lunedì 30 maggio 2011
sabato 9 aprile 2011
Bellezza e Libertà
Dalla rubrica Saturno de Il Fatto Quotidiano una parte dello scritto inedito del Nobel Liu Xiaobo
“Bellezza e Libertà”
L’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene. Questa celebre frase di Rousseau ci ricorda che difficilmente l’umanità si può liberare dal suo tragico destino.
Non bisogna credere che io inizi con questa frase tanto per sorprendere. Chiunque desideri realmente ripensare sé stesso, può credere che queste parole indicano soltanto una semplice verità. Tuttavia la paura istintiva dell’uomo la copre, strato dopo strato. Non importa che l’umanità, con chissà quanta intelligenza e abilità, nasconda questa semplice verità. Verrà un momento critico in cui l’intelligenza di qualcuno la svelerà, facendo così sospirare gli studiosi pavidi.
Il sistema delle regole oggettive non prende mai in considerazione i desideri soggettivi. L’umanità non ha altra scelta che assecondare questi desideri o reprimerli, a prescindere da quanto essi siano virtuosi. Le regole della fisica hanno da sempre permesso […] che la vita si risolva in un meccanismo soggetto alle inevitabili regole del determinismo della materia inorganica, come una particella del cosmo infinito.
Ma in tutto ciò: l’individuo? L’uomo ha l’intelletto, per questo si crede superiore agli animali e ritiene di poter dominare su tutte le cose del mondo. Attraverso il noumeno della metafisica e il dio della religione trascende le consuetudini secolari. Ma le infinite regole, leggi, norme, dogmi e teoremi stabiliti dalla ragione, costringono in maniera evidente l’esistenza a un appiattimento dottrinale, facendo sì che l’uomo sia così limitato dalle sue stesse creazioni da non riuscire nemmeno a muovere un passo. [...]
L’uomo ha creato una società nella quale solo combattendo la natura con tutte le proprie forze ottiene un certo grado di libertà ma, allo stesso tempo, egli è intrappolato da una rete tessuta da privilegi, leggi e morale – tanto da non riuscire più a liberarsi. I privilegi fanno sì che l’uomo sia passivo e servile; le leggi impediscono all’uomo di agire liberamente; la morale assegna all’uomo norme e regole di vita a cui tutti devono aderire. [...]
La dialettica inconciliabile tra l’illimitatezza di ogni tipo di speranza e la finitezza propria dell’esistenza, determina infine che l’uomo si trovi spesso in un’eterna delusione, scissione, lotta interiore e, allo stesso tempo, in un’eterna speranza, aspirazione e ricerca. Proprio in questa continua alternanza tra speranza e delusione la vita dell’uomo acquista splendore. Ma allora: che cos’è la speranza dell’uomo? Dov’è? Come si può ottenere? Basta volerlo.
Guardando con diffidenza l’universo e la società, i saggi dell’umanità spesso cadono in una delusione pessimista. La filosofia è eccessivamente astratta, la scienza è troppo fredda, la religione troppo oscura. Ma ciò che mi lascia attonito è che inaspettatamente l’umanità ha trovato una fessura, ha creato un istante in cui tutto si può superare e, sebbene essa sia misteriosa e breve, lirica e illusoria, essa svanisce come un sogno senza lasciare traccia.
Ma nell’animo di moltissimi talenti, questo fugace momento sarà considerato eterno e illimitato. Questa è l’unica scorciatoia che l’uomo può percorrere per arrivare alla libertà: l’estetica.
Confucio è il filosofo che più ha tenuto in considerazione le norme, eppure il suo “godere dello studio delle arti” ha come fine ultimo il controllo dei riti sul mondo e la costruzione di un governo benevolo. Per lui un’esperienza estetica è il limite più alto dell’esistenza: «a primavera inoltrata, i vestiti leggeri, con cinque o sei adulti col copricapo e sei o sette ragazzi, vorrei bagnarmi nel fiume Yi, godermi la brezza presso l’altare della pioggia e cantare, prima di tornare indietro» [Dialoghi, 11.25, ndt]. I filosofi taoisti invece si oppongono a ogni norma […]. Proprio una simile attitudine esistenziale ha prodotto la licenziosità dei costumi delle dinastie Wei e Jin [220-420 d.C., ndt] e le arti contemplative tradizionali cinesi come le poesie e le pitture paesaggistiche.
L’umanità, risvegliandosi, ha poi scoperto la propria alienazione e, ancor di più, ha riposto sull’estetica la speranza di raggiungere la libertà. […]
Nell’esperienza estetica le inclinazioni soggettive possono superare i principi oggettivi; la forza delle emozioni può superare i precetti razionali; il godimento spirituale può superare i desideri materiali; il destino individuale può superare le pressioni sociali. Solo così l’uomo può superare la limitatezza del proprio essere. Ma va ricordato che questo superamento è temporaneo e illusorio, quindi né eterno né reale.
In altre parole, l’uomo quando è costretto in una realtà necessariamente limitata, decide di creare a livello illusorio una libertà illimitata. C’è chi ritiene che questa sia la “commedia” dell’umanità. Io ritengo che proprio questa irrisolvibile contrapposizione tra realtà e illusione dia vita al carattere tragico dell’esistenza.
[tratto da Liu Xiaobo, Estetica e libertà dell’uomo, Beijing Normal University Press, 1988; traduzione dal cinese di Cecilia Attanasio Ghezzi e Edoardo Gagliardi]
Saturno, Il Fatto Quotidiano, 1 aprile 2011
“Bellezza e Libertà”
L’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene. Questa celebre frase di Rousseau ci ricorda che difficilmente l’umanità si può liberare dal suo tragico destino.
Non bisogna credere che io inizi con questa frase tanto per sorprendere. Chiunque desideri realmente ripensare sé stesso, può credere che queste parole indicano soltanto una semplice verità. Tuttavia la paura istintiva dell’uomo la copre, strato dopo strato. Non importa che l’umanità, con chissà quanta intelligenza e abilità, nasconda questa semplice verità. Verrà un momento critico in cui l’intelligenza di qualcuno la svelerà, facendo così sospirare gli studiosi pavidi.
Il sistema delle regole oggettive non prende mai in considerazione i desideri soggettivi. L’umanità non ha altra scelta che assecondare questi desideri o reprimerli, a prescindere da quanto essi siano virtuosi. Le regole della fisica hanno da sempre permesso […] che la vita si risolva in un meccanismo soggetto alle inevitabili regole del determinismo della materia inorganica, come una particella del cosmo infinito.
Ma in tutto ciò: l’individuo? L’uomo ha l’intelletto, per questo si crede superiore agli animali e ritiene di poter dominare su tutte le cose del mondo. Attraverso il noumeno della metafisica e il dio della religione trascende le consuetudini secolari. Ma le infinite regole, leggi, norme, dogmi e teoremi stabiliti dalla ragione, costringono in maniera evidente l’esistenza a un appiattimento dottrinale, facendo sì che l’uomo sia così limitato dalle sue stesse creazioni da non riuscire nemmeno a muovere un passo. [...]
L’uomo ha creato una società nella quale solo combattendo la natura con tutte le proprie forze ottiene un certo grado di libertà ma, allo stesso tempo, egli è intrappolato da una rete tessuta da privilegi, leggi e morale – tanto da non riuscire più a liberarsi. I privilegi fanno sì che l’uomo sia passivo e servile; le leggi impediscono all’uomo di agire liberamente; la morale assegna all’uomo norme e regole di vita a cui tutti devono aderire. [...]
