mercoledì 30 settembre 2009
Scudo fiscale: PD assente ingiustificato!
Da un estratto dal "Fatto" di oggi si leggono le cifre dell'opposizione. Il PD così attento alle beghe interne lascia passare lo scudo fiscale con le ASSENZE in aula! Ma per cosa li stiamo pagando questi cialtroni. Bastavano 27 firme per sostenere la pregiudiziale di INCOSTITUZIONALITÀ portata in aula da Italia dei Valori e far cadere il cosiddetto scudo fiscale, che nient'altro è se non un illecito riciclaggio dei fondi neri depositati all'estero da aziende e associazioni mafiose.
4 grandi assenti: Franceschini, Bersani, Rutelli e D'Alema. I Capi. Proprio loro così pronti a mettersi "contro", a parole. Ma in parlamento contano solo i voti amici miei. Continuate a votate PD. Continuate a sentirvi a posto con la coscienza perché avete votato secondo la vostra bella e pulita "ideologia" di sinistra. Non saprei cosa scegliere tra PdL e PDmenoL. Gli uni sono fascisti e delinquenti, gli altri appoggiano da 15 anni dei fascisti e delinquenti. L'alternativa c'è. È Casini da una parte, con l'appoggio della sicilia di Cuffaro e con la maggior percentuale di pregiudicati tra le liste. E dall'altra Di Pietro. Che a parte aver lottato per Mani Pulite ha sicuramente degli scheletri nell'armadio, tipo non aver pagato il bollo del motorino o aver buttato la plastica nel cassonetto della carta o cose del genere. Io di Di Pietro non mi fiderei. Ne parlano bene personaggi come Travaglio e Salvatore Borsellino. E poi di Pietro ha portato in Europa De Magistris che si occupava come magistrato dei miliardi di euro dei fondi europei che spariscono tra la Calabria e la Sicilia e che ora in parlamento europeo si occupa proprio di questa cosa (non solo dei soldi europei che spariscono in l'Italia). In più Di Pietro ha portato in Europa la presidente dell'associazione dei familiari vittime di mafia, Sonia Alfano. Un tema, la Mafia, che forse può interessare l'Europa no? E allora chi può rappresentarci meglio di una persona che l'ha vissuta in prima persona una perdita per mano mafiosa. No dai, votiamo Casini che è così "centrato". Un uomo così equilibrato che non può dire di no a nessun pregiudicato che voglia fare il parlamentare. E poi la gente ha ancora il coraggio di parlare di questione morale...
martedì 29 settembre 2009
Il fascismo alle porte
Da un post di Piero Ricca uno spaccato dell'azione fascista del governo italiano vista da alcuni giovani dissidenti.
Leggi il post originale
Caro Piero,
mi chiamo Davide, ho 23 anni, ti scrivo per raccontarvi un fatto del tutto irreale che ieri mi ha avuto come protagonista davanti all’entrata secondaria del Lido di Milano.
Come ben noto, era il giorno del comizio del presidente Berlusconi. Cosi, prendo il mio scooter e vado fuori dal lido per cercare di chiedere un paio di cose al Premier.
Arrivato a destinazione, parcheggio il mezzo in P.le Stuparich e mi siedo sul marciapiede un poco decentrato dall’altra parte dell’entrata, di fianco a due camionette dei carabinieri parcheggiate. Dopo quattro secondi netti arriva il primo carabiniere dicendomi in tono sostenuto che dovevo andare via di li. Ci tengo a precisare che la mia persona si presentava cosi: scarpa da tennis bianca, jeans, maglia nera,felpa a righe, borsa a tracolla con all interno altre due felpe, un libro, un quotidiano, un deodorante. Ero disarmato, senza droghe e null’altro in mio possesso, una personcina a modo, innocua, seduta sul ciglio di una strada di Milano.
