martedì 29 settembre 2009

Il fascismo alle porte

Vignetta di Molly Bezz


Da un post di Piero Ricca uno spaccato dell'azione fascista del governo italiano vista da alcuni giovani dissidenti.

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Caro Piero,

mi chiamo Davide, ho 23 anni, ti scrivo per raccontarvi un fatto del tutto irreale che ieri mi ha avuto come protagonista davanti all’entrata secondaria del Lido di Milano.
Come ben noto, era il giorno del comizio del presidente Berlusconi. Cosi, prendo il mio scooter e vado fuori dal lido per cercare di chiedere un paio di cose al Premier.
Arrivato a destinazione, parcheggio il mezzo in P.le Stuparich e mi siedo sul marciapiede un poco decentrato dall’altra parte dell’entrata, di fianco a due camionette dei carabinieri parcheggiate. Dopo quattro secondi netti arriva il primo carabiniere dicendomi in tono sostenuto che dovevo andare via di li. Ci tengo a precisare che la mia persona si presentava cosi: scarpa da tennis bianca, jeans, maglia nera,felpa a righe, borsa a tracolla con all interno altre due felpe, un libro, un quotidiano, un deodorante. Ero disarmato, senza droghe e null’altro in mio possesso, una personcina a modo, innocua, seduta sul ciglio di una strada di Milano.
Tornando alla descrizione dei fatti, dopo ripetute richieste da parte dell’agente di togliermi di mezzo e altrettanti no in risposta, si presenta un signore ingiaccato e incravattato sulla cinquantina, che con fare paterno mi consiglia di allontanarmi aggiungendo che quelli come me li conosce bene. Alla mia richiesta di spiegazioni, visto che non stavo facendo nulla di male ed ero solo, risponde che non può dirmelo: “segreto di stato!”- gli rispondo con un sorriso a 60 denti. Lui rincara la dose dicendomi anche che in quella strada al momento c’era divieto di sosta e fermata! Al che mi è venuto spontaneo alzarmi e chiedere quale somiglianza trovava tra me e, chessò, un’auto, un motorino, un pullman… I toni cominciano a farsi piu accesi, mi prendono per un braccio e portano davanti al palalido, li mi viene chiesto il documento che senza problema gli consegno, al che il simpatico ometto se ne va in mezzo ad un altro gruppetto di carabinieri e comincia a parlare alla radio, ne avrà per 30 minuti! Nel frattempo continuo a cercare di avere qualche spiegazione sul perché un libero cittadino solo, incensurato, disarmato non possa stare davanti all’entrata di un palazzetto ad aspettare il proprio Presidente del Consiglio, ma nulla: i tutori dell’ordine restano impassibili. Dopo aver chiacchierato al telefono con chissà chi, torna l’ometto incravattato e con lui altri cinque colleghi, che sembrano i Blues Brothers. L’uomo incravattato, indicandomi, chiede ai colleghi se mi conoscevano, loro chiaramente rispondono: “no, mai visto!”; l’incravattato ribatte con un imperativo da film d’azione: “da oggi lo conoscete!”, suscitando in me una fragorosa risata di incredulità! Occhio, lui è quel ragazzo pericoloso che siede sui marciapiedi di Milano, attenzione!
Dopo il simpatico siparietto con i simil Blues Brothers, il nostro eroe decide di tornare al telefono sempre col mio documento in mano, io stufo e parecchio innervosito ormai per la paradossale situazione in cui mi trovavo, decido di estrarre dai pantaloni il cellulare e fare un paio di foto all’agente col mio documento in mano, ma appena il collega mi vede puntare il telefono in direzione dell’ometto, decide di storcermi il polso giustificandosi con un: “cosa stai facendo? di foto non se ne possono fare!”; comincio a chiedere ai carabinieri presenti se si rendono conto che sono parte integrante di un regime, anzi che lo stanno facendo fiorire, esercitando la repressione verso semplici cittadini. Nessuno fiata, tutti in silenzio, io continuo.
Dopo poco torna l’agente col documento e mi invita a prendere lo scooter e andare via subito, io ormai in loop chiedo perchè una persona libera che non sta facendo nulla di male non può stare nemmeno a 300 metri dalla porta da dove poco dopo sarebbe arrivato il Premier. Nessuna risposta. Caro Piero, il mio non è il primo né l’ultimo fatto del genere, però mi sento di raccontarlo a te, per dare a chi legge un motivo in più per riflettere se un sistema politico che non tollera la presenza fisica di un potenziale e pacifico dissidente sia la democrazia che avevano in mente coloro che scrissero la Costituzione, la stessa su cui poliziotti e questori, se non mi sbaglio, dovrebbero aver giurato.

