domenica 13 giugno 2010

Dal Piano di Rinascita della P2 di Gelli alla legge bavaglio del CaiNano

Dal Fatto di oggi.

La sindrome di Salieri

di Marco Travaglio

Se è vero che, come dice il Vangelo, “dai frutti conoscerete l’albero”, c’è una normetta nella legge-bavaglio che descrive meglio di qualunque altra l’albero al quale (ci) siamo impiccati da 16 anni. E’ l’articolo 6-ter: “Sono vietate la pubblicazione e la diffusione dei nomi e delle immagini dei magistrati relativamente ai procedimenti e processi penali loro affidati…”. E’ copiato pari pari dal Piano di Rinascita Democratica della loggia P2, scritto da Licio Gelli e dai suoi consulenti a metà degli anni 70 e rinvenuto nel 1982 nel doppiofondo della valigetta della figlia del Venerabile: “Ordinamento giudiziario: le modifiche più urgenti investono: (…) il divieto di nomina sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari…”. Ora, è fin troppo facile capire perchè questa gentaglia non gradisce che si conoscano atti giudiziari e intercettazioni. Ma che fastidio possono dare il volto o il nome del tale o del talaltro magistrato? Domanda ingenua: oltre che mascalzoni, questi qua sono anche inguaribilmente mediocri. Sanno di non avere una reputazione, una credibilità, una rispettabilità. La loro faccia ha lo stesso prestigio del loro culo. Nessuno crede alla loro parola, continuamente smentita, rettificata, rimangiata, tradita. Possono sopravvivere soltanto se, intorno a loro, sono tutti come o peggio di loro.
Se emergono figure autorevoli e popolari, esse diventano immediatamente una minaccia per l’intera banda. Perché poi, quando parlano, la gente dà loro retta. E, se criticano la banda, questa ne esce inevitabilmente con le ossa rotte. Nonostante le minacce, le aggressioni, le calunnie e i cedimenti interni, la magistratura conserva ancora un consenso intorno al 50 per cento, mentre quella della classe politica langue nei pressi del 10. Se un magistrato o un ex, meglio ancora se carico di onori per la lotta al terrorismo e/o alla mafia e/o alla corruzione, tipo Caselli, Colombo, Borrelli, Greco, Davigo, Scarpinato, Ingroia, Spataro, Maddalena, Almerighi, dice che una legge è una porcheria e ne spiega le conseguenze nefaste per la sicurezza dei cittadini, questi credono a lui e non agli Al Fano, Ghedini, Cicchitto, Gasparri, gente che basta guardarla in faccia per farsi una risata. Vent’anni fa, quando parlavano Falcone e Borsellino, c’era poco da discutere: non perché fossero infallibili, ma perché si erano conquistati il prestigio sul campo. Tra un Falcone e un Carnevale, la gente non aveva dubbi: l’uno era famoso per aver arrestato il Gotha di Cosa Nostra, l’altro per aver annullato centinaia di condanne di mafiosi. I giudici piduisti, quelli dei porti delle nebbie, invece, erano maestri dell’insabbiamento, e campavano sereni proprio grazie al silenzio complice della stampa di regime. Quando i loro nomi finirono sui giornali, dovettero battere in ritirata. Per questo Gelli, che vedeva lungo, voleva cancellare i nomi degli uni e degli altri dai giornali. Per questo il suo degno allievo, che ha superato il maestro (venerabile), ne vuole cancellare oggi i nomi e i volti: perché confondere tutti i giudici, quelli che indagano e quelli che insabbiano, in un unicum grigio e indistinto. E’ la stessa logica che sta dietro la delegittimazione di giornalisti liberi e popolari come Montanelli e Biagi (“convertiti al comunismo”), di scrittori disorganici e amatissimi come Saviano e Camilleri (“fanno i martiri per i soldi”), di attori e registi anti-regime (“fannulloni pagati dallo Stato”) e dei volti più noti della tv (Santoro, Dandini, Fazio, da sputtanare con i loro compensi nei titoli di coda). Il potere dei mediocri è sull’orlo di una crisi di nervi e in piena sindrome di Salieri (si fa per dire, quello era un fior di musicista) dinanzi ai Mozart della magistratura, del cinema, dell’arte, della letteratura, del giornalismo. Li avverte come una minaccia, perché sa che, quando il Menzognini di turno non riesce a coprirne la voce, la gente li ascolta. In fondo, è un buon segno: questa gentaglia è alla canna del gas.

