Berlusconi, per mentire in tribunale. Per questo Mills dovrà versare 250.000 euro allo Stato e non andrà in prigione solo perché la prescrizione (abbreviata da una legge approvata dal centrodestra nel 2005) ha cancellato il suo reato. La sentenza potrebbe avere effetti imprevedibili sul processo in corso a Milano, dopo lo stop dovuto al Lodo Alfano, contro il solo Berlusconi. Il dibattimento rischia infatti di diventare brevissimo. I giudici potrebbero far proprio il contenuto del verdetto definitivo sulla corruzione giudiziaria di Mills (che ha valore di prova) e chiudere tutto, o almeno il primo grado, entro il prossimo gennaio 2011, il mese in cui la prescrizione scatterà anche per il Cavaliere. Un esito paradossale che spiega bene l’ondata d’insulti rivolti in ottobre contro la Corte costituzionale, da quasi tutto il centrodestra, quando il Lodo fu bocciato. Ieri, il presidente della Consulta, Francesco Amirante, ha definito quelle contumelie una “bizzarria” di una classe politica che finge di meravigliarsi se i giudici della Corte fanno il loro lavoro e dichiarano illegittime norme in contrasto con i principi fondanti della Repubblica. Per Amirante si tratta di un gioco pericoloso. Perché “quando
si delegittima un’istituzione, a lungo andare si delegittima lo stesso concetto di istituzione e, privo di istituzioni rispettate, un popolo può anche trasformarsi in una massa amorfa”. Tutto vero. Anche se in Italia la situazione è ancora peggiore. Le istituzioni qui da noi si delegittimano da sole. Prendete, ad esempio, il Senato. Due anni fa i magistrati scoprono che Nicola Di Girolamo, il parlamentare Pdl oggi accusato di essere un uomo della 'Ndrangheta, è un abusivo. Per farsi eleggere all’estero aveva falsificato il suo certificato di residenza. Bè, cosa fanno i suoi (momentanei) colleghi? Dicono di no al suo arresto. E poi, sebbene le prove della truffa elettorale siano documentali, non lo fanno nemmeno decadere. Tutto viene rimandato all’eventuale sentenza definitiva. Poi arriva la seconda richiesta di manette, spuntano le sue foto abbracciato a un boss, e il presidente del Senato, Renato Schifani, ha una trovata: non pronunciamoci sull’ordinanza di custodia, dice, ma limitiamoci a togliere a Di Girolamo la poltrona abusivamente occupata a Palazzo Madama. Il tutto con due anni di ritardo, mentre il disgusto per la Casta cresce e le istituzioni si trascinano da sole nel fango.

De Magistris a Catania

Luigi De Magistris il 20 febbraio a Catania: durante la presentazione del mensile Left - L’isola possibile.



Elio e le storie tese: Italia amore mio



Ci siamo quasi, manca poco


TOTALE RAGGIUNTO AL 25 Febbraio ore 21.00

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Manifestazione nazionale contro il legittimo impedimento ed
a sostegno degli organi di garanzia costituzionale

Siamo persone libere, autonome dai partiti, decise a rilanciare il rinnovamento culturale e politico in questo Paese.
Rinnovamento gioioso, pacifico e determinato che nasce con il No B Day: l’imponente manifestazione che ha riempito Piazza san Giovanni a Roma il 5 dicembre 2009. La grande festa di democrazia che ha colorato di viola strade e piazze in Italia e nel mondo.

Noi crediamo che l’approvazione della norma sul legittimo impedimento eleverebbe di fatto un cittadino italiano al di sopra degli altri, e dei principi di legalità: violazione palese della nostra Carta Costituzionale.

Non è più tempo di indugiare: è ora che tutti ci mettano la faccia.
Per questo invitiamo tutti gli esponenti della cultura e dell’informazione, della scienza e dello spettacolo, delle forze democratiche e del lavoro, ad aderire e partecipare alla nostra nuova iniziativa.
Per questo invitiamo tutti i cittadini alla grande manifestazione di Roma, in Piazza del Popolo, sabato 27 febbraio 2010 dalle ore 14.30.

A due mesi dal No B Day il rischio per la democrazia è ancora più grande.
Perciò torniamo nella piazza, affianco alla Costituzione e a sostegno degli organi di garanzia che essa prevede:
Nessuna legittimazione per chi attacca i principi della civile convivenza!

Questo appello è promosso da:
Popolo Viola Roma, Presidio Permanente Monte Citorio, Bo.Bi.,
Blog San Precario, LiberaCittadinanza, pagina Facebook del Popolo Viola

Firma l'appello

mercoledì 24 febbraio 2010

L'IdV fa...il PdL distrugge

Nel 2007 Prodi mette un tetto agli stipendi dei manager STATALI, poi cancellato da Berlusconi

Nel 2009 l'IdV fa passare un emendamento che mette un tetto agli stipendi dei manager PRIVATI, ora Berlusconi lo toglie.

Qual'è il malgoverno?

Da Repubblica.it

La commissione Finanze della Camera cancella il testo del Senato che prevedeva che il trattamento economico
non potesse superare quello annuo lordo spettante ai parlamentari, vietando di includere le stock option.

Stipendi, dietrofront del governo nessun tetto per gli stipendi dei manager

ROMA
- Un dietrofront annunciato. E' saltato il tetto allo stipendio dei manager delle società quotate e delle banche. La commissione finanze della Camera ha approvato l'emendamento al ddl che cancella dal testo i due commi che prevedevano che il "trattamento economico onnicomprensivo" dei manager degli istituti di credito e delle società quotate non potesse superare il trattamento annuo lordo spettante ai parlamentari e che vietavano di includere tra gli emolumenti e le indennità le stock option.

La vicenda prende le mosse nel 2009. Quando, durante la discussione sulla legge comunitaria al Senato, passa un emendamento dell'Idv che stabilisce un tetto agli stipendi dei manager degli istituti bancari e in generale delle società quotate, ponendo precisi limiti alle stock option. L'emendamento passa con il voto a favore dei senatori della maggioranza. In questo modo viene introdotto un tetto massimo di retribuzione degli stessi dirigenti che avrà come limite il trattamento annuo lordo che spetta ai membri del Parlamento. Ma dura poco. Perché il contrasto tra il sentimento popolare e le regole di mercato si risolve a favore delle seconde. "La questione del tetto è un tema importante ma la norma che è stata votata dal Senato verrà cambiata dal governo" taglia corto il ministro dell?Economia, Giulio Tremonti - Abbiamo fatto sapere che questa è una norma incostituzionale?.