La dialettica inconciliabile tra l’illimitatezza di ogni tipo di speranza e la finitezza propria dell’esistenza, determina infine che l’uomo si trovi spesso in un’eterna delusione, scissione, lotta interiore e, allo stesso tempo, in un’eterna speranza, aspirazione e ricerca. Proprio in questa continua alternanza tra speranza e delusione la vita dell’uomo acquista splendore. Ma allora: che cos’è la speranza dell’uomo? Dov’è? Come si può ottenere? Basta volerlo.
Guardando con diffidenza l’universo e la società, i saggi dell’umanità spesso cadono in una delusione pessimista. La filosofia è eccessivamente astratta, la scienza è troppo fredda, la religione troppo oscura. Ma ciò che mi lascia attonito è che inaspettatamente l’umanità ha trovato una fessura, ha creato un istante in cui tutto si può superare e, sebbene essa sia misteriosa e breve, lirica e illusoria, essa svanisce come un sogno senza lasciare traccia.
Ma nell’animo di moltissimi talenti, questo fugace momento sarà considerato eterno e illimitato. Questa è l’unica scorciatoia che l’uomo può percorrere per arrivare alla libertà: l’estetica.
Confucio è il filosofo che più ha tenuto in considerazione le norme, eppure il suo “godere dello studio delle arti” ha come fine ultimo il controllo dei riti sul mondo e la costruzione di un governo benevolo. Per lui un’esperienza estetica è il limite più alto dell’esistenza: «a primavera inoltrata, i vestiti leggeri, con cinque o sei adulti col copricapo e sei o sette ragazzi, vorrei bagnarmi nel fiume Yi, godermi la brezza presso l’altare della pioggia e cantare, prima di tornare indietro» [Dialoghi, 11.25, ndt]. I filosofi taoisti invece si oppongono a ogni norma […]. Proprio una simile attitudine esistenziale ha prodotto la licenziosità dei costumi delle dinastie Wei e Jin [220-420 d.C., ndt] e le arti contemplative tradizionali cinesi come le poesie e le pitture paesaggistiche.
L’umanità, risvegliandosi, ha poi scoperto la propria alienazione e, ancor di più, ha riposto sull’estetica la speranza di raggiungere la libertà. […]
Nell’esperienza estetica le inclinazioni soggettive possono superare i principi oggettivi; la forza delle emozioni può superare i precetti razionali; il godimento spirituale può superare i desideri materiali; il destino individuale può superare le pressioni sociali. Solo così l’uomo può superare la limitatezza del proprio essere. Ma va ricordato che questo superamento è temporaneo e illusorio, quindi né eterno né reale.
In altre parole, l’uomo quando è costretto in una realtà necessariamente limitata, decide di creare a livello illusorio una libertà illimitata. C’è chi ritiene che questa sia la “commedia” dell’umanità. Io ritengo che proprio questa irrisolvibile contrapposizione tra realtà e illusione dia vita al carattere tragico dell’esistenza.
[tratto da Liu Xiaobo, Estetica e libertà dell’uomo, Beijing Normal University Press, 1988; traduzione dal cinese di Cecilia Attanasio Ghezzi e Edoardo Gagliardi]
Saturno, Il Fatto Quotidiano, 1 aprile 2011
lunedì 21 marzo 2011
Preghiera per Chernobyl
Dal Fatto di oggi...
Chernobyl, la triste fine dei “liquidatori”
Chernobyl, la triste fine dei “liquidatori”
I 50 kamikaze di Fukushima stanno facendo la stessa fine degli eroi che si immolarono per spegnere il reattore numero 4 della centrale ucraina. Il Fatto vuole ricordarli attraverso la testimonianza straziante di una vedova, Valentina Panasevich, raccolta da Svetlana Alekseievic nel capolavoro “Preghiera per Chernobyl"
Chernobyl è il punto di incontro fra Dante e la Fantascienza.
La foresta nucleare che si è impadronita delle strade di Pripyat , la città che ospitava i lavoratori della centrale, è la versione moderna del “bosco dei suicidi”, mentre la torre di cemento e acciaio che copre il reattore N°4 incute lo stesso irriducibile terrore che emana ancora dai forni crematori o dai giganti immersi nel ghiaccio del Canto 31 dell’Inferno (“Sappi che non son torri, ma giganti..”).
Sulle pareti dei palazzi, le scritte di che inneggiano a Lenin hanno resistito alla pioggia, alla neve e alla perestroika, per cui si potrebbe dire che Pripyat è la Pompei del socialismo sovietico.
Gli unici abitanti della città sono i soldati che la proteggono (dicono) da saccheggiatori e criminali in fuga e le guide , che ti portano – non oltre 10 minuti – davanti al reattore n°4 per mostrarti, con un piccolo contatore Geiger, che la radioattività è nella norma.
Dalle pareti degli appartamenti abbandonati tentacoli di muffa biancastra si avventano sul visitatore e sugli oggetti abbandonati in fretta e furia il 26 aprile del 1986: una scarpa da donna, un davanzale, un pianoforte una bambola, degli spartiti…
A Pripyat, non si sente cantare un uccello. E’ come se fossero stati zittiti per sempre e nella foresta che circonda la città morta si vedono cartelli che vietano di accendere fuochi perché anche un piccolo incendio potrebbe disperdere nell’atmosfera i radionucleidi che avvelenano quello che una volta era la “natura”.
Quando nel 2002 ho filmato Chernobyl per il settimanale “Link” di Canale 5, ho incontrato i rifugiati che erano stati allontanati dall’area della centrale e che erano tornati a vivere a 7 km dal reattore. Mi dissero che, dopo aver girovagato per anni in campi profughi dove non avevano neppure la legna per scaldarsi, avevano deciso di tornare.
Le loro case , piccole isbe con le caratteristiche stufe di muratura alla russa, si distinguevano perché sorgevano linde e ben tenute in mezzo a centinaia di edifici abbandonati, scuole, villette, uffici, completamente conquistati dai rampicanti e dal bosco .
“Le radiazioni?” mi dissero “Non ci pensiamo. Ormai siamo vecchi. Qui almeno abbiamo una casa.Vogliamo morire qui”. Sullo sfondo, la torre del reattore N°4 emanava un bagliore viola.
A Chernobyl ho filmato anche il monumento più triste del mondo: le statue di cemento grigio che ricordano i “Liquidatori” della centrale, i pompieri e gli operai che scelsero di andare incontro alla morte per spegnere il Moloch nucleare.
Oggi la parola “kamikaze” ha connotati solo negativi. Le stragi di civili di Al Qaeda o di Hamas hanno fatto dimenticare che anche la Resistenza ebbe delle squadre suicide come il commando di partigiani cecoslovacchi che giustiziò Reinhard Heydrich, detto “il boia” (der Henker) 25 anni dopo, a 8000 km di distanza , i 50 kamikaze di Fukushima stanno compiendo lo stesso sacrificio dei “Liquidatori” . Questi ultimi verranno ricordati tra poco più di un mese, il 26 aprile dal “Chernobyl day” insieme alle centinaia di migliaia di morti di cancro (500.000 secondo il Guardian) causati dall’incidente del reattore N°4.
Noi vogliamo ricordarli attraverso il ricordo di una vedova, Valentina Panasevich raccolto da Svetlana Alekseievic nel capolavoro “Preghiera per Chernobyl”.