venerdì 11 giugno 2010

Noi pubblichiamo le intercettazioni

Questo Blog è residente all'estero, il blogger (il sottoscritto) è residente all'estero, quindi QUI possiamo pubblicare le intercettazioni. Il nuovo sito del Fatto darà indicazioni su quali siti esteri trovare le informazioni, che potranno essere pubblicate per diritto di informazione. Alla faccia di Berluscaz!

Dal Fatto.

LE MAGLIE DELLA RETE

Le intercettazioni vietate in Italia potranno essere pubblicate all’estero e riprese da noi

di Federico Mello

Approvata la legge sulle intercettazioni, parlamentari e uomini di governo adesso possono iscriversi a un bel corso di informatica. Sarà in Rete che troveranno spazio notizie e documenti vietati dal bavaglio italiano. Silvio Berlusconi, che voleva una norma ancora più dura, “non sa navigare sul Web” – come ha confessato il fido Mario Valducci – e non ha messo in conto che nell’epoca della comunicazione digitale, è impossibile imprigionare informazioni dentro confini geografici. Come potrà la Rete venire in aiuto a organi di stampa e blog che vogliono informare? Tutto è affidato a siti internazionali che potranno pubblicare intercettazioni e atti d’indagine. Gli organi
d’informazione e i blog italiani potranno linkare documenti e, avvalendosi del diritto di cronaca, dare le notizie. Aprire un sito. Aprire un sito Internet è un’operazione ormai alla portata di tutti. È sufficiente acquistare o affittare spazio su un server e installare un apposito software per la pubblicazione di pagine Web. In Italia si può naturalmente scegliere anche un server straniero: dall’India alla California sono migliaia le aziende che con un centinaio di euro all’anno offrono assistenza h24 e spazio illimitato. Siti Web all’estero. Non è sufficiente che il server di un sito sia all’estero per non dover sottostare alla legislazione italiana. Come indicato dalla direttiva europea sul Commercio elettronico, fa fede invece la residenza dell’editore (o del singolo) a cui è intestato lo spazio sul server e il nome di dominio (ovvero l’indirizzo Web). Intercettazioni all’estero. L’editore di un sito (cittadino o società) di uno Stato estero che ha i server ubicati fuori dall’Italia, non deve sottostare alla legge sulle intercettazioni. Singoli blogger, testate online, portali Web di quotidiani non italiani, potranno tranquillamente pubblicare intercettazioni e atti di inchieste italiane. Cosa riportare. Cosa possono riportare le testate italiane di un’intercettazione vietata in Italia e pubblicata da un sito Web all’estero? Se per esempio, il blocco delle intercettazioni fosse già in vigore, i giornali cosa avrebbero potuto raccontare degli imprenditori della Cricca che ridevano la notte del terremoto? “Se fosse apparsa su siti esteri, i giornali italiani avrebbero potuto dare la notizia – ci dice Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale – La stampa ha il diritto di informare, una norma che vietasse di dare la notizia, sarebbe incostituzionale”. Per fare un altro esempio, ipotizzando un nuovo caso Scajola, con intercettazioni pubblicate all’estero si potrebbe scrivere: “Il tale portale di news, riporta che secondo un’intercettazione telefonica la casa del tale uomo politico sarebbe stata pagata da terzi”. Come collegarsi dall’Italia. Nel mare magno della Rete potrebbero proliferare in maniera esponenziale atti e intercettazioni italiane pubblicati all’estero. Per districarsi in questa selva oscura bisogna affidarsi all’attendibilità di testate giornalistiche o blog, che potranno linkare pagine Web dove sono pubblicati documenti che interessano ai propri lettori. Un link, infatti, non è una “pubblicazione” ma una “segnalazione telematica” non vietata dalla legge appena approvata. Bloccare un sito dall’Italia. Attualmente la magistratura può imporre ai fornitori di servizi in Italia (quelli che ci portano la connessione a casa) di inibire l’accesso a siti specifici. Ma, come spiega l’avvocato Guido Scorza, esperto di legislazione digitale “si possono rendere non reperibili singoli siti Web solo per reati di pedopornografia e di giochi d'azzardo”. La pratica di oscuramento, inoltre, agisce su interi domini: se la magistratura decidesse di bloccare, per esempio, una singola pagina del Paìs, dovrebbe inibire dall’Italia l’accesso all’intero portale del quotidiano spagnolo. Anche Wikileaks. C’è infine il caso di siti Web che si sono dati come missione la pubblicazione di documenti considerati top-secret e la strenua difesa delle loro fonti. È il caso di Wikileaks (definita “la Cia del Popolo”) che lo scorso aprile pubblicò il video di un attacco americano contro civili a Baghdad: morirono in 12 e le immagini del massacro fecero il giro del mondo. Raggiunto dal Fatto Quotidiano il fondatore Julian Assangepromette:“Nelcasolalegge sulle intercettazioni venisse approvata definitivamente, possiamo aiutare l’informazione italiana pubblicandole anche noi”. Come lui, anche Francois Julliard, segretario di Reporter sans Frontières, ha dato la disponibilità a ospitare documenti italiani.