Con queste premesse il testo arriva alla Camera. Dove, la commissione Finanze lo modifica. "ll tetto per i manager delle quotate potrebbe essere anche eluso con tutti gli effetti negativi del caso. Gli amministratori, infatti, potrebbero ricevere i loro compensi dalle holding che controllano le società quotate e questo si tradurrebbe nel fatto che le holding resterebbero fuori dal mercato borsistico lasciando in Borsa solo le società operative" dice il relatore del Pdl Gerardo Soglia. "E' solo l'ennesima prova di quanto questa maggioranza sia asservita ai poteri forti" ribatte il senatore Elio Lannutti dell'Idv.

Come previsto dal regolamento della Camera, l'emendamento si intende accolto, salvo che la commissione per le politiche Ue, non lo respinga per motivi di compatibilità con la normativa comunitaria o per esigenze di coordinamento generale.

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Da Repubblica.it

ROMA - Il Popolo Viola torna in piazza. E convoca per sabato 27, in piazza del Popolo a Roma, una manifestazione nazionale contro il legittimo impedimento, "a fianco della Costituzione e a sostegno degli organi di garanzia costituzionale". Il popolo del web ha deciso che i leader politici non potranno - come accaduto durante il no B-Day - prendere la parola dal palco. Le adesioni politiche sono comunque arrivate numerose. A quella dell'Italia dei valori è infatti seguita quella del Partito democratico, della Federazione della Sinistra, di Sinistra ecologia e libertà e dei Verdi. "Il 27 febbraio a Roma - spiegano i Viola - saremo tantissimi cittadini. Urleremo forte il nostro basta, contro le leggi ad personam di Berlusconi e di questa maggioranza".

L'assenza di "un appoggio economico o logistico dei partiti" ha spinto il popolo del web a lanciare una sottoscrizione online per raccogliere almeno 20 mila euro: soldi necessari all'allestimento del palco e per pagare tutte le spese organizzative. A chi sottoscriverà la cifra maggiore andrà in premio una colazione con Dario Vergassola. "Lo facciamo - affermano gli organizzatori - per dire la nostra su quanto accade nel nostro Paese: un Parlamento bloccato a risolvere i problemi personali del premier che non si occupa dei problemi dei cittadini". Come la disoccupazione e la disinformazione.

Un'agenda fittissima quella del Popolo Viola che anche oggi, in seguito alla decisione presa ieri dalla maggioranza di posticipare la discussione del legittimo impedimento al 9 marzo, ha risposto immediatamente con un appuntamento lampo in Piazza di Spagna. "Aspettando il 27 - spiegano i promotori - invitiamo chiunque voglia cantargliele forte a venire in piazza oggi dalle 15,00 di prepararsi con miele ed acciughe per aiutare le ugole". Una riunione necessaria per combattere "una viol@zione". Nel calendario dei lavori anche un altro appuntamento: domenica il Popolo sarà a l'Aquila per sostenere "con le carriole" i cittadini nella lotta volta a ottenere i necessari interventi nel centro storico.

...e in più devi pagà lo scotto sulla tua vita Nicò perché tu una vita nun ce l’avrai più.

Ecco come la 'Ndrangheta tratta un suo affiliato quando questo grazie ai suoi voti diventa un parlamentare.
Di Girolamo, parlamentare PdL, è stato eletto all'estero. A preso molti voti nelle circoscrizioni tedesche di Stoccarda e Francoforte. Gli affiliati della 'Ndrangheta sono venuti in Germania col futuro senatore, hanno preso le tessere elettorali degli immigrati calabresi e le hanno riempite col nome di Di Girolamo. Il parlamentare ha un procedimento aperto perché ha falsificato la residenza per farsi eleggere all'estero. L'aula parlamentare lo "assolve" con le parole di Cuffaro: “Onorevoli colleghi, mettetevi una mano sulla coscienza! Se votate per la decadenza quest’uomo sarà arrestato!”.

Dal Fatto Quotidiano le intercettazioni su Di Girolamo.


Nicola Paolo Di Girolamo

Il senatore e le ‘Ndrine: “Nicò, sei schiavo mio”