“Poco fa ero così felice. Tutto è rimasto in un altro mondo. Non capisco come riesco a vivere. Mi sentivo paralizzata. La mattina mi svegliavo, cercavo di abbracciarlo. Dov’è? C’è il suo cuscino, il suo odore. Di sera la figlia mi dice che ha finito i compiti. All’istante mi accorgo che ho dei figli. Ma dove è lui? Lo penso finché non mi addormento… Non piangerò. Ormai ho perso questa capacità… Non mi lascia un’idea strana: ho visto quello che nessuno ha visto prima d’ora… Siamo primi a scoprire qualcosa di terribile.E’ andato a Chernobyl il giorno del mio compleanno. Faceva da montatore arrampichino. Viaggiava per tutto il paese ed io lo aspettavo sempre. Facevamo una vita da innamorati. Quel giorno erano preoccupate solo le nostre mamme. Noi invece eravamo tranquilli. La sua squadra, sette persone, sono morti tutti. Quando dopo tre anni è morto il primo pensavamo, che magari fosse un caso. Dopo è morto il secondo, il terzo… Ognuno già aspettava il suo turno. Mio marito è morto per ultimo. Era robusto, alto quasi due metri, pesava 90 chili, come si poteva immaginare? Staccavano la luce nei paesi abbandonati…Ah, quanto ero felice!
Era tornato. Era sempre una festa quando tornava. Indossavo una bella camicia da notte che avevo per quest’occasione. Conoscevo ogni angolo del suo corpo. A volte anche sognavo di essere una parte del suo corpo, eravamo indivisibili. Sentivo un dolore fisico quando andava via. Questa volta è tornato con i nodi linfatici sul collo. Li ho sentiti subito appena l’ho baciato. Sono nata per amare. Le mie compagne di scuola facevano progetti per il futuro: iscriversi all’università, partecipare a qualche impresa di Komsomol. Io invece volevo sposarmi ed amare, solo amare come Natascia Rostova in “Guerra e pace”. A nessuno potevo rivelarlo perché allora era lecito pensare solo di qualche impresa di komsomol, di coltivare la Siberia. L’ho conosciuto quando sono andata a lavorare alla centrale telefonica. Sono stata io a dirgli:”Sposami, ti voglio tanto bene!”. Mi sono innamorata da matta, volavo fra le nuvole…A volte cerco di consolarmi: magari la morte non è la fine, magari lui vive in qualche altro mondo. Leggevo libri e giornali, parlavo con la gente, volevo sapere tutto sulla morte per trovare qualche consolazione… Non posso stare da sola, eravamo indivisibili. Non voleva andare dal medico perché non sentiva nessun dolore. I nodo linfatici aumentavano. Ho insistito. L’hanno mandato subito dall’oncologo.
Dopo una settimana è stato operato. Gli hanno tolto completamente la tiroide e la parte di faringe. Ora capisco che questo era ancora un periodo felice… Ho imparato a dargli da mangiare tramite una cannuccia. Non sentiva ormai né odori, né sapori. Andavamo qualche volta al cinema e ci baciavamo lì: così ci sentivamo aggrappati alla vita. Poi un giorno non è più riuscito ad alzarsi dal letto. Avevamo ancora un anno tutto per noi, lui stava sempre peggiorando a vista d’occhio per tutto l’anno. Tutti i suoi colleghi erano già morti. Questo pensiero era insopportabile, nessuno sapeva che cosa vuol dire Chernobyl. Si scriveva tanto su questo argomento, ma siamo stati noi per primi a scoprire l’aspetto più orribile.
Volete sapere come si muore dopo Chernobyl? L’uomo che amavo, così che non avrei potuto amarlo di più neanche se fosse stato mio figlio, si trasformava sotto i miei occhi in un mostro, in un extraterrestre. Gli si è deformato il naso aumentando di circa tre volte. Gli occhi si sono spostati ed hanno assunto un’espressione sconosciuta. Ma questo non mi spaventava. Ero soltanto preoccupata che lui si vedesse così come era. Però insisteva affinché gli portassi uno specchio, me lo scriveva ripetutamente (comunicavamo scrivendo perché egli non riusciva nemmeno a sussurrare). Ma io facevo finta di niente. Dopo tre giorni sono stata costretta a portarglielo. Ci è rimasto male. Cercavo di consolarlo: non ti preoccupare, appena guarirai andremo a stare in qualche paesino abbandonato e ci vivremo noi due da soli. Non lo ingannavo, ero pronta ad andarmene in capo al mondo per lui. Mi confondo, non riesco a parlare.
Avevo 16 anni quando l’ho conosciuto. Aveva 7 anni più di me. Quando andavo all’appuntamento con lui scendevo alla fermata dopo per vedere da lontano che bel ragazzo mi aspettava. Per due anni non me ne accorgevo se era estate o inverno. Quanto ero felice! Non cambierei nulla in vita mia anche se le stelle mi avessero avvertita del mio destino. Il giorno del matrimonio non abbiamo trovato il suo passaporto. “E’ un brutto segno”, – piangeva la mia mamma. Non era amore, piuttosto un lungo innamoramento. Non so se sia lecito parlarne. Ci sono dei misteri, dei segreti. Anche adesso non capisco che cosa fosse. Aveva dei desideri fino all’ultimo mese. Mi chiamava di notte, mi amava più forte di prima. Di giorno quando lo guardavo non riuscivi a credere a ciò che era successo di notte. Non volevamo separarci. Lo sfioravo coccolando, mi ricordavo i momenti più felici della nostra vita. Non voleva morire. Ma cosa potevo offrirgli oltre i farmaci? Quale speranza? Non voleva morire…
Alla mamma non raccontava nulla, non avrebbe capito perché non era un solito tumore, era il tumore di Chernobyl, molto più terribile. I medici mi hanno spiegato: se le metastasi si fossero sviluppate dentro all’organismo sarebbe morto presto. Invece sono uscite tutte fuori. Le formazioni nere hanno coperto il corpo fino alla vita, era sparito il mento, il collo. La lingua uscita fuori, era diventata come una borsetta. Sanguinava perché si rompevano le vene. Gli mettevo sotto un catino. Anche adesso sento quel suono di zampilli di sangue. Non sapevo come aiutarlo. Al pronto soccorso ci conoscevano già e non volevano venire: non possiamo fare nulla per suo marito. Una volta è venuto un medico giovane, appena entrato mi ha detto:”Mia cara, le auguro che lui muoia al più presto” e lui l’ha sentito. Un’altra volta un’infermiera non ce l’ha fatta ad entrare in camera. Ho imparato a fare da me le punture di stupefacenti. Gridava dal dolore, gridava per tutto il giorno. A questo punto ho trovato la soluzione: gli versavo tramite la cannuccia una bottiglia di vodka. Così si assopiva.
Una volta gli ho chiesto:”Ti dispiace che sei andato a Chernobyl?”. Mi ha risposto di no. Ero così felice con lui. Lo guardavo mentre si faceva la barba, mentre mangiava, mentre camminava per strada. Non potevo saziarmi, come se avessi un presentimento che non sarebbe durato a lungo. Non capisco come può piacere il proprio lavoro. A me piaceva soltanto lui. Amavo soltanto lui. Di notte grido nel cuscino per non spaventare i figli.