Soldi e impunità

Dal Fatto.

Non si faranno processi e non si pubblicherà più nulla

Ecco cosa stabilisce davvero la “dura” legge dei furbastri

di Bruno Tinti

Cosa è più importante: controllare il rubinetto o il lavandino? Se controllo il lavandino posso dire a chi lo usa che non deve riempirlo oltre una certa misura; e lui forse mi obbedirà e forse no; e, se non mi obbedisce, io dovrò magari denunciarlo e fargli fare un processo. Allora tutti gli utilizzatori dei lavandini si coalizzeranno contro di me e io farò una figuraccia. E poi magari lo assolvono pure perché riempire i lavandini è un diritto costituzionale. Ma, se controllo il rubinetto, non ho bisogno di ordinare niente a nessuno: lo chiudo e l’acqua non arriva più. E del lavandino facciano quello che vogliono. Ecco, questo è quello che sta facendo questo legislatore furbastro. Il mondo dell’informazione si è ribellato? Faccia-mogli credere che ci hanno toccato il cuore. Ma sì, figlioli, pubblicate pure, con un po’ di cautela, “per riassunto”, ma sia mai che la libertà di stampa sia conculcata. E se eccedete non vi preoccupate, multe piccoline (non poi tanto) e prigione finta, qualche giorno con la condizionale o agli arresti domiciliari o l’affidamento in prova al servizio sociale. Fare gli eroi vi costerà poco. E anche
a noi soci della premiata Cricca costerà poco; tanto, che pubblicano? Siamo in una botte di ferro: senza intercettazioni i magistrati si attaccano, non ci scopriranno mai; e se non ci scoprono non fanno i processi; e se non fanno i processi non c’è niente da pubblicare. Soldi e impunità, impunità e soldi, questo è il nostro radioso futuro. Credete che sia una diagnosi sbagliata, magari eccessivamente pessimista? State a vedere. 1) Si può intercettare solo per 75 giorni; poi si smette. Però magari gli intercettati parlano di questa o quella operazione, di questa o quella banca dove far arrivare i soldi, di questo o quell’appalto su cui ci si deve mettere d’accordo: discorsi promettenti ma ancora vaghi. Allora si può continuare; ma solo per tre giorni, previa autorizzazione di tre giudici del Tribunale del capoluogo di Provincia a cui bisogna mandare tutto il fascicolo e la richiesta di prorogare l’intercettazione. Mettiamo che i giudici autorizzino e l’intercettazione continui; dopo tre giorni ci risiamo, i soldi sono arrivati ma se ne debbono mandare un po’ anche a un altro amico, l’appalto s’è bloccato, si deve sentire cosa ne pensa l’assessore, quello che tu sai... Che si fa? Niente paura, l’intercettazione continua; per altri tre giorni; previo, si capisce, invio del fascicolo ai tre giudici del Tribunale capoluogo di Provincia (che magari non sono più quelli di prima e debbono ristudiarsi tutto daccapo). E via così magari per un anno o due. Non c’è che dire, una cosa agile ed efficiente. 