IL SUO “ELETTORE” MOKBEL: “CONTI COME UN P
ORTIERE, CAPITO?”. E QUEI VOTI DELLA COSCA ARENA

Secondo la Procura di Roma il senatore del Pdl Nicola Paolo Di Girolamo uomo alle dirette dipendenze di Gennaro Mokbel, sarebbe stato eletto nella circoscrizione Estero del Senato, con i voti garantiti dalla ‘Ndrangheta di Isola Capo Rizzuto. A fare impressione so
no le telefonate intercettate tra il senatore e Gennaro Mokbel, un uomo legato ad Antonio D’Inzillo, considerato l’omicida del boss della Magliana Enrico De Pedis. Il senatore si fa trattare come uno sguattero dal suo cliente che lo ha aiutato ad essere eletto: “M’hai scassato il cazzo, te lo dico papale papale a Nicò”, lo apostrofava il primo aprile 2008, quando era ancora candidato, diceva: “Se t’è venuta la candidite Nicò e se t’è venuta già a’ senatorite è un problema tuo, però sta’ attento che ultimamente te ne sei uscito tre volte che io sono stato zitto ma oggi mo’ m’hai riempito proprio le palle Nicò. Capito? A ’n’ altro je davo ‘na capocciata ma a te siccome te voglio bene, Nicò, abbozzo ‘na volta, due, tre volte. Mo basta”. E il futuro senatore, dopo essersi scusato, corre da lui. Dopo le elezioni Mokbel è ancora più duro con il suo servo, che si scusa dicendo: “Io ho sbagliato” ma a Mokbel non basta: “Non me ne frega un cazzo. A me di quello che dici tu… per me Nicò puoi pure diventà presidente della Repubblica, per me sei sempre il portiere mio, per me tu sei sempre il portiere no, nel senso che tu sei uno schiavo mio, tu conti sempre come il portiere, capito Nicò. Però ricordate, io per i soldi nun me ne frega un cazzo del potere, però ricordate Nicola che per le sfumature me faccio ammazzà e faccio del male”. Il faccendiere rinfacciava al senatore i suoi debiti: “Ti è piaciuto sentirti qualche cosa e mo ricordate che devi pagà tutte le cambiali che so state aperte e in più devi pagà lo scotto sulla tua vita Nicò perché tu una vita nun ce l’avrai più”. Mokbel rivendica il ruolo di motore e di cassa del movimento politico del quale Di Girolamo è soltanto la faccia: “Io sono sette mesi che sono murato qua dentro e calcola che il 70% dei soldi tirati fuori qua li ho tirati fuori io, io sto zitto e muto e tiro fuori. Ma che me voi dì... Io c’ho cinquant’anni Nicò”. Il senatore prova a ribattere “e pure io Gennaro” e Mokbel: “Eh, ma i cinquant’anni mia nun so’ i tua”. E il senatore che si ricorda con chi ha a che fare: “Quello sicuramente”. Dalle intercettazioni emerge anche che Di Girolamo si è recato in Germania assieme agli esponenti della cosca Arena della famiglia di Isola Capo Rizzuto per procurare voti come scrive il gip “avvalendosi della capacità di intimidazione e dell’operatività della cosca mafiosa reperivano voti presso gli immigrati calabresi in particolare nel distretto di Stoccarda e Francoforte. Dove grazie al supporto del mafioso Franco Pugliese, riciclatore dei beni della famiglia Arena difesa dall’avvocato Colosimo ora latitante, reperivano le schede elettorali in bianco inviate agli elettori residenti all’estero provvedendo al riempimento inserendovi abusivamente il nominativo Di Girolamo Nicola Paolo”. Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, sulla base di indagini ancora segrete aveva inviato parte degli atti alla Giunta per le elezioni che si era convinta della irregolarità proponendo all’Aula di dichiararlo decaduto dal suo seggio senatoriale. Ma l’aula lo ha salvato. Toccanti le parole del senatore Cuffaro condannato in Appello a 7 anni per aver favorito Cosa Nostra durante la discussione: “Onorevoli colleghi, mettetevi una mano sulla coscienza! Se votate per la decadenza quest’uomo sarà arrestato!”. Di Girolamo continua così a svolgere la sua attività parlamentare anche come membro della III Commissione Affari esteri nonostante già nel 2008 sia stato raggiunto da una richiesta di arresto per aver falsificato la sua residenza. “Stanno cercando di mettermi sulla croce. È roba da fantascienza. Sono stato in Calabria durante la campagna elettorale una sola volta invitato dall’avvocato Colosimo per un incontro elettorale” Colosimo è il difensore della cosca Arena, oggi latitante. S. A. e M. L.

martedì 23 febbraio 2010

Emma o non Emma, questo è il problema

Dal Fatto...

Il caso Bonino

di Furio Colombo

C’
è dell’assurdo in ciò che sta succedendo intorno a Emma Bonino dopo che la candidata del Pd in una regione chiave come il Lazio ha fatto sapere di avere iniziato lo sciopero della fame e della sete. Il problema è dove e a carico di chi collocare questo assurdo che graficamente si potrebbe rappresentare solo con “L’ Urlo” di Munch. Ci guida dentro l’assurdo la frase di Rosy Bindi che ha detto, più o meno: “Ma questa è matta, fa la radicale invece di fare la candidata del Pd. Avevo ragione io a non fidarmi”. Questa frase è come la Bibbia incisa su una capocchia di spillo. In miniatura si trova tutta la storia. Primo. La Bonino fa la radicale (tavolini, raccolta di firme, ostinazione su battaglie della legalità, tipo trovare i verificatori di firme, l’ossessione un po’ noiosa d’informare su chi e perché si candida) in quel paesaggio tipo San Fratello che è la vita pubblica italiana. In esso la comune saggezza suggerisce di non insistere (vedi il conflitto d’interessi, vedi il trattato di alleanza militare con la Libia) e di cercare benevolenza invece che la soluzione del problema. Secondo. La Bonino adesso è la candidata del Pd. Ha ben altri doveri. Si adegui se non vuole che si dica che ha già rotto il patto. Qui c’è un vistoso errore, che persino gli elettori distratti avranno notato. Non è la Bonino che, nascondendo il saio dei radicali penitenti, è andata dal Pd a vedere se c’era un posto. È il Pd che si è recato dalla candidata radicale alla presidenza della regione Lazio per chiedere (ottima idea, continuo a pensare): vuoi essere la candidata del Pd? Vero, c’è stato chi si è dichiarato sospettoso, ansioso e scontento (Franceschini). Ma un nome alternativo non è mai stato proposto. Ed Emma Bonino è sembrata subito la soluzione (forse vincente ma certo unica) al problema del Pd nel Lazio, dopo la vicenda Marrazzo. Terzo. Adesso la Bonino fa sapere due cose: che il rappresentare il Pd (che sta facendo da subito e bene) non la separa da vita, legami, impegni, militanza,passatoevisionesuciòcheaccadeinItalia; e che, certe volte, questo legame chiede la tenacia e l’ostinazione di non lasciar perdere. Esattamente ciò che ha indotto il Pd a decidere: ecco la persona giusta. Bene. Ma come si esce dalla contraddizione di fare una simile campagna elettorale continuando lo sciopero della fame e della sete? Domanda ansiosa e ragionevole, vista l’importanza di vincere in questa regione e in queste elezioni. Però, benché estranea alla consueta vita italiana, la Bonino non sta chiedendo la luna. Volete dire che è impossibile oggi in Italia, raccogliere firme, candidarsi, informare, essere informati, votare con piena coscienza di causa, partiti grandi e partiti piccoli, un paese in cui la Costituzione c’è e vale per tutti?

Ping pong tra Brunetta e De Michelis

Dal Fatto di oggi. Marco non delude mai!