I parenti mi avevano suggerito di portarlo in un ospedale dove morivano gli ammalati come lui. Anche lui mi supplicava, ha consumato un quaderno per convincermi. Alla fine ho deciso di farlo. Ci sono andata con suo fratello. L’ospedale si trovava in periferia di un paesino. Quando ho visto una grande casa in legno col pozzo rovinato, i servizi fuori, la vecchiette vestite in nero, non sono nemmeno uscita dalla macchina. Gli ho detto: non ti ci porterò mai. Mai!Hanno telefonato i suoi colleghi, volevano venire a trovarlo. Gli hanno portato un diploma d’onore, una cartella rossa con il profilo di Lenin. Lo guardai e pensai: per cosa muore? I giornali scrivevano che era esploso non solo Chernobyl, ma anche il comunismo. Il profilo sulla cartella è rimasto comunque. I colleghi volevano parlargli. Lui invece si copriva la testa, aveva già paura della gente, accettava solo me.Le ultime settimane sono state più orribili. L’uomo muore da solo, in solitudine. Durante il funerale gli ho coperto la faccia con un fazzoletto. Una sua amica che mi aveva chiesto di scoprire la faccia è svenuta. Quando è morto nessuno riusciva ad avvicinarsi. I parenti non possono lavare e vestire il defunto. Ho chiamato due impiegati dell’obitorio. Anche loro che ne hanno visto di tutti i colori, mi hanno rivelato che è la prima volta che vedevano questo orrore. Ormai so come moriremo dopo una guerra atomica, dopo Chernobyl. Anche morto era caldo-caldo. Non si poteva toccarlo. Ho fermato l’orologio, erano le sette. Anche oggi è lì fermo, non si riesce a farlo partire. Il meccanico dice che il meccanismo non è rotto, però non funziona più. Mistero.
I primi giorni senza di lui. Avevo sonno, ho dormito per due giorni. Mi alzavo solo per prendere un po’ d’acqua. Prima di morire mi ha scritto: “Fai bruciare il mio corpo, non voglio che tu abbia paura”. Perché ha deciso così? Ho letto che la gente si aggira senza avvicinarsi alle tombe dei vigili del fuoco di Cernobyl morti negli ospedali di Mosca e sepolti nei dintorni, a Mytishi. Non seppelliscono accanto neanche i loro defunti, hanno paura perché nessuno sa cosa è Chernobyl. Ero seduta accanto a lui quando era appena morto. Improvvisamente ho visto una nuvola salire sopra il suo corpo. Era la sua anima. Nessuna l’ha vista, io invece sì. Ho avuto l’impressione che ci siamo rivisti un’altra volta… Chi me l’ha tolto? Per quale diritto? Hanno portato il precetto il 19 di ottobre 1986. Come se fosse la guerra…
Ero felicissima da impazzire. Non so come vivrò. Cosa mi ha salvato? Il nostro figlio. E’ ammalato. E’ già cresciuto, ma guarda il mondo con gli occhi felici di un bambino di 5 anni. Si trova nell’ospedale psichiatrico. Questa era la sentenza dei medici: per sopravvivere deve rimanere sempre lì. Ci vado ogni fine settimana. Mi chiede sempre: “Dove è il papà? Quando verrà?”. Chi altri me lo potrà mai chiedere? L’aspetta. Vivremo insieme con mio figlio. Io reciterò la mia preghiera di Chernobyl e lui guarderà il mondo con gli occhi da bambino…
di Mimmo Lombezzi
La foresta nucleare che si è impadronita delle strade di Pripyat , la città che ospitava i lavoratori della centrale, è la versione moderna del “bosco dei suicidi”, mentre la torre di cemento e acciaio che copre il reattore N°4 incute lo stesso irriducibile terrore che emana ancora dai forni crematori o dai giganti immersi nel ghiaccio del Canto 31 dell’Inferno (“Sappi che non son torri, ma giganti..”).
Sulle pareti dei palazzi, le scritte di che inneggiano a Lenin hanno resistito alla pioggia, alla neve e alla perestroika, per cui si potrebbe dire che Pripyat è la Pompei del socialismo sovietico.
Gli unici abitanti della città sono i soldati che la proteggono (dicono) da saccheggiatori e criminali in fuga e le guide , che ti portano – non oltre 10 minuti – davanti al reattore n°4 per mostrarti, con un piccolo contatore Geiger, che la radioattività è nella norma.
Dalle pareti degli appartamenti abbandonati tentacoli di muffa biancastra si avventano sul visitatore e sugli oggetti abbandonati in fretta e furia il 26 aprile del 1986: una scarpa da donna, un davanzale, un pianoforte una bambola, degli spartiti…
A Pripyat, non si sente cantare un uccello. E’ come se fossero stati zittiti per sempre e nella foresta che circonda la città morta si vedono cartelli che vietano di accendere fuochi perché anche un piccolo incendio potrebbe disperdere nell’atmosfera i radionucleidi che avvelenano quello che una volta era la “natura”.
Quando nel 2002 ho filmato Chernobyl per il settimanale “Link” di Canale 5, ho incontrato i rifugiati che erano stati allontanati dall’area della centrale e che erano tornati a vivere a 7 km dal reattore. Mi dissero che, dopo aver girovagato per anni in campi profughi dove non avevano neppure la legna per scaldarsi, avevano deciso di tornare.
Le loro case , piccole isbe con le caratteristiche stufe di muratura alla russa, si distinguevano perché sorgevano linde e ben tenute in mezzo a centinaia di edifici abbandonati, scuole, villette, uffici, completamente conquistati dai rampicanti e dal bosco .
“Le radiazioni?” mi dissero “Non ci pensiamo. Ormai siamo vecchi. Qui almeno abbiamo una casa.Vogliamo morire qui”. Sullo sfondo, la torre del reattore N°4 emanava un bagliore viola.
A Chernobyl ho filmato anche il monumento più triste del mondo: le statue di cemento grigio che ricordano i “Liquidatori” della centrale, i pompieri e gli operai che scelsero di andare incontro alla morte per spegnere il Moloch nucleare.
Oggi la parola “kamikaze” ha connotati solo negativi. Le stragi di civili di Al Qaeda o di Hamas hanno fatto dimenticare che anche la Resistenza ebbe delle squadre suicide come il commando di partigiani cecoslovacchi che giustiziò Reinhard Heydrich, detto “il boia” (der Henker) 25 anni dopo, a 8000 km di distanza , i 50 kamikaze di Fukushima stanno compiendo lo stesso sacrificio dei “Liquidatori” . Questi ultimi verranno ricordati tra poco più di un mese, il 26 aprile dal “Chernobyl day” insieme alle centinaia di migliaia di morti di cancro (500.000 secondo il Guardian) causati dall’incidente del reattore N°4.
Noi vogliamo ricordarli attraverso il ricordo di una vedova, Valentina Panasevich raccolto da Svetlana Alekseievic nel capolavoro “Preghiera per Chernobyl”.