2) Non si può intercettare se il motivo per intercettare è costituito solo dal contenuto di un’altra intercettazione. Cioè esattamente quello che capita nel 99 per cento dei casi. I nostri intercettati chiacchierano e fanno riferimento a “lui”, a quello che deve dare il via. Ne fanno anche il nome e il cognome. In un paese normale si corre a intercettare “lui”; e, poco dopo, li si arresta tutti perché “lui” ha chiacchierato per bene al telefono. Ma il nostro non è un paese normale, è il paese di B&C; qui serve garantirsi l’impunità. E così il telefono di “lui” non si intercetta. “Lui” spiegherà ai suoi servi, sgherri, sicari, associati (fate voi) quello che vuole che facciano, dalla corruzione al falso in bilancio, passando per la frode fiscale e il contrabbando; loro eseguiranno e i magistrati non ne sapranno mai nulla. 3) Nel caso di reati commessi da ignoti non si può intercettare senza consenso della parte offesa. Che non c’è mai in tutti i casi di estorsione perché gli estorti hanno paura. Per anni i sequestri di persona non sono stati denunciati dai parenti che avevano paura che i sequestratori facessero del male all’ostaggio; e per anni i riscatti sono stati pagati all’insaputa di forze dell’ordine e magistratura, nella speranza di veder tornare il loro caro. Che invece restava in prigionia finanziata proprio con questi soldi. Nelle regioni a controllo mafioso del territorio (lo sanno B&C che sono almeno quattro?) l’economia sarà progressivamente strangolata da un’estorsione sempre più organizzata e aggressiva. Ma non è vero!, dicono indignati (per finta) questi ipocriti: per mafia e terrorismo si intercetta senza dire niente a nessuno, senza limiti di tempo e senza autorizzazioni della parte offesa! E già, perché lo sanno tutti che un omicidio, un incendio, un pestaggio sono sempre e solo reati di mafia: hanno l’etichetta appiccicata sul colletto delle vittime: made in Mafia. Capisco che cultura giuridica ed esperienza giudiziaria in questa gente latitano. Ma un po’ di cinefilia? Qualcuno si ricorda Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto? Tutti convinti che si tratta di mafia o politica; invece si tratta di assassinio passionale. Può capitare il contrario, anzi in genere è proprio così che vanno le cose: chi ci dice che il nostro morto ammazzato non lo hanno fatto fuori moglie e amante? Come si motiva al gip la asserita certezza che si tratta di assassinio di mafia e che servono le intercettazioni no limits? 4) Come ho detto, furbastri sono. Così, finito con i paletti giuridici, siccome non si sa mai cosa ti combinano questi pm comunisti, hanno previsto gli ostacoli pratici. Vuoi intercettare? Allora prendi i tuoi 23 faldoni, caricali sulla macchina (che la Procura non ha oppure è rotta oppure non c’è la benzina) e portali al Tribunale del capoluogo del distretto (per dire, da Aosta a Torino). Lì, consegna tutto a un cancelliere (che non c’è perché il personale amministrativo è inferiore del 40% rispetto a quello che servirebbe) che deve annotare su apposito registro la consegna. Poi aspetta che 3 giudici (che non ci sono perché sono tutti impegnati a fare processi che si prescriveranno tra un anno e bisogna spicciarsi se no fanno la fine dei processi di B, “assolto” perché colpevole prescritto) decidano che sì, si può intercettare; a questo punto corri a riprenderti i tuoi faldoni e attacca i telefoni. Per 15 giorni, attenzione, perché poi devi chiedere le proroghe (ogni 3 giorni!) e tutto il va e vieni dei faldoni ricomincia daccapo. Se manca la benzina, la macchina o il cancelliere, sei fregato. Dura lex sed lex. Ma l’ha fatta Alfano! Sempre lex è.