Sviste pulite

di Marco Travaglio

Davvero spassoso il dibattito sulle “liste pulite” avviato dal titolare delle liste più luride della storia dell’umanità. Politici, giornalisti, intellettuali e giuristi per caso si esercitano intorno al tema della corruzione con gli stessi esiti di Emanuele Filiberto che tenta di cantare, di Gasparri che tenta di ragionare e di Angelino Jolie che tenta di scrivere una legge anticorruzione. Si impegnano, si applicano, ma non ce la fanno proprio. Non è il loro ramo. Sono troppo abituati a spostare l’attenzione dalle mazzette al colore della toga del giudice che le ha scoperte o della camicia del giornalista che le ha raccontate, per riuscire a dire qualcosa di sensato. Così non fanno altro che rinfacciarsi le reciproche mazzette: tu ne hai prese più di me, tu hai più condannati di me, tu hai più processi di me. Ieri il Geniale, copiando i nostri libri e le denunce di Grillo, elencava i condannati e gli inquisiti in Parlamento. Solo quelli di Pd e Udc, ci mancherebbe: per quelli del Pdl occorrerebbe una Treccani in vari volumi. In prima pagina, direttamente dalla famiglia Addams, Alessandro Sallusti si inerpicava sul tema per elogiare il Pdl del padrone, “unico partito ad affrontare una questione vera e non più rinviabile”. Ma va?
Benvenuto nel club. Sulle prime zio Tibia partoriva persino un concetto sensato: non sempre, per cacciare un politico imputato, bisogna attendere la Cassazione. Poi però si perdeva per strada, vaneggiando di misteriosi “reati civili e amministrativi”. Infine perdeva la brocca parlando del Banana: i suoi processi sono speciali, rientrano nella “zona grigia della giustizia”. E’ quel che dice pure Cicchitto, altro neofita dell’argomento: l’altra sera a Porta a Porta tentava teneramente di conciliare le liste pulite e il Banana. Impresa titanica: “Sia chiaro che contro Berlusconi c’è un uso politico della giustizia, contro Bertolaso pure, mentre sugli altri si può discutere”. Ecco, i processi buoni e quelli meno buoni li decide lui: indossa cappuccio e grembiulino, poi scrive le sentenze. L’ottimo Belpietro, per non sbagliare, affida il commento a Giancarlo Abelli, contitolare del conto a Montecarlo per cui la sua signora ha appena patteggiato 2 anni per riciclaggio e restituito 1,2 milioni di maltolto: un’autorità in materia di liste pulite. Formidabili le prediche anticorruzione del duo Marcegaglia&Montezemolo, presidente ed ex presidente del più popoloso consesso di corruttori mai visto in natura: la Confindustria. Che ora espelle chi paga il pizzo per non esser ammazzato dalla mafia, cioè le vittime di concussione, ma non ha mai messo alla porta un solo iscritto che paga tangenti. Anche perché la sora Emma dovrebbe espellere se stessa, o almeno il fratello e il papà, titolari del gruppo di famiglia che due anni fa ha patteggiato a Milano 500 mila euro di pena pecuniaria e 250 mila di confisca per Marcegaglia Spa, 500 mila euro di pena più 5 milioni di confisca per la controllata NE Cct Spa, 11 mesi di reclusione per Antonio Marcegaglia (fratello di Emma, figlio di Steno): il tutto perché nel 2003 pagarono una mazzettona all’Enipower in cambio di appalti. Ora Montezemolo sostiene che la corruzione dilaga perché i politici “non hanno fatto le riforme”. Forse voleva dire “perché hanno fatto le riforme”: in 15 anni hanno sfornato 200 leggi in materia di giustizia, tutte a favore della corruzione e nessuna contro. E la Confindustria non ha mai emesso un pigolio contro condoni fiscali, scudi, depenalizzazioni del falso in bilancio, allungamenti dei tempi dei processi e tagli dei termini di prescrizione. Ma niente paura: Renato Brunetta assicura che all’anticorruzione ci pensa lui. Nella Prima Repubblica, Brunetta era consulente del ministro De Michelis; nella Seconda, divenuto ministro, ha ingaggiato come consulente De Michelis. Il giusto premio per le condanne collezionate da De Michelis per finanziamento illecito e corruzione. Ecco, la legge anticorruzione potrebbe scriverla lui. Dopo tanti dilettanti, finalmente un professionista.

Italia amore mio

Se volete farvi due risate guardate qua!



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lunedì 22 febbraio 2010

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domenica 21 febbraio 2010

La legge è uguale per tutti: il Popolo Viola scende in piazza

L'appello dal sito del Popolo Viola per una sottoscrizione straordinaria per l'organizzazione della prossima uscita dei Viola a Roma sabato 27 Febbraio 2010 in Piazza del Popolo.


Abbiamo deciso di organizzare la manifestazione del 27 febbraio senza l’appoggio economico o logistico dei partiti.

Per questo abbiamo aperto una sottoscrizione che finora ha reso circa 2.000 euro. Ne mancano ancora perlomeno 20.000.

Per questo abbiamo lanciato una SOTTOSCRIZIONE STRAORDINARIA che, a partire dalle 7.20 e fino alle 24.00 di martedì 23 febbraio porti a raccogliere almeno 20.000 euro, 20 euro al minuto.

Per fare questo dobbiamo mobilitarci tutti quanti. Come?

Vai sul sito: www.27febbraio2010.org


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Apprendo dal Fatto di oggi che anche Bersani parteciperà alla giornata dei Viola di sabato prossimo. Meglio tardi che mai.

PRESIDIO VIOLA

Piano piano fu
ori dal cono d’ombra

Belle sensazioni in piazza ieri. Tante persone che andavano e venivano, musica, colore, parole. La giornata era
cominciata con la colazione del sabato accompagnata dalla lettura dei giornali. Saltava subito agli occhi quell’articolo a mezza pagina del “Corriere”, in cui Bersani un po’ a sorpresa e senza troppi giri di parole annunciava l’adesione del suo mpartito alla manifestazione del prossimo 27. Bene, benissimo. Non è tanto sapere della possibile presenza del segretario del Pd che ci dà coraggio. Più che altro è la consapevolezza che la manifestazione è entrata in agenda, e
che ora se ne comincia a parlare. Era stato così anche alla vigilia del No Berlusconi Day, lo scorso 5 dicembre. Un’ampia copertura informativa era arrivata quando l’umore non era proprio ai massimi livelli, e ci aveva reso il percorso più morbido. Funziona così, che piaccia o non piaccia. La rete è uno straordinario luogo di incontro oltre a fungere da piattaforma organizzativa. Ma da sola non basta a lanciare un evento che necessariamente deve esse
re di massa. Nel frattempo qui al presidio vanno a ruba le magliette viola, e si fa cassa per sostenere il presidio, oltre che la manifestazione. Alleggerito (almeno apparentemente) il problema della copertura stampa, ora c’è da pensare ai denari. Se siete con noi, dateci una mano. Andate sul sito www.27feb braio2010.org   per scoprire come.