Saluti, Davide

Risposta

Caro Davide,

grazie della lettera. Gli attuali governanti fanno i gradassi ma hanno paura di ogni singola voce di dissenso, di una domanda, di una notizia, di una pernacchia. E per questo condizionano i capi della polizia. Se una voce si leva dal coro qualche testa rischia di saltare. Ecco che allora i capetti schierano in massa la manovalanza. E i soldati semplici eccedono nello zelo pur di non subire lavate di testa dai superiori. C’è da indignarsi ma non da stupirsi: capetti e soldati semplici sono solo rotelle di un ingranaggio gerarchico controllato dalla peggiore classe politica d’Europa: un po’ mafiosa, un po’ fascista, un po’ piduista, un po’ affarista, un po’ secessionista, un po’ clericale, un po’ anzi molto delinquenziale, un po’ anzi prima di tutto democraticamente e moralmente analfabeta. Son passato anch’io ieri davanti al palalido, per registrare l’ennesimo fotogramma da regimetto bananiero. Erano centinaia le rotelle in borghese e in divisa, a proteggere il sorriso di plastica di un pagliaccio in doppiopetto. Un avanzo di tribunale protetto dall’esercito, ecco l’atmosfera: niente male no? Un tipetto così sicuro di sé e dei suoi sondaggi da far sgomberare interi quartieri quando si esibisce in pubblico. Noi eravamo in due, su uno scooter. Appena ci siamo fermati ce ne sono arrivati addosso una mezza dozzina, poi è uscito un tipo tutto leccato, insaccato in un ridicolo gessato. Aveva l’aria del padrone di casa e ci ha consigliato di andarcene avvisandoci che avevano già preso il numero di targa dello scooter. Nemmeno di sederci su una panchina nel parchetto del piazzale ci è stato permesso,”per motivi di sicurezza”. Ci ha raggiunto una coppia di ragazzi che venivano dal comizio, per dirci che se ne andavano nauseati per quello che avevano visto e sentito, per il clima di fanatica intolleranza verso chi non manifestava - con le ovazioni, con i frequenti battimani, con l’espressione del viso - un vivo e sincero entusiasmo per le sparate del leader, una su tutte: le scritte sui muri contro i militari morti a Kabul attribuite con un triplice vergogna all’opposizione parlamentare. Ma qualcuno, dopo il comizio, è riuscito ad avvicinarlo e a compiere il temutissimo agguato: una ragazza giovanissima, ben diversa dalle aspiranti noemi e carfagne… Le rotelle dell’ingranaggio, mai troppo solerti, non hanno riconosciuto in lei la potenziale guastafeste. Ecco la sua lettera. P.

Ciao Piero!

Sono Roberta. Oggi sono andata alla “Festa della Libertà”. Un clima surreale: signorotti con Libero (da quel che ho capito regalato dallo staff) sottobraccio, giovani mamme che insegnavano ai bambini a dire “Silvio”. Dopo esserci sorbiti un’ora e mezza di menzogne e applausi, io e mio papà siamo andati sul retro del palco e sono riuscita ad intrufolarmi. Ho seguito il tuo consiglio: l’ho chiamato per nome, lui felice mi ha stretto la mano e io gli ho detto “Silvio, fai uno smacco ai comunisti, fatti processare, dimostra la tua innocenza in un tribunale, come tutti i cittadini, hai capito? Vai in tribunale, rinuncia al lodo Alfano!” Poi una guardia del corpo mi ha detto che sì, aveva capito e potevo anche andarmene. Mio papà ha filmato l’incontro, ma, a causa della bassa risoluzione della fotocamera e del vociare di osannanti elettori, la qualità non è ottimale. In ogni caso ti farò avere il video al più presto.
Grazie di tutto. Roberta

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