Legge Bavaglio

Dal Fatto di oggi.

Hanno la faccia come il Foglio

di Marco Travaglio

Finalmente il bavaglio è passato al Senato. Ora si spera che passi alla svelta pure alla Camera e diventi legge, così vedremo se abbiamo ancora un capo dello Stato (che in teoria non dovrebbe firmare), una Corte costituzionale (che in teoria dovrebbe bocciare), una Costituzione (che in teoria tutelerebbe la libertà d’informazione e la legalità) e una libera stampa (che in teoria dovrebbe far disobbedienza civile). Finalmente tutte le carte sono in tavola. Si vede quant’è rocciosa l’opposizione del Pd, che dopo aver minacciato per giorni l’occupazione dell’aula (“Se non fate i bravi, occupiamo”), non solo non l’ha occupata, ma l’ha addirittura disertata al momento del voto. Forse per evitare di sentirsi ricordare che il bavaglio su intercettazioni e atti d’indagine faceva parte del suo programma elettorale del 2008. Si vede quant’è tetragona la fronda dei finiani, rimessi a cuccia con un piatto di lenticchie. E si vedranno le conseguenze di una legge che, a parole, poteva essere spacciata per il suo contrario: quando si passerà ai fatti, si capirà perché è stata voluta. Con un po’ d’informazione e un po’ di coraggio dei magistrati e delle forze dell’ordine, la suprema porcata potrebbe addirittura diventare la tomba della banda che qualcuno ancora chiama governo.
Esattamente come l’indulto del 2006 divenne la tomba dell’Unione: ogni giorno saltava su un magistrato o un poliziotto a raccontare che il tizio arrestato per omicidio, o stupro, o rapina era appena uscito grazie all’indulto, così la gente capiva i danni del “liberi tutti” e la maggioranza che l’aveva votata (assieme a B. e a Piercasinando, ci mancherebbe) ne pagava le conseguenze. Ora, ogni qualvolta un pm dovrà astenersi dal processo per aver detto due parole sull’inchiesta, ogni qualvolta si dovranno interrompere gli ascolti perché il termine massimo di 75 giorni (con proroghe di due alla volta), ogni qualvolta un delitto resterà impunito perché si possono piazzare cimici solo dove si sta commettendo (non più dove si sta progettando o commentando) il reato, magistrati e poliziotti potranno spiegare ai cittadini che il colpevole la farà franca non per colpa loro, ma a norma di legge bavaglio. Così chi ha votato per la banda in nome della “sicurezza” e della “tolleranza zero” avrà di che picchiare la testa contro il muro e dirne quattro ai suoi parlamentari preferiti. Basterà leggere le cronache dall’estero per capire che, contrariamente alla propaganda di regime, negli altri paesi si intercetta molto più. Se in Italia, negli ultimi due anni, le intercettazioni sono diminuite, negli Stati Uniti – lo racconta Repubblica – “le intercettazioni telefoniche nelle indagini sono in pieno boom. In 12 mesi sono aumentate del 26%. Escludendo quelle dell’antiterrorismo e per la sicurezza nazionale (che hanno una ‘corsia segreta’ nella National Security Agency), i magistrati Usa l’anno scorso hanno autorizzato intercettazioni per 2.376 inchieste su 268.488 persone”, venti volte quelle intercettate in Italia. Naturalmente, quando le indagini toccano personaggi o vicende di interesse pubblico, i giornali scrivono tutto, com’è appena avvenuto per l’inchiesta sulle truffe di Goldman Sachs e come accadde due anni fa con l’arresto per corruzione del governatore dell’Illinois Rod Blagojevic, fedelissimo a Obama. Arrampicandosi sugli specchi, Il Foglio tenta di sostenere che “sono i fatti che hanno portato alla caduta di Blagojevic, non la loro rappresentazione in intercettazioni”. Già, ma se i giornali non le avessero pubblicate (dopo che il procuratore aveva tenuto una conferenza stampa e distribuito gli atti ai giornalisti), chi li avrebbe conosciuti, i fatti? Per questo da noi si fa la legge bavaglio: i giornalisti potranno riassumere soltanto le ordinanze di arresto ma senza alcun riferimento alle intercettazioni, così i giornalisti non avranno più nulla da riassumere e i cittadini non capiranno più niente. Quando Blagojevic ha detto “ho sbagliato, mi scuso”, voleva dire: ho sbagliato paese.