Il Misfatto


Nasce "Il Misfatto" "Organo ufficiale dei fomentatori d'odio" come inserto satirico del Fatto Quotidiano. Di seguito la presentazione e alcune vignette...

Live in sala parto

Ci pare di sentirvi: “Finalmente!” “E’tornato Cuore!” “E’tornato il Male!” Finitela di alleluiare, nostalgiconi che non siete altro. La satira è come l’aldilà (gratta): nessuno ritorna e se torna com’era, è il fantasma di un defunto, parte male e fa malinconia. Questa, al contrario, è una nascita. Un lieto evento. E’ nato ‘Il Misfatto’. Come ogni creaturina appena venuta al mondo è un coso indefinito, piace soprattutto (speriamo non solo) a mamma e papà e non si sa come sarà da grande. Ma è sicuro che il pupo sarà sveglio, vivace e screanzato quanto basta. Cin cin.

Il Dg Uno di Donald Soffritti

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La striscia di Stefano Disegni

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Un nuovo modo di fare programmi di approfondimento

Dal Fatto di oggi...

Le urla scomposte dello squadrismo

di Paolo Flores d’Arcais

Questo giornale ha dovuto rammentarlo fin troppe volte: anche i rarissimi spazi televisivi non ancora appaltati al minculpop berlusconiano sono sistematicamente teatro di squadrismo mediatico, che tenta censura e bavaglio contro quanti – pochissimi – si ostinano ad argomentare razionalmente anziché berciare a dieci decibel. L’aggressione di cui è stato oggetto Marco Travaglio nell’ultima puntata di “Anno Zero” è solo l’ennesimo episodio, benché il più grave perché insistito e consentito oltre ogni limite di decenza. Lo squadrismo mediatico funziona così: a chi prova
con l’argomentazione razionale, e quindi rischia di convincere qualche milione di concittadini, il berlusconiano d’ordinanza tappa la bocca con l’olio di ricino della glossolalia di regime (glossolalia: s.f. La coniazione, talvolta patologica, di associazioni sillabiche prive di senso. Devoto-Oli, dizionario della lingua italiana) o col manganello di ingiurie e false accuse, vomitate come un man-tra. Mai che ad una argomentazione, fatta esprimere liberamente e ascoltare compiutamente, la “mascherina” di regime risponda con una argomentazione. La sua unica argomentazione è l’interruzione, la potenza delle corde vocali a surrogato dell’impotenza della ragione. Che senso ha, con questo andazzo, discutere ancora di par condicio? Perché si tollera, anche nelle ultime “riserve” di un giornalismo ormai in estinzione, la censura contro chi è ancora pensante, e vuole praticare il dia-logos ad armi pari? Perché anche questo genere di ospite non viene garantito nel suo diritto alla parola? Chi vuole imporre la violenza della censura dovrebbe esserne impedito, e nulla è tecnicamente più facile da realizzare in uno studio televisivo. Basta che il microfono aperto, oltre al conduttore, lo abbia un ospite alla volta, è la scoperta dell’acqua calda. E per favore non si tiri fuori la solfa che una trasmissione in cui ci si alterna a ragionare, senza schiamazzi e aggressioni, sarebbe noiosa. E’ vero il contrario, lo squadrismo mediatico che imbavaglia l’altrui parlare col rumore del proprio nulla belluino, toglie a chi ascolta il piacere di assistere ad una vera controversia, niente affatto “pacata”, aspra e anzi asperrima di giudizi e di argomenti, e di farsi poi una propria ponderata opinione. Sia chiaro, lo squadrismo fisico è, per un individuo che lo subisca, assai peggiore di quello mediatico. E ancora non siamo a tanto. Ma dal punto di vista degli effetti politici quello mediatico è equivalente. E se lo si lascia tracimare prepara il terreno per lo squadrismo tout court. In passato, amici con cui ho sollevato questo tema hanno avanzato una variante dell’argomento del “male minore”: se i conduttori delle rare trasmissioni ancora di giornalismo, anziché di regime, si azzardassero a impedire le interruzioni-bavaglio dei Berlusconi-boys, anche le ultime “riserve wwf” del giornalismo-giornalismo televisivo verrebbero immediatamente chiuse. Questo argomento (come del resto tutta la tastiera del “male minore”) non mi ha mai convinto. La volontà del regime, di chiudere ogni spazio che non sia prono al capovolgimento orwelliano della realtà, è conclamata. Ad arginarla sono solo le pressioni dell’opinione pubblica (oltre alle sentenze della magistratura). Non cedimenti corrivi ai rissosi del wrestling propagandistico e altri energumeni del “meno male che Silvio c’è!”. Anzi, un po’ di “immaginazione democratica” potrebbe tentare una meritoria operazione “ex malo bonum”, di fronte al tentativo della Commissione parlamentare di vigilanza di ostracizzare durante il periodo elettorale le poche trasmissioni non ancora minzolinizzate. L’on. Marco Beltrandi, radicale, relatore sulla misura in questione, ad una mia precisa domanda risponde via mail (scripta manent): “sicuramente le trasmissioni di approfondimento se scegliessero di non ospitare politici potrebbero andare in onda senza problemi”. Perché non approfittarne? Perché anzi non rendere stabile una situazione che oggi potrebbe essere assunta per dribblare un diktat censorio? I politici, infatti, dovrebbero parlare con il loro agire, non con gli effetti annuncio delle chiacchiere televisive, smentite da chiacchiere altrettanto “solenni” del giorno dopo. Del resto, le “trasmissioni di approfondimento” si differenziano da quelle di “comunicazione politica”, secondo la classificazione ufficiale della Commissione di vigilanza, proprio per l’assenza dei politici. Ecco, trasmissioni di approfondimento, cioè discussioni di politica senza politici, e senza bavagli da interruzioni squadriste: sono certo che anche l’Auditel salirebbe.

Una legge contro la corruzione. Ah ah ah! Il Banana...

Fal Fatto di oggi...