“Poco fa ero così felice. Tutto è rimasto in un altro mondo. Non capisco come riesco a vivere. Mi sentivo paralizzata. La mattina mi svegliavo, cercavo di abbracciarlo. Dov’è? C’è il suo cuscino, il suo odore. Di sera la figlia mi dice che ha finito i compiti. All’istante mi accorgo che ho dei figli. Ma dove è lui? Lo penso finché non mi addormento… Non piangerò. Ormai ho perso questa capacità… Non mi lascia un’idea strana: ho visto quello che nessuno ha visto prima d’ora… Siamo primi a scoprire qualcosa di terribile.E’ andato a Chernobyl il giorno del mio compleanno. Faceva da montatore arrampichino. Viaggiava per tutto il paese ed io lo aspettavo sempre. Facevamo una vita da innamorati. Quel giorno erano preoccupate solo le nostre mamme. Noi invece eravamo tranquilli. La sua squadra, sette persone, sono morti tutti. Quando dopo tre anni è morto il primo pensavamo, che magari fosse un caso. Dopo è morto il secondo, il terzo… Ognuno già aspettava il suo turno. Mio marito è morto per ultimo. Era robusto, alto quasi due metri, pesava 90 chili, come si poteva immaginare? Staccavano la luce nei paesi abbandonati…Ah, quanto ero felice!
Era tornato. Era sempre una festa quando tornava. Indossavo una bella camicia da notte che avevo per quest’occasione. Conoscevo ogni angolo del suo corpo. A volte anche sognavo di essere una parte del suo corpo, eravamo indivisibili. Sentivo un dolore fisico quando andava via. Questa volta è tornato con i nodi linfatici sul collo. Li ho sentiti subito appena l’ho baciato. Sono nata per amare. Le mie compagne di scuola facevano progetti per il futuro: iscriversi all’università, partecipare a qualche impresa di Komsomol. Io invece volevo sposarmi ed amare, solo amare come Natascia Rostova in “Guerra e pace”. A nessuno potevo rivelarlo perché allora era lecito pensare solo di qualche impresa di komsomol, di coltivare la Siberia. L’ho conosciuto quando sono andata a lavorare alla centrale telefonica. Sono stata io a dirgli:”Sposami, ti voglio tanto bene!”. Mi sono innamorata da matta, volavo fra le nuvole…A volte cerco di consolarmi: magari la morte non è la fine, magari lui vive in qualche altro mondo. Leggevo libri e giornali, parlavo con la gente, volevo sapere tutto sulla morte per trovare qualche consolazione… Non posso stare da sola, eravamo indivisibili. Non voleva andare dal medico perché non sentiva nessun dolore. I nodo linfatici aumentavano. Ho insistito. L’hanno mandato subito dall’oncologo.
Dopo una settimana è stato operato. Gli hanno tolto completamente la tiroide e la parte di faringe. Ora capisco che questo era ancora un periodo felice… Ho imparato a dargli da mangiare tramite una cannuccia. Non sentiva ormai né odori, né sapori. Andavamo qualche volta al cinema e ci baciavamo lì: così ci sentivamo aggrappati alla vita. Poi un giorno non è più riuscito ad alzarsi dal letto. Avevamo ancora un anno tutto per noi, lui stava sempre peggiorando a vista d’occhio per tutto l’anno. Tutti i suoi colleghi erano già morti. Questo pensiero era insopportabile, nessuno sapeva che cosa vuol dire Chernobyl. Si scriveva tanto su questo argomento, ma siamo stati noi per primi a scoprire l’aspetto più orribile.
Volete sapere come si muore dopo Chernobyl? L’uomo che amavo, così che non avrei potuto amarlo di più neanche se fosse stato mio figlio, si trasformava sotto i miei occhi in un mostro, in un extraterrestre. Gli si è deformato il naso aumentando di circa tre volte. Gli occhi si sono spostati ed hanno assunto un’espressione sconosciuta. Ma questo non mi spaventava. Ero soltanto preoccupata che lui si vedesse così come era. Però insisteva affinché gli portassi uno specchio, me lo scriveva ripetutamente (comunicavamo scrivendo perché egli non riusciva nemmeno a sussurrare). Ma io facevo finta di niente. Dopo tre giorni sono stata costretta a portarglielo. Ci è rimasto male. Cercavo di consolarlo: non ti preoccupare, appena guarirai andremo a stare in qualche paesino abbandonato e ci vivremo noi due da soli. Non lo ingannavo, ero pronta ad andarmene in capo al mondo per lui. Mi confondo, non riesco a parlare.
Avevo 16 anni quando l’ho conosciuto. Aveva 7 anni più di me. Quando andavo all’appuntamento con lui scendevo alla fermata dopo per vedere da lontano che bel ragazzo mi aspettava. Per due anni non me ne accorgevo se era estate o inverno. Quanto ero felice! Non cambierei nulla in vita mia anche se le stelle mi avessero avvertita del mio destino. Il giorno del matrimonio non abbiamo trovato il suo passaporto. “E’ un brutto segno”, – piangeva la mia mamma. Non era amore, piuttosto un lungo innamoramento. Non so se sia lecito parlarne. Ci sono dei misteri, dei segreti. Anche adesso non capisco che cosa fosse. Aveva dei desideri fino all’ultimo mese. Mi chiamava di notte, mi amava più forte di prima. Di giorno quando lo guardavo non riuscivi a credere a ciò che era successo di notte. Non volevamo separarci. Lo sfioravo coccolando, mi ricordavo i momenti più felici della nostra vita. Non voleva morire. Ma cosa potevo offrirgli oltre i farmaci? Quale speranza? Non voleva morire…
Alla mamma non raccontava nulla, non avrebbe capito perché non era un solito tumore, era il tumore di Chernobyl, molto più terribile. I medici mi hanno spiegato: se le metastasi si fossero sviluppate dentro all’organismo sarebbe morto presto. Invece sono uscite tutte fuori. Le formazioni nere hanno coperto il corpo fino alla vita, era sparito il mento, il collo. La lingua uscita fuori, era diventata come una borsetta. Sanguinava perché si rompevano le vene. Gli mettevo sotto un catino. Anche adesso sento quel suono di zampilli di sangue. Non sapevo come aiutarlo. Al pronto soccorso ci conoscevano già e non volevano venire: non possiamo fare nulla per suo marito. Una volta è venuto un medico giovane, appena entrato mi ha detto:”Mia cara, le auguro che lui muoia al più presto” e lui l’ha sentito. Un’altra volta un’infermiera non ce l’ha fatta ad entrare in camera. Ho imparato a fare da me le punture di stupefacenti. Gridava dal dolore, gridava per tutto il giorno. A questo punto ho trovato la soluzione: gli versavo tramite la cannuccia una bottiglia di vodka. Così si assopiva.
Una volta gli ho chiesto:”Ti dispiace che sei andato a Chernobyl?”. Mi ha risposto di no. Ero così felice con lui. Lo guardavo mentre si faceva la barba, mentre mangiava, mentre camminava per strada. Non potevo saziarmi, come se avessi un presentimento che non sarebbe durato a lungo. Non capisco come può piacere il proprio lavoro. A me piaceva soltanto lui. Amavo soltanto lui. Di notte grido nel cuscino per non spaventare i figli.
