mercoledì 18 agosto 2010

Sogni febbrili

Sogno di un giorno di fine estate

di Ilvo Diamanti
da Repubblica.it

Io mi ammalo raramente. Lo dico e procedo subito al rituale gesto scaramantico. Però quando capita, diciamo una volta ogni dieci anni, capita sempre in ferie. Tra Natale e Capodanno, a Pasqua. O a Ferragosto, appunto. Come quest'anno. Quando, normalmente, mi rifugio a Urbania, città ducale, ai confini con Urbino, dove insegno. Così, tanto per non perdere l'abitudine, visto che io mi affeziono ai luoghi. A Urbania faccio vita di paese, come quando, da ragazzo, vivevo a Bra, poi a Vado Ligure. Sempre al seguito di mio padre, che faceva il militare. Infine, quand'ero adolescente, si stancò di viaggiare, e ci riportò tutti a casa (sua). A Isola Vicentina (per la precisione: a Castelnovo). A Urbania mi sento come allora. Come quand'ero adolescente. Anche se, chiaramente, non ho più l'età. Per cui faccio cose scapestrate. Tiro tardi (tardi) a discutere dei destini del mondo con il sindaco e i miei colleghi. Con il barista. Con gli urbaniesi (di cui spesso, dopo tanti anni, non conosco il nome). Esercito il "cazzeggio estivo", come lo chiama Aldo Grasso (ma per me è una nobile arte). Poi, ancor più tardi, ma davvero tardi, prendo il mio schnautzer nano, e giro per il paese. Eddy Berselli diceva che è un mostro. Diciamo che esagerava. Il cane ha personalità. E poi è piccolino. Ma, per sicurezza, conviene uscire quando c'è poca gente in giro. Urbania è un microcosmo tradizionale. Dove ho tracciato una scia biografica lunga decenni. Punteggiata di eventi familiari e
personali. Spesso lieti, qualche volta dolorosi. Qui ho coltivato rapporti solidi. Torno anche per incontrare gli amici. Alcuni ogni tanto mi lasciano. (Quest'anno mi manca Mario. Non mi dimenticherò mai di lui.) Così, per qualche settimana vivo come una volta. Così, a volte scordo che non ho più l'età. Uscire la notte con Mambo (lo schnautzer), quando piove e fa freddo, lo potevo fare 40-45 anni fa. Ora no. Se no mi ammalo. Soprattutto se sono "rilassato", le difese abbassate, gli anticorpi in vacanza. Così eccoci qui: a letto, con la bronchite e 39 di febbre. A scrivere per passare il tempo, dopo aver letto troppo. A volte il sonno mi prende. E faccio sogni assolutamente folli. Come si conviene ai sogni. Oggi pomeriggio, per esempio, ho sognato che "arrivavano i nostri". I nostri. Pierluigi, Max, Walter, Nichi, il Chiampa, Cacciari, Dario, Matteo. Insieme a Pieferdi, Luca C. d. M. Tutti insieme. Guidati da Tex Willer. (Quello vero, non le molte imitazioni non autorizzate). E ho sognato che "gli altri" tornavano a casa loro. Al lavoro. A fare chi il commercialista di Berlusconi, chi l'avvocato di Berlusconi, chi il consulente fiscale di Berlusconi, chi l'avvocato di Berlusconi, chi l'esperto di immagine e comunicazione di Berlusconi, chi l'avvocato di Berlusconi. E poi quel tale, di cui mi sfugge il nome. Quello che "Napolitano ha tradito la Costituzione". Avvocato anche lui. Magari la Gelmini lo rimanda a studiare.

E lui, Silvio, finalmente impegnato a lavorare per sé e non per noi. A curare i fatti suoi invece dei nostri. In fondo, abbiamo già dato (a lui). Peccato che si tratti solo di sogni febbrili. Però, lo confesso, il risveglio non è stato doloroso. Non saprei perché. Per citare il Filosofo della notte: "La vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere?". Risposta: boh... Preferisco ricorrere alla lezione di un altro filosofo, un po' più profondo (se il Filosofo della notte non si offende): "La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è come vivere. Sfogliarli a caso è sognare". Oggi, sarà perché sono in ferie o perché ho la febbre, ma io preferisco sognare.

(17 agosto 2010)

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