All you need is law

di Marco Travaglio

Ci hanno provato, e di questo gli siamo grati. Ma alla fine i legislatori pret à porter del Banana han dovuto arrendersi: è più forte di loro, una legge anti-corruzione non gli viene proprio, esula dalle loro umane possibilità. Mettiamoci nei loro panni: l’altro giorno all’improvviso, dopo una vita spesa a sfornare leggi pro-corruzione, Angelino Jolie e la sua badante, al secolo Niccolò Ghedini, vengono convocati dal capo per una mission impossible: “Ragazzi, stavolta dovete farmi una legge contro la corruzione. No, non sono impazzito, è la gente che è incazzata. Fate voi, mettetecela tutta, leggete qualche libro, ce la potete fare”. Il duo Ad Personam si mette all’opera. Anzitutto consulta il dizionario della lingua italiana, alla voce “anti-corruzione”, ma non trova la pagina, a suo tempo strappata per non cadere in tentazione. I due chiedono in giro fra amici e clienti, ma niente da fare: nessuno che li aiuti a decodificare il criptico concetto. Vanno capiti: non s’erano ancora riavuti dalle ultime cinque leggi pro-corruzione - lodo Alfano bis, processo morto, legittimo impedimento, impunità parlamentare e anti-intercettazioni – e quello pretende che vadano contro natura. Come chiedere a Basaglia si riaprire i manicomi e alla Merlin i bordelli. Angy & Nick provano e riprovano, alzano pene di qua, le abbassano di là, infilano tre reati e ne escludono sei (quelli del capo), dividono, sottraggono, aggiungono, estraggono radici quadre, moltiplicano pigreco e alla fine presentano un testicolino che fa ridere perfino il Banana: “Avevo detto anti, non pro!”. Pare che quel buontempone di Ghedini, per combattere meglio la corruzione, avesse pensato di
ridurre da 8 a 6 anni la pena massima per la corruzione giudiziaria, guardacaso quella per cui sono imputati il Banana e Mills. E, siccome nelle norme sostanziali vale sempre la più favorevole al reo, la norma avrebbe incenerito all’istante il processo. La forza dell’abitudine. La cosa è parsa eccessiva financo al Banana, che l’ha rinviata in attesa di tempi migliori. Peccato, perché l’ambasciatore Romano aveva già indossato la feluca d’ordinanza per prenderla sul serio: “Un buon segnale”, l’ha definita sul Pompiere. Invece Feltri e Ferrara han subito colto l’aspetto eversivo di un’eventuale legge anticorruzione: solo a sentirla nominare, han messo mano alla fondina. Il Giornale l’ha nascosta da par suo (ieri apriva sul traffico urbano, alla Johnny Stecchino), manganellando quel mariuolo di Fini che osa pronunciare la parola “legge”. Il Foglio chiede al capo se sia diventato matto: “Deputati in rivolta, sgomento per l’ineleggibilità degli inquisiti che consegna le liste ai pm”. Meglio consegnarle ai ladri. Libero, anzi Occupato, è bipartisan: pubblica commenti sia pro sia contro i ladri. Memorabile quello di Pomicino, l’esperto: “Non serve una legge per essere onesti”. E lui, dall’alto del patteggiamento per corruzione e della condanna per finanziamento illecito, ne è la prova vivente. Ma il bello deve ancora venire: il Banana prepara le “liste pulite”. Fuori indagati e condannati, dentro le igieniste dentali. “Via dai partiti chi commette reati”. Esclusi i presenti, si capisce. Pare che abbia cazziato il povero Verdini, beccato a fare un millesimo di quel che ha sempre fatto lui: affari privati con soldi pubblici. E senza neppure avvertirlo per dividere. Ora s’annuncia un giudizio universale a Palazzo Grazioli. Decine di forzisti hanno smesso di dormire a casa. I primi convocati dovrebbero essere Sciascia e Berruti, condannati l’uno per le tangenti Fininvest alla Finanza, l’altro per aver depistato le indagini: “Ragazzi, ma davvero corrompevate e depistavate a nome mio senza dirmi niente? A saperlo ve l’avrei impedito”. Seguirà Previti: “Cesare, mi dicono che avresti corrotto un giudice con soldi miei per regalarmi la Mondadori: non potevi avvertirmi? L’avrei subito restituita”. L’ultimo, per motivi precauzionali, sarà Dell’Utri: “Marcello, si vocifera di uno stalliere, tale Mangano, in casa mia. Ne sai per caso qualcosa?”.

sabato 20 febbraio 2010

Il PD meglio del PdL?

Signornò

da L'Espresso in edicola

di Marco Travaglio

Quando l’Unione andò al governo nel 2006 e ricascò in tutti gli errori della volta precedente, Curzio Maltese parlò di “coalizione a ripetere”. Nel frattempo è nato il Pd, ha cambiato tre segretari in due anni, ha perso tutte le elezioni possibili e ora si presenta alle regionali in formazione Arlecchino: ora con la sinistra ora senza, ora con Di Pietro ora senza, ora con l’Udc ora senza.
In questa carnevalata c’è un unico comun denominatore: l’allergia alla questione morale e, in certi casi, pure a quella legale. In tutte le regioni del Sud i candidati del centrosinistra sono inquisitda L'Espresso in edicola
o addirittura imputati. In Campania Enzo De Luca vanta due rinvii a giudizio per associazione per delinquere, truffa, concussione e falso. In Puglia Nichi Vendola è ancora indagato per tentata concussione per le spartizioni nelle Asl, anche se due pm su tre sono orientati ad archiviare. In Basilicata il governatore ricandidato Vito de Filippo ha ricevuto l’estate scorsa l’avviso di chiusura indagini (che di solito prelude alla richiesta di rinvio a giudizio) per favoreggiamento a un imprenditore ritenuto l’asso pigliatutto degli appalti per l’estrazione del petrolio. In Calabria, nel processo “Why Not”, il governatore replicante Agazio Loiero ha appena subìto una richiesta di condanna a 1 anno e mezzo per due abusi d’ufficio. In Sicilia, dove non si vota, il Pd sostiene la giunta anomala di Raffaele Lombardo, indagato per abuso d’ufficio dalla Procura e dalla Corte dei Conti per le assunzioni facili di venti giornalisti strapagati nel suo ufficio stampa.