I parenti mi avevano suggerito di portarlo in un ospedale dove morivano gli ammalati come lui. Anche lui mi supplicava, ha consumato un quaderno per convincermi. Alla fine ho deciso di farlo. Ci sono andata con suo fratello. L’ospedale si trovava in periferia di un paesino. Quando ho visto una grande casa in legno col pozzo rovinato, i servizi fuori, la vecchiette vestite in nero, non sono nemmeno uscita dalla macchina. Gli ho detto: non ti ci porterò mai. Mai!Hanno telefonato i suoi colleghi, volevano venire a trovarlo. Gli hanno portato un diploma d’onore, una cartella rossa con il profilo di Lenin. Lo guardai e pensai: per cosa muore? I giornali scrivevano che era esploso non solo Chernobyl, ma anche il comunismo. Il profilo sulla cartella è rimasto comunque. I colleghi volevano parlargli. Lui invece si copriva la testa, aveva già paura della gente, accettava solo me.Le ultime settimane sono state più orribili. L’uomo muore da solo, in solitudine. Durante il funerale gli ho coperto la faccia con un fazzoletto. Una sua amica che mi aveva chiesto di scoprire la faccia è svenuta. Quando è morto nessuno riusciva ad avvicinarsi. I parenti non possono lavare e vestire il defunto. Ho chiamato due impiegati dell’obitorio. Anche loro che ne hanno visto di tutti i colori, mi hanno rivelato che è la prima volta che vedevano questo orrore. Ormai so come moriremo dopo una guerra atomica, dopo Chernobyl. Anche morto era caldo-caldo. Non si poteva toccarlo. Ho fermato l’orologio, erano le sette. Anche oggi è lì fermo, non si riesce a farlo partire. Il meccanico dice che il meccanismo non è rotto, però non funziona più. Mistero.
I primi giorni senza di lui. Avevo sonno, ho dormito per due giorni. Mi alzavo solo per prendere un po’ d’acqua. Prima di morire mi ha scritto: “Fai bruciare il mio corpo, non voglio che tu abbia paura”. Perché ha deciso così? Ho letto che la gente si aggira senza avvicinarsi alle tombe dei vigili del fuoco di Cernobyl morti negli ospedali di Mosca e sepolti nei dintorni, a Mytishi. Non seppelliscono accanto neanche i loro defunti, hanno paura perché nessuno sa cosa è Chernobyl. Ero seduta accanto a lui quando era appena morto. Improvvisamente ho visto una nuvola salire sopra il suo corpo. Era la sua anima. Nessuna l’ha vista, io invece sì. Ho avuto l’impressione che ci siamo rivisti un’altra volta… Chi me l’ha tolto? Per quale diritto? Hanno portato il precetto il 19 di ottobre 1986. Come se fosse la guerra…
Ero felicissima da impazzire. Non so come vivrò. Cosa mi ha salvato? Il nostro figlio. E’ ammalato. E’ già cresciuto, ma guarda il mondo con gli occhi felici di un bambino di 5 anni. Si trova nell’ospedale psichiatrico. Questa era la sentenza dei medici: per sopravvivere deve rimanere sempre lì. Ci vado ogni fine settimana. Mi chiede sempre: “Dove è il papà? Quando verrà?”. Chi altri me lo potrà mai chiedere? L’aspetta. Vivremo insieme con mio figlio. Io reciterò la mia preghiera di Chernobyl e lui guarderà il mondo con gli occhi da bambino…
di Mimmo Lombezzi
martedì 1 marzo 2011
martedì 15 febbraio 2011
Ti sputtanerò
Grandissimi Luca e Paolo a Sanremo!!!
...e poi dal Fatto di oggi (16 febbraio 2011)...
Silvio Pelvico
...e poi dal Fatto di oggi (16 febbraio 2011)...
Silvio Pelvico
di Marco Travaglio
Alla fine, depositato il polverone politico-mediatico del Truman Show, restano i fatti nudi e crudi, che il gip Cristina Di Censo descrive con una semplicità disarmante. Una sera di maggio un cittadino telefona in Questura per far rilasciare una minorenne marocchina fermata per furto senza documenti né fissa dimora, spacciandola per la nipote del presidente egiziano Mubarak. Se fosse un passante, lo manderebbero a prendere per il trattamento sanitario obbligatorio. Trattandosi del presidente del Consiglio, trattengono le risa e obbediscono a lui anziché al pm minorile e affidano la ragazza a una procace consigliera regionale che si è precipitata sul posto in compagnia di una prostituta brasiliana, nelle cui mani poi la consigliera scarica la minorenne. Le due immigrate vengono poi sorprese a rissare furiosamente e a rinfacciarsi la loro professione, la più antica del mondo. Indagini, interrogatori e intercettazioni per scovare chi organizza il giro di squillo: saltano fuori i nomi della consigliera regionale, di un direttore di telegiornale e di un impresario di star dalla dubbia fama (lui, non le star). L’utilizzatore finale invece è il presidente del Consiglio, che paga in soldi, favori, gioielli, appartamenti in comodato gratuito: ecco perché ha telefonato in Questura. Dalle perquisizioni affiorano i soldi, elargiti un po’ dal premier un po’ dal suo ragioniere, che però non può essere perquisito perché abita in una succursale della Presidenza del Consiglio. Ci vuole il permesso della Camera. I giudici lo chiedono. La Camera rispedisce il faldone al mittente senza dire né sì né no, sostenendo che è competente il Tribunale dei ministri perché il premier chiamò la Questura per sventare una crisi diplomatica con l’Egitto. Vivo stupore in Egitto, dove nessuno è stato avvertito del fatto che il capo del governo italiano racconta in giro che Mubarak ha una nipote prostituta e che questa presta abitualmente servizio in casa sua (del capo del governo italiano). Anche perché, in tal caso, l’Italia rischierebbe non solo l’incidente diplomatico, ma un attacco missilistico. Alla Procura di Milano bastano meno di tre mesi per tirare le somme: pagare una minorenne in cambio di sesso è reato (prostituzione minorile), indurre la Questura a compiere un atto indebito a favore di un’amica è reato (concussione). E, siccome in casi così rapidi ed evidenti il Codice prevede il rito immediato, i pm lo chiedono. Il gip Di Censo sa quel che le accadrà se lo accorderà: verrà insultata, spiata, screditata, dossierata, trascinata alla Consulta. Eppure mantiene i nervi saldi e decide secondo coscienza, sine spe ac metu, uniche bussole il Codice penale e la Costituzione. Dopo i 5 giorni canonici, rinvia B. a giudizio immediato. Ritiene che le accuse siano provate e meritino il vaglio processuale. Il Tribunale stabilirà se è provata anche la colpevolezza dell’imputato B. Incidentalmente il gip spiega anche perché il caso è roba da tribunale ordinario: basta leggere la Costituzione per sapere che è reato ministeriale quando un membro del governo abusa delle proprie funzioni. Ma il premier non ha poteri sulle Questure (non è il ministro dell’Interno né il capo della Polizia): ergo, chiamando quella di Milano, non abusò delle funzioni, ma della qualità di capo del governo. Reato ordinario, tribunale ordinario. Tutto semplice, elementare, lapalissiano. Ci arriverebbe uno studente al primo giorno di Giurisprudenza. Non, dunque, legioni di politici e opinionisti servi. Il 6 aprile, se vorrà, B. comparirà in tribunale. Se non vorrà, peggio per lui: lo processeranno lo stesso. Dopo vent’anni di urla, strepiti, leggi su misura, censure, epurazioni, ricorsi, ricusazioni e centinaia di milioni spesi in avvocati, giudici, testimoni e deputati per trasformare il Parlamento e il Paese intero in un gigantesco collegio di difesa, si ritroverà solo, impotente, nudo come un verme davanti all’incubo che lo insegue da sempre: la Giustizia.
domenica 13 febbraio 2011
sabato 5 febbraio 2011
Avviso a chi pubblica le foto del "vecchio porco"
Dal Fatto di oggi.