mercoledì 2 giugno 2010

Il Fatto si occupa del Quirinale? Il Quirinale si occupa del Fatto.

Anche il Quirinale si è abbassato alle beghe di infimo livello. Non cè una istituzione in Italia che sia al di sopra delle parti. Il problema è che le parti stanno molto, ma molto, ma molto in basso!

Dal Fatto.

Alla festa del Quirinale il Fatto non è gradito

di Luca Telese

“Il giallo del ricevimento al Quirinale” inizia di prima mattina. Non è il titolo del libro di qualcuno dei tanti “Anonimi” che hanno scalato le classifiche della prima repubblica. Ma il dubbio che prende corpo nella redazione de Il Fatto, quando si scopre che questo nostro piccolo giornale è l’unico quotidiano che non vede il suo direttore fra gli invitati del tradizionale ricevimento del 2 giugno. Che si tratti di una svista? Di un errore? Di una dimenticanza? Oppure di una reazione (legittima, per carità) alle critiche che in diversi momenti Il Fatto e alcuni suoi editorialisti hanno rivolto al presidente della Repubblica? Trattandosi di una delle istituzioni più efficienti della Repubblica, le ipotesi di errore accidentale vengono depennate di prima mattina. Quella di una “rappresaglia”, però, ci sembra ugualmente inverosimile.
Regalo di NataleIl ricordo corre alla cerimonia di augurio di fine anno, sempre al Quirinale. Antonio Padellaro, in quell’occasione, ricette un invito con stemma presidenziale spolverato d’oro zecchino, un cartoncino per eventuale accompagnatore, e persino un ambito ticket per parcheggiare su piazza del Quirinale. La domanda sorge spontanea: il nostro piccolo quotidiano è stato forse declassato? E se si per quale motivo? Chi scrive viene incaricato di chiamare il portavoce del presidente, Pasquale Cascella, vecchia conoscenza di una corposa pattuglia di questo quotidiano (e del suo direttore) per i comuni trascorsi a L’Unità. In ufficio mi risponde, cortesissima, la sua segretaria: “Il dottor Cascella è già nei giardini, sa, c’è la cerimonia...”. Errore materiale, o un depennamento intenzionale dalla lista degli inviti? La segretaria del portavoce, con grande cortesia, mi rimanda al collaboratore del portavoce. Lo chiamiamo. Stessa domanda, stessa risposta. Anche lui è molto cortese, ringraziamo per la gentilezza e la disponibilità, ma spieghiamo: vorremo capire se l’invito per il direttore del giornale è stato smarrito. “Sinceramente non so posso dire - risponde - una parte degli inviti sono gestiti direttamente dal Cerimoniale del Quirinale. La richiamo entro le 16 e 30”. Nessuna telefonata. Alle 17.30 il cronista si presenta al Colle dove trova un accredito stampa. Ma ovviamente il dubbio resta, anche perché, pochi minuti dopo, Dagospia batte in tempo reale uno dei suoi dispacci: “Tutti (o quasi) i direttori di quotidiani nazionali sono stati oggi gentilmente