Così, per la prima volta in 15 anni di Seconda Repubblica, il centrodestra candida personaggi intonsi da guai giudiziari e può rinfacciare al centrosinistra di non fare altrettanto. Il che rende flebili sino all’afonia le richieste di dimissioni avanzate da Bersani per Guido Bertolaso, appena indagato, e incomprensibile l’uscita di scena del sindaco di Bologna, Flavio Del Bono, per un’indagine da quattro spiccioli. Mentre l’Italia è scossa da scandali giudiziari che, secondo un uomo prudente come Paolo Mieli, “possono far saltare il sistema come nel ‘92”, il centrosinistra si mozza la lingua da sè, privandosi di un argomento di sicura presa elettorale come le “liste pulite”. Anzi lo regala alla maggioranza berlusconiana, con un ribaltamento paradossale e autolesionistico che nemmeno Tafazzi avrebbe saputo escogitare. Ma non basta ancora: il Pd non dice una parola sulla ricandidatura in Lombardia di Roberto Formigoni, eletto per ben tre volte fin dal 1995, in barba alla legge 165 del 2004 che vieta tre mandati di fila ai presidenti di regione. Formigoni è ineleggibile, ma da sinistra non s’ode uno squillo perché è ineleggibile anche Vasco Errani, che governa l’Emilia Romagna dal 2000 e si candida per il terzo mandato.
Finora molti elettori disgustati si turavano il naso e votavano il centrosinistra perché era meno peggio di Berlusconi. Ora, dopo 15 anni di inseguimento, sta per eguagliare il peggio. Non è meraviglioso?

A riveder le stelle

Dal Post di Grillo di ieri.



Il Programma del MoVimento 5 Stelle è oggi un libro distribuito in tutta Italia. Il titolo è: "A riveder le stelle. (Come seppellire i partiti e tirar fuori l'Italia dal pantano)". E' un libro da campagna elettorale. Da leggere punto per punto agli indecisi, ai disinformati. E' un libroprogramma, un manuale d'uso per la democrazia diretta, un prontuario da recitare in pubblico, nei consigli comunali. In questi giorni sono in piena campagna elettorale per la raccolta delle firme delle elezioni regionali. Il MoVimento 5 Stelle si presenta in sei Regioni Piemonte, Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Umbria e in alcuni tra i principali Comuni. Siamo boicottati dai sindaci, ignorati dalla stampa, ma ascoltati dalla gente. La differenza tra la mia campagna elettorale e quella dei politici è nella qualità della scorta. A me la fanno i cittadini, a loro le truppe antisommossa e le guardie del corpo.
L'Italia è sulle rotaie delle montagne russe. Sta sbandando in modo pauroso. Non è chiaro che direzione prenderà, se precipiterà. Se e cosa sarà la Terza Repubblica e quello che ci aspetta a breve. Il 150° anniversario dell'Unità d'Italia rischia di diventare la data di inizio della dissoluzione del Paese. La corruzione è aumentata del 229% secondo la Corte dei Conti. Ogni dato economico, dall'occupazione, alla produzione industriale, al PIL è il peggiore di sempre. All'inizio degli anni '90 due fattori determinarono la nascita della Seconda Repubblica: la caduta del muro di Berlino e la crisi economica. La mafia si riorganizzò insieme ai reduci di Mani Pulite e dopo vent'anni il lavoro è quasi completato. Manca solo la statua a Bettino Craxi in Campidoglio. Lo Stato si è estinto. I partiti sono scomparsi. Sono diventati comitati di affari che fanno business insieme. Il vero rischio non è il tracollo economico, ma la distruzione del tessuto sociale e nazionale. La parola "sociale" non la pronuncia più nessuno e la pensano in pochi. Il lavoro è stato sostituito dal mercato. Patria e Nazione cosa vogliono dire? Quale valore superiore rappresentano? L'Italia, termine senza significato, è uno scacciapensieri da strizzare nei momenti di bisogno. Trasformare il Paese in una collezione di partiti regionali, baronali o criminali è un attimo. Tornare indietro quasi impossibile.
E' facile naufragare più o meno dolcemente in questo mare. Chiudere a doppia mandata le porte di casa e della partecipazione civile. Forse anche legittimo per chi ha battuto la testa contro il muro per anni senza risultati. Ma non è una soluzione. Ogni astenuto o indifferente conta zero. Il mondo nuovo ci aspetta, può essere sufficiente aprire una porta per rivedere la luce. Ognuno conta uno, ma ognuno deve portare il suo contributo, mettersi il suo elmetto. Nessun italiano può chiamarsi fuori. Il tappo sta per saltare e quello che resta del Paese, non può diventare un banchetto per nuovi pescecani. Ho creato un video telepatico. Guardatelo e poi provate a votare qualcos'altro che non sia il MoVimento 5 Stelle!

"Salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch'i' vidi de le cose belle
che porta 'l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le stelle."

Dante - Inferno - Canto XXXIV

venerdì 19 febbraio 2010

Botta e risposta

La situazione non è facile. Di Pietro secondo molti ha sbagliato ad appoggiare De Luca. Travaglio scrive quasi tutti i giorni sul Fatto Quotidiano notizie su De Luca che sono poco tranquillizzanti. Credo che questa sia una prova non facile per l'IdV. La tesi di Di Pietro è la seguente: se non ci mettiamo col PD non abbiamo una chance di vincere. E questo è vero. Poi dice: se ci mettiamo con De Luca e gli facciamo promettere di dimettersi in caso di condanna, abbiamo un'arma per poter far leva sul sistema politico, cioè gli possiamo togliere la fiducia. I nostri voti, dice Tonino, serviranno ad aver voce in capitolo. Be', leggete cosa dice nell'intervista e poi fatemi sapere...

Dal Fatto di Giovedì 18 febbraio.

DI PIETRO: “DE LUCA MI HA PROMESSO DI RINUNCIARE ALLA PRESCRIZIONE”

La risposta a Borsellino che ha chiesto di non appoggiare la candidatura

di Luca Telese

Antonio Di Pietro: Senta, io non ho bisogno di un intervistatore, mandi un notaio.

Il Fatto: In che senso?
Antonio Di Pietro: Devo fare una confessione. Devo mettere nero su bianco uno stato d’animo....

Il Fatto: Antonio Di Pietro non scherza nemmeno un po’, è serissimo. Le inchieste degli ultimi giorni, le polemiche sulla sua scelta di appoggiare Vincenzo De Luca in Campania. Il dibattito di queste ore, gli editoriali di Travaglio, l’appello di Salvatore Borsellino affinché cambi idea.
Tutto questo cosa le fa pensare?

Antonio Di Pietro: Nei giorni del congresso avevo detto che non ci dormivo sopra la notte.