Ghedini sotto il letto
Ghedini sotto il letto
di Marco Travaglio
Dicono che B. sia un grande comunicatore. Balle: è solo il padrone dei mezzi di comunicazione. Basta vedere come gestisce gli scandali sessuali che lo inseguono da tre anni, da quando il trapianto di pompetta gli restituì almeno l’illusione del ritorno agli anni verdi. Avrebbe potuto dire, escludendo reati e sfidando i pm a dimostrarli: “La sera, dopo una giornata trascorsa con Bondi, Cicchitto, Capezzone e Bonaiuti, roba che non auguro al mio peggior nemico, mi piace allungare le mani sulle mie amiche consenzienti con un gruppo di vecchi sporcaccioni, poi alcune me le porto a letto e, se fanno le prostitute, le pago”. Il Vaticano avrebbe protestato un paio di minuti, poi sarebbe tornato a cuccia in cambio di qualche milione in più alle scuole private. Mons. Fisichella avrebbe invitato a “contestualizzare il bungabunga”, come del resto le bestemmie. E lui si sarebbe liberato di tutti i ricatti di quell’orda di velociraptor siliconate che ora vanno in giro per le redazioni a offrire foto e video col Papi desnudo. Invece, giurando a reti unificate “mai pagato una donna in vita mia” e “mai frequentato minorenni”, ha trasformato in notizie d’interesse pubblico qualsiasi particolare della sua vita privata. Comprese le foto. Perché si tratta di stabilire se il capo del governo dice la verità o mente. Se avesse ammesso di essere un “vecchio porco”, come ha scritto l’amico Belpietro, avrebbe trasformato in violazione della privacy (dunque reato) la pubblicazione di qualunque foto o video di bungabunga & affini (salvo quelle che dimostrassero il reato di sesso a pagamento con minorenni). Non l’ha fatto e così ha reso quelle foto pubblicabili in nome del diritto, anzi dovere di cronaca, visto che sembrano sbugiardarlo. Queste cose dovrebbe saperle molto meglio di noi il Garante della Privacy: organismo solitamente sonnacchioso, riprende improvvisamente vita non appena sente le parole “foto” e “Berlusconi”. Infatti ieri ci ha inviato un fax dal titolo: “Diffusione di dati personali relativi all’on. Silvio Berlusconi”. Svolgimento: “Si trasmette l’allegata segnalazione inviata dagli avv. Ghedini e Longo, in nome e per conto dell’on. Berlusconi, al fine di acquisire ogni elemento ritenuto utile alla valutazione del caso segnalato, con particolare riguardo all’articolo ‘Un’asta per le foto’. Si prega di dare riscontro...”. In pratica il Garante fa il postino degli avvocati del premier, che in una letterina di due pagine ci avvertono che B. “ha conferito incarico a questi difensori di procedere in ogni sede a sua tutela per i fatti di cui in premessa”, cioè la notizia delle foto all’asta, perché – tenetevi forte – “foto del Presidente svestito in atteggiamenti intimi con ragazze, laddove effettivamente esistenti, devono ritenersi sicuramente false, frutto di fotomontaggi e/o di manipolazioni”. Se ne deduce che B., quando si spoglia per fare le sue cose, tiene sempre Ghedini e Longo sotto il letto o nel guardaroba a controllare. Il guaio è che poi i due, sul più bello, si abbioccano. Ghedini giurò che la D’Addario non era mai entrata a Palazzo Grazioli e che le registrazioni della sua notte con B. erano false, poi si scoprì che era tutto vero, ma lui s’era assopito. Gli On. Avv. avvertono poi che “chi rivela o diffonde notizie o immagini indebitamente procurate che attengono alla vita privata e si svolgono nei luoghi di abitazione” commette reato. Non sanno forse, né il Garante-postino li informa, che la privacy vien meno davanti al dovere di cronaca sui personaggi pubblici. In ogni caso esprimiamo agli avvocati da spogliatoio la più sentita solidarietà. Così come al Garante, che dovrà presto occuparsi di un’altra drammatica denuncia: quella del membro leghista del Csm Matteo Brigandì, sottoposto a “perquisizione corporale” e financo “spogliato” dalla polizia. Una pratica davvero umiliante e disumana. Passi rischiare la pelle per 1.500 euro al mese, ma vedere Brigandì nudo no: questo, per un poliziotto, è davvero troppo.
giovedì 3 febbraio 2011
Intervistatore o suggeritore?
Dal Fatto di oggi.
Da Minzolingua a Renzullingua
Da Minzolingua a Renzullingua
di Marco Travaglio
Il Tg1 ha scritto ieri sera un altro pezzo di grande televisione. Stavolta Minzolingua non ha leccato in proprio, ma ha paracadutato a Palazzo Grazioli uno dei suoi più scalpitanti cavalli di razza: Daniele Renzulli. Chi era costui? I colleghi più anziani ricordano che arrivò al Tg1 con fama di amico dell’autista di Fanfani, dunque democristiano, dunque giornalista. Poi quel gran genio di Johnny Raiotta pensò bene di promuoverlo caporedattore dell’Economia. Il sopraggiungere di Scodinzolini non lo colse comunque di sorpresa: Renzullingua divenne un minzoliniano di ferro, firmando tutti i documenti di solidarietà al direttorissimo ingiustamente criticato per la sua rocciosa indipendenza. Ieri finalmente è scoccata la sua ora: “Dai, Renzulli, passa dal barbiere, mettiti il vestito buono, lucida le scarpe, succhia una mentina, avverti amici e parenti e presentati a Palazzo Grazioli da Lui. Non preoccuparti per le domande: te le detta Bonaiuti e comunque servono solo a rendere un po’ meno palloso il vecchio bollito, ché l’ultimo videomessaggio ha messo in fuga pure Bondi. Occhio a non sbagliare: certe occasioni capitano una volta nella vita”. Il giovanotto, gli va riconosciuto onestamente, non ha tradito le attese. Nonostante la salivazione azzerata, l’occhio pallato e la sudorazione a Vajont, ha tenuto testa da par suo al presidente del Consiglio, mettendolo spesso all’angolo con domande ficcanti. La prima: “Presidente, negli ultimi due anni l’Italia ha tenuto alto l’argine della stabilità dei conti, come hanno riconosciuto l’Europa e il Fondo monetario: è il momento di tornare a crescere, in che modo?”. Colpito e affondato dalla virulenza dell’intervistatore, B. vacilla, per riprendersi a stento: e ha spiegato che la colpa della crescita zero è dell’articolo 41 della Costituzione, curiosamente in vigore anche negli anni del boom economico, ma ora sarà prontamente abolito. Il nostro eroe, però, non è tipo da lasciarsi invischiare dalle risposte dell’avversario, infatti è già pronto col secondo uppercut: “Lei è sceso in campo nel '94 promettendo la rivoluzione liberale: per dare una scossa alla nostra economia è venuto il momento di andare fino in fondo?”. Qui il Cainano, già legnoso sulle gambe a causa delle notti insonni, si accascia alle corde con lo sguardo che implora pietà. E, in stato confusionale, biascica supercazzole tipo “piano casa... Sud... fiscalità di vantaggio... federalismo”. Implacabile, Renzulli lo finisce con il ko: “Lei ha fatto una proposta di collaborazione all’opposizione, che ha risposto che non è credibile. Dietro questo rifiuto, secondo lei, aleggia il partito della patrimoniale, la vecchia ricetta che punta sempre sulla scorciatoia dell’aumento della pressione fiscale?”. Il nano bollito, dal tappeto, delira: “Il problema principale è il debito pubblico che abbiamo ereditato dai governi del passato... moltiplicato 8 volte dal 1980 al '92 dalle vecchie forze politiche, con i comunisti in primo piano, negli anni del consociativismo”. Qui si chiude l’intervista, ma solo per i telespettatori. Renzulli invece rimane lì e si scatena, ricordando a B. alcune verità scomode. Dal 1980 al '92 si susseguirono i premier Cossiga, Forlani, Spadolini, Fanfani, Craxi, Goria, De Mita, Andreotti, Amato: 6 Dc, 2 Psi, 1 Pri, nessun comunista (il Pci era all’opposizione). È grazie a loro se, in quei 12 anni, il debito pubblico passò dal 60 al 118% del Pil. Consociativismo? L’aumento più vertiginoso si registrò nei quattro anni di Craxi (1983-'87: da 456 a 890.000 miliardi di lire). Di cui B. era amico, finanziatore ed elettore. E chi erano i consiglieri economici di Craxi negli anni in cui il debito raddoppiava? Tremonti, Siniscalco, Brunetta e Sacconi. B. li ha promossi tutti e quattro ministri. Queste e altre verità Renzullingua ha ricordato al premier in coda all’intervista. Purtroppo, sul più bello, l’hanno tagliato.