pregati di festeggiare la festa della Repubblica deambulando lungo i giardini del Quirinale. Tutti - scrive Dagospia - eccetto il direttore de "Il Fatto", Antonio Padellaro. Domani ne leggeremo della belle”. Negli splendidi giardini, fra una chiacchiera e l’altra, andiamo a caccia degli uomini dell’ufficio stampa. Davanti al tavolo degli affettati appare il vice. Gli chiediamo se è riuscito a sciogliere l’enigma. Risponde imbarazzato: “No, non ho avuto modo.... Ma lo scopriremo”. Poco dopo le sei, in redazione chiama il direttore di Medusa, Carlo Rossella. Anche lui, dopo tanti anni di Colle, quest’anno è stato depennato. Trattandosi di uno degli uomini più vicini a Berlusconi la cosa ci conforta: quindi non può essere stata una esclusione politica. Pochi istanti dopo, dietro la sagoma discreta dello stilista Renato Balestra, uno degli invitati d’onore, ecco un altro esponente dello staff presidenziale . Forse sa qualcosa? Risponde con imbarazzo: “Sa, quest’anno ci sono stati molti tagli”. Non solo alla finanziaria, dunque, ma anche agli inviti. Il cronista sta per tornare in redazione con il cuore rinfrancato, quando scorge il portavoce del Colle. Colpo di scena. Cascella si libera di un interlocutore, e improvvisamente offre la soluzione: “Volete sapere perché Padellaro non è nella lista?”. Sembra emozionato, quasi turbato: “Io l’ho depennato! Sono stato io, diglielo pure”. Attimi di stupore. E’ un fiume in piena: “In tanti anni di lavoro non mi era mai capitato di essere pubblicamente insultato, con un editoriale contro di me, sulla prima pagina di un quotidiano! Solo Padellaro lo ha fatto”. Di quale editoriale si parla? L’insulto era tale da comportare depennamento. Ancora Cascella: “Padellaro scrive non vuole avere rapporti con il Quirinale? Bene, è stato accontentato”. Sembra dispiaciuto: “Sono stato offeso due volte: come persona e come professionista. E’ incredibile. Nemmeno i giornali della destra l’hanno mai fatto”. Recuperiamo il fondo incriminato:” Avevamo scritto - osservava Padellaro il 25 marzo - che Napolitano sarebbe sicuramente intervenuto a difesa del potere giudiziario... Pensavamo di avere bene interpretato, oltre l’opinione dei nostri lettori, gli intendimenti del capo dello Stato. Purtroppo non era così. Un’aspra reprimenda di un autorevole consigliere del Quirinale ci è piovuta addosso. Non è piaciuto il titolo ‘Napolitano dice’ e neppure l’appello, pur rispettosamente rivolto”. Non sembravano parole offensive. Anzi, la conoscenza e la stima che a Il Fatto si nutre per Cascella è tale, da convincerci che non sia lui, il colpevole, malgrado la confessione spontanea. Leale e fedele, Cascella ha impugnato la pistola fumante, addossandosi la colpa, per proteggere le più alte istituzioni.

Ma Violante con chi sta?

Dal Fatto con furore.