Il Fatto: E adesso?
Antonio Di Pietro: Ora ci passo anche tutto il giorno. Passo il 90 per cento del mio tempo a discutere di questo, è diventata la scelta più drammatica della mia vita.

Il Fatto: Allora più che un notaio le serve un prete.
Antonio Di Pietro: Lei lo sa, io sono credente. Vorrei davvero che il buon Dio mi illuminasse.

Il Fatto: Teme di aver peccato di presunzione?
Antonio Di Pietro: Casomai di umiltà. Perché vede: il Pd candidava De Luca, io dicevo no, e facevo il pieno dei voti.

Il Fatto: Sapeva di rischiare così tanti consensi?
Antonio Di Pietro: Certo. Vede, persino io soffro. Quando leggo gli appunti di Travaglio, le critiche di Borsellino, i malumori di Sonia Alfano, i però di De Magistris, le mail che mi arrivano...

Il Fatto: Lei si arrabbia.
Antonio Di Pietro: Al contrario. Sento di essere dalla loro parte, di avere i loro stessi istinti di base.

Il Fatto: La tentazione di tornare indietro.
Antonio Di Pietro: Faccio saltare il tavolo, mi rifugio nella mia purezza. Però poi mi guardo allo specchio e capisco che sono combattuto. Allora mi è venuta un’idea.

Il Fatto: Quale?
Antonio Di Pietro: Mi confesso con lei. Poi metto quello che esce fuori su una pagina di Facebook. Poi chiedo alla gente di leggere, di dormirci su, e poi di scrivermi.

Il Fatto: Proviamo a convincerli.
Antonio Di Pietro: Dovrebbe bastare la lettura di un giornale di oggi. Ai tempi di Mani Pulite c’era già il senso di impunità del potere.

Il Fatto: Oggi di più?
Antonio Di Pietro: Allora una sentenza era una macchia. Adesso tre anni di condanna fanno un bel curriculum.

Il Fatto: Provi a dirmi una ragione per cui votare Idv in Campania produce dei risultati.
Antonio Di Pietro: Allora: De Luca ha promesso pubblicamente che se viene condannato si dimette. Se uno vota noi sa che in questo caso, se lui non lo fa, gli togliamo la fiducia.

Il Fatto: E quindi?
Antonio Di Pietro: E quindi votando noi sa che conta e decide.

Il Fatto: Ma intanto lei chiede il voto per De Luca.
Antonio Di Pietro: Le do una notizia. De Luca ha accettato di rinunciare alla prescrizione, a cui pure aveva diritto, per il processo sullo stoccaggio dei rifiuti.

Il Fatto: Lei non ce l’ha con lui?
Antonio Di Pietro: Ce l’ho con il Pd, che non è riuscito a capire che serviva la discontinuità. Però, in questa condizione, andare da solo avrebbe pagato elettoralmente, ma avrebbe prodotto un disastro per la Campania.

Il Fatto: La vittoria di Caldoro?
Antonio Di Pietro: Ma Caldoro non è nulla! Qui c’è un rischio che nessuno ha capito. Per la prima volta, dalle giunte rosse del 1975 a oggi si sta correndo un rischio enorme.

Il Fatto: Che vinca il centrodestra?
Antonio Di Pietro: Peggio. Che un’unica maggioranza possa avere in mano sia il governo del paese sia quello degli enti locali.

Il Fatto: Cosa c’è di nuovo rispetto a prima?
Antonio Di Pietro: Che stavolta è a rischio più di prima la tenuta della democrazia. Gli scandali di questi giorni, a destra e a sinistra, ci dicono che il sistema è in briciole. Il berlusconismo sta provando a far saltare definitivamente il primo fondamento di uno Stato democratico. La separatezza dei poteri.

Il Fatto: Non è una novità.
Antonio Di Pietro: Sì, ma è la prima volta che si sente tornare il senso di arroganza di Tangentopoli, la prima volta che qualcuno crede possibile che il controllore e il controllato coincidano , e che si riscrivano tutte le leggi, dall’impunità agli appalti.

Il Fatto: Lo scandalo della Protezione civile fa emergere un sottobosco inquietante e trasversale.
Antonio Di Pietro: E’ il basso impero. Ma allora come posso spiegare alle gente che se noi andiamo contro De Luca, da soli, tendendoci la nostra purezza, facciamo arrivare il clan dei Casa-lesi a spartirsi gli appalti della Campania?

Il Fatto: Mi dica una cosa che comunque cambia se lei riesce a far vincere De Luca.
Antonio Di Pietro: Che il sistema Bassolino finisce il giorno dopo le elezioni. E non è poco.

Il Fatto: Non siete riusciti a costruire un candidato alternativo.
Antonio Di Pietro: Non si è fatto avanti nessuno.

Il Fatto: Quanto si arrabbia quando legge le critiche di De Magistris che lei avrebbe voluto candidare?
Antonio Di Pietro: Nemmeno un po’. E non mi arrabbio per Marco Travaglio, per la Alfano,per Borsellino. Potrei rompere tutte le alleanze che il Pd ha costruito senza criterio con l’Udc. Ma poi che faccio? Ci chiudiamo nella torre d’avorio a ripeterci quanto siamo bravi e intanto arrivano Berlusconi e quelli che ridono dei terremoti a spartirsi la torta?

Il Fatto: Vi siete opposti abbastanza?
Antonio Di Pietro: Abbiamo fatto la mozione di sfiducia a Bertolaso! Abbiamo bloccato in Parlamento la Protezione civile Spa che era, come tutte le altre, una società per azioni a fine di produzione e distribuzione tangenti!

Il Fatto: Lei usa paroline morbide...
Antonio Di Pietro: Fanno gli affari privati con i soldi pubblici. E intanto svendono l’acqua, i servizi, l’energia. Tutto. Ma questa società che protesta, l’ha capito che quello che è in gioco è tutto questo o no?

Il Fatto: Come si chiude la sua confessione-appello su Facebook?
Antonio Di Pietro: Nel 1945 i partigiani si erano messi con i monarchici per cacciare i nazisti. I liberali con i comunisti, gli azionisti con i democristiani. E insieme hanno scritto le regole di una nuova democrazia con la Costituzione.

Il Fatto: Pensa che così si convinceranno gli arrabbiati?
Antonio Di Pietro: Gli arrabbiati, se votano diventano determinanti. Se non votano restano velleitari. Io indico un’altra strada, quella dell’alternativa di governo.