Guardate come le domande non sono domande, ma suggerimenti per un discorso propagandistico.
martedì 1 febbraio 2011
domenica 30 gennaio 2011
Ausmerzen: la Scienza non produce necessariamente Coscienza
Ausmerzen, lo spettacolo che Marco Paolini ha dato all'ex manicomio Paolo Pini a Milano e ripreso da La7 e' un colpo al cuore, allo stomaco, alla memoria al quale consiglio a chiunque di non sottrarsi.
Guardate il video al seguente link. Lo spettacolo dura piu' di due ore. A questo segue una discussione che Gad Lerner conduce facendo parlare le persone presenti. Alla grandezza di Paolini non segue la grandezza nel condurre una discussione difficile e se vogliamo scomoda, ciononostante ci sono degli spunti interessanti per l'attualita' d'Italia.
Guardate Paolini, cliccate qui sotto o cercate sul sito di La7 lo spettacolo Ausmerzen.
http://www.la7.tv/richplayer/?assetid=50200767
Intervento del Capo dello Stato
La mia lettera al Capo dello Stato.
On. Presidente Napolitano,
spero che la mia voce si unisca a quella di tantissime altre persone che si rivolgono a lei.
Le chiedo di intervenire in modo concreto su una situazione che intacca la dignità e il rispetto delle persone e della loro intelligenza e soprattutto il decoro del nostro Paese.
Non è più sopportabile la presenza di Berlusconi alla presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana.
Non è più accettabile vedere una carica istituzionale come la sua, Onorevole Presidente, vissuta con onore e rispetto, affiancata dal degrado morale della persona di Berlusconi in quanto primo ministro.
Faccia qualsiasi cosa la Carta Costituzionale le impone di fare in una situazione in cui un'alta carica dello Stato abbia dimostrato altissimo spregio per le Istituzioni.
Cordiali saluti
On. Presidente Napolitano,
spero che la mia voce si unisca a quella di tantissime altre persone che si rivolgono a lei.
Le chiedo di intervenire in modo concreto su una situazione che intacca la dignità e il rispetto delle persone e della loro intelligenza e soprattutto il decoro del nostro Paese.
Non è più sopportabile la presenza di Berlusconi alla presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana.
Non è più accettabile vedere una carica istituzionale come la sua, Onorevole Presidente, vissuta con onore e rispetto, affiancata dal degrado morale della persona di Berlusconi in quanto primo ministro.
Faccia qualsiasi cosa la Carta Costituzionale le impone di fare in una situazione in cui un'alta carica dello Stato abbia dimostrato altissimo spregio per le Istituzioni.
Cordiali saluti
martedì 18 gennaio 2011
sabato 15 gennaio 2011
Sono venuto per servire
Dal Fatto Quotidiano un articolo di Don Gallo
“Il Papa mi delude anche più del Cavaliere”
DON ANDREA GALLO CONTRO LA CHIESA CHE PERDONA TUTTO PER SALVARE I PRIVILEGI
di Beatrice Borromeo
Don Gallo, si stupisce ancora del fatto che la Chiesa non abbia niente da dire?
Sono ripugnato. A 82 anni e mezzo mi sento autorizzato a dire che è insopportabile che non ci sia una presa di posizione contro queste sconcezze. Anzi: le gerarchie ecclesiastiche continuano a sostenere Berlusconi.
C’è una soglia oltre la quale anche il Vaticano dirà “adesso basta davvero”?
Non c’è, perché alla Chiesa non importa più nulla dei poveri e dei deboli. Vive di privilegi, vuole difenderli e ne vuole conquistare di nuovi. Le pare normale che il Papa vada a trovare il sindaco di Roma in Campidoglio il giorno dopo che ha azzerato la giunta?
Quali sono le contropartite concrete, per la Chiesa, di questa benevolenza?
Basti pensare all’8 per mille o ai contributi alle scuole cattoliche, che poi di cattolico non hanno proprio nulla.
Tutto qui?
C’è anche l’esenzione fiscale sugli immobili della Chiesa, che non pagano l’Ici. O le politiche bioetiche. Il Santo Padre è tornato a parlare contro l’educazione sessuale, senza capire che togliere la consapevolezza ai ragazzi è proprio ciò che li spinge a svendersi, drogarsi, autodistruggersi.
Che opinione si è fatto delle ragazzine che, come disse Veronica Lario, “si offrono al drago”?
Il problema è che da almeno un decennio i giovani crescono senza un’idea di futuro, sapendo che non avranno lavoro né aiuti.
Forse però Ruby era soddisfatta di mettere un piede nel mondo di Arcore.
Certe ragazze capiscono che vendersi è una possibilità per ottenere quello che vogliono, ma è anche un processo di autodistruzione con sofferenze indicibili. Nella mia comunità lavoro da anni con le prostitute: sono rovinate, vuote dentro.
Non sviluppano una corazza per evitare di soffrire del loro lavoro?
No. Penso che Ruby e le altre vedano Berlusconi come una porta d’accesso, che sfruttino i suoi vizi. Ma si vergognano, sono schifate da chi hanno davanti. E si fanno anche schifo da sole.
Se i racconti di queste ragazze sono veri, il presidente del Consiglio cerca proprio questo tipo di donna.
Questo perché è un amorale. Un uomo che agisce fuori dalla Costituzione, dalla giustizia, dalla legalità. E dalla civiltà. Dice che lavora tanto e che si toglie qualche sfizio, ma nella sua vita vedo solo sfacelo e tristezza.
I suoi colleghi la pensano diversamente: continuano anche a dargli la comunione.
Sostengono che è single, pur sapendo benissimo che è doppiamente divorziato. Monsignor Rino Fisichella ha detto che bisogna contestualizzare persino le sue bestemmie!
Che effetto ha questa indulgenza ad personam sui fedeli?
Ovviamente si allontanano dalla Chiesa, così come dalla politica. Le gerarchie non capiscono che questa incoerenza farà scomparire la Chiesa, e morire la religione.
Quindi?
Sia i cittadini che la Chiesa devono riscoprire la capacità di indignarsi e di reagire. Perché siamo tutti responsabili.
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