Violante 1 a Violante -1

di Marco Travaglio

Ha scelto Il Foglio, Luciano Violante, per dire “basta malizie sull’origine di Forza Italia”. Anche nel 1997 aveva scelto Il Foglio per invitare la Camera all’“estrema prudenza” nel votare sull’arresto di Previti (infatti la Camera votò contro) e per promettere l’amnistia a Berlusconi se avesse condotto in porto la Bicamerale D’Alema. Il perché è presto spiegato: Il Foglio gli elettori del Pd non lo leggono, anzi non lo legge nessuno, a parte Ferrara che poi lo racconta al Capo. Sostiene dunque sul Foglio, cioè clandestinamente, il responsabile Riforme Istituzionali del Pd che tutti i riferimenti all’“entità” (cioè a Forza Italia) fatti dal procuratore Grasso, da Ciampi e da Veltroni a proposito delle stragi del 1993 sono frottole. Occorre “capire senza rimestare”, “mettere ordine”, lavorare di “cronologia”, fare una bella “ricognizione complessiva delle inchieste e dei processi” (ci sarebbero anche delle sentenze che parlano delle stragi e di B. e Dell’Utri, ma lui non le ha lette: si confida in una rapida ricognizione) in quell’ente inutile che è la commissione Antimafia. Una domanda su tutte lo angustia: “Quel che accadde nel ’92 ha rapporti con quel che accadde nel ’93?”.
Spatuzza, che fece le stragi di via D’Amelio (’92) e di Firenze, Milano e Roma (’93) giura di sì, e così un’altra trentina di mafiosi pentiti e un battaglione di pm e di giudici, ma Violante è rimasto indietro. Del resto la sua prontezza di riflessi è proverbiale: l’estate scorsa Violante rammentò improvvisamente, 17 anni dopo, che nel ’92 il generale Mori tentò in tutti i modi di fargli incontrare Vito Ciancimino in piena trattativa. E, guardacaso, lo rammentò subito dopo che lo raccontò Massimo Ciancimino. Lui comunque non ha dubbi (salvo ripensamenti fra qualche secolo): nel ‘94 “Forza Italia vince al Nord in base a un accordo con la Lega e al Sud grazie a un’alleanza con l’Msi… Penso che nel ’93 fosse impossibile prevedere che l’approdo sarebbe stato quello che è stato”. Il fatto che Forza Italia l’abbia ideata Dell’Utri, in embrione, nell’estate ’92 e il progetto sia partito nell’aprile-maggio ’93 è solo un dettaglio. Per Violante, esperto in cronologie (ne tiene ben “tre pagine sulla scrivania”, informa Il Foglio), risale tutto al ’94. Una tesi che nemmeno Dell’Utri e Berlusconi han mai osato sostenere. Ecco: quelli sono lì che balbettano frasette di circostanza e si domandano che diavolo dire sulle origini di Forza Italia: sarà nata sotto un cavolo? L’avrà portata la cicogna? Mamma e papà si son voluti tanto bene e così è nato il partito? Poi arriva Violante e glielo spiega: il ’92 non c’entra col ’93 e il ’92 e il ’93 non c’entrano col ’94. È pura logica cronologica. A questo punto la domanda delle cento pistole: “Che fine han fatto le inchieste su questa serie di fatti?”. Forse non sa che Dell’Utri è stato condannato a 9 anni in primo grado per mafia nella sua veste di “cerniera” fra Cosa Nostra e la Fininvest prima delle stragi, Forza Italia dopo le stragi. Qualcuno, per favore, lo avverta. Poi magari Violante ci spiegherà se per caso è parente oppure omonimo del presidente dell’Antimafia che il 23 marzo ’94 tuonava in un comizio a Palermo: “Il nucleo di interessi che si aggruma intorno a Forza Italia è in profonda continuità col sistema di potere che ha causato tanti lutti e danni all’Italia… Forza Italia è un manipolo di piduisti e del peggio del vecchio regime. Berlusconi, con la chiamata alle armi contro il comunismo, ripete la parola d’ordine del fascismo e del nazismo quando morivano nei lager i comunisti, i socialisti e gli ebrei. E con questa parola d’ordine la mafia uccideva i sindacalisti. È una chiamata alla mafia, quella che fa Berlusconi”. E nel 2002 sosteneva che “le proposte di Berlusconi rispondono alle richieste dei grandi mafiosi”. E nel 2004 parlava di “interessi penali e criminali” del centrodestra. E nel 2006 denunciava “un giro di mafia intorno a Berlusconi”. O forse è un caso patologico, non di sdoppiamento, ma di annullamento della personalità. Da Violante 1 a Violante -1.