Tornando alla descrizione dei fatti, dopo ripetute richieste da parte dell’agente di togliermi di mezzo e altrettanti no in risposta, si presenta un signore ingiaccato e incravattato sulla cinquantina, che con fare paterno mi consiglia di allontanarmi aggiungendo che quelli come me li conosce bene. Alla mia richiesta di spiegazioni, visto che non stavo facendo nulla di male ed ero solo, risponde che non può dirmelo: “segreto di stato!”- gli rispondo con un sorriso a 60 denti. Lui rincara la dose dicendomi anche che in quella strada al momento c’era divieto di sosta e fermata! Al che mi è venuto spontaneo alzarmi e chiedere quale somiglianza trovava tra me e, chessò, un’auto, un motorino, un pullman… I toni cominciano a farsi piu accesi, mi prendono per un braccio e portano davanti al palalido, li mi viene chiesto il documento che senza problema gli consegno, al che il simpatico ometto se ne va in mezzo ad un altro gruppetto di carabinieri e comincia a parlare alla radio, ne avrà per 30 minuti! Nel frattempo continuo a cercare di avere qualche spiegazione sul perché un libero cittadino solo, incensurato, disarmato non possa stare davanti all’entrata di un palazzetto ad aspettare il proprio Presidente del Consiglio, ma nulla: i tutori dell’ordine restano impassibili. Dopo aver chiacchierato al telefono con chissà chi, torna l’ometto incravattato e con lui altri cinque colleghi, che sembrano i Blues Brothers. L’uomo incravattato, indicandomi, chiede ai colleghi se mi conoscevano, loro chiaramente rispondono: “no, mai visto!”; l’incravattato ribatte con un imperativo da film d’azione: “da oggi lo conoscete!”, suscitando in me una fragorosa risata di incredulità! Occhio, lui è quel ragazzo pericoloso che siede sui marciapiedi di Milano, attenzione!
Dopo il simpatico siparietto con i simil Blues Brothers, il nostro eroe decide di tornare al telefono sempre col mio documento in mano, io stufo e parecchio innervosito ormai per la paradossale situazione in cui mi trovavo, decido di estrarre dai pantaloni il cellulare e fare un paio di foto all’agente col mio documento in mano, ma appena il collega mi vede puntare il telefono in direzione dell’ometto, decide di storcermi il polso giustificandosi con un: “cosa stai facendo? di foto non se ne possono fare!”; comincio a chiedere ai carabinieri presenti se si rendono conto che sono parte integrante di un regime, anzi che lo stanno facendo fiorire, esercitando la repressione verso semplici cittadini. Nessuno fiata, tutti in silenzio, io continuo.
Dopo poco torna l’agente col documento e mi invita a prendere lo scooter e andare via subito, io ormai in loop chiedo perchè una persona libera che non sta facendo nulla di male non può stare nemmeno a 300 metri dalla porta da dove poco dopo sarebbe arrivato il Premier. Nessuna risposta. Caro Piero, il mio non è il primo né l’ultimo fatto del genere, però mi sento di raccontarlo a te, per dare a chi legge un motivo in più per riflettere se un sistema politico che non tollera la presenza fisica di un potenziale e pacifico dissidente sia la democrazia che avevano in mente coloro che scrissero la Costituzione, la stessa su cui poliziotti e questori, se non mi sbaglio, dovrebbero aver giurato.
Saluti, Davide
Risposta
Caro Davide,
grazie della lettera. Gli attuali governanti fanno i gradassi ma hanno paura di ogni singola voce di dissenso, di una domanda, di una notizia, di una pernacchia. E per questo condizionano i capi della polizia. Se una voce si leva dal coro qualche testa rischia di saltare. Ecco che allora i capetti schierano in massa la manovalanza. E i soldati semplici eccedono nello zelo pur di non subire lavate di testa dai superiori. C’è da indignarsi ma non da stupirsi: capetti e soldati semplici sono solo rotelle di un ingranaggio gerarchico controllato dalla peggiore classe politica d’Europa: un po’ mafiosa, un po’ fascista, un po’ piduista, un po’ affarista, un po’ secessionista, un po’ clericale, un po’ anzi molto delinquenziale, un po’ anzi prima di tutto democraticamente e moralmente analfabeta. Son passato anch’io ieri davanti al palalido, per registrare l’ennesimo fotogramma da regimetto bananiero. Erano centinaia le rotelle in borghese e in divisa, a proteggere il sorriso di plastica di un pagliaccio in doppiopetto. Un avanzo di tribunale protetto dall’esercito, ecco l’atmosfera: niente male no? Un tipetto così sicuro di sé e dei suoi sondaggi da far sgomberare interi quartieri quando si esibisce in pubblico. Noi eravamo in due, su uno scooter. Appena ci siamo fermati ce ne sono arrivati addosso una mezza dozzina, poi è uscito un tipo tutto leccato, insaccato in un ridicolo gessato. Aveva l’aria del padrone di casa e ci ha consigliato di andarcene avvisandoci che avevano già preso il numero di targa dello scooter. Nemmeno di sederci su una panchina nel parchetto del piazzale ci è stato permesso,”per motivi di sicurezza”. Ci ha raggiunto una coppia di ragazzi che venivano dal comizio, per dirci che se ne andavano nauseati per quello che avevano visto e sentito, per il clima di fanatica intolleranza verso chi non manifestava - con le ovazioni, con i frequenti battimani, con l’espressione del viso - un vivo e sincero entusiasmo per le sparate del leader, una su tutte: le scritte sui muri contro i militari morti a Kabul attribuite con un triplice vergogna all’opposizione parlamentare. Ma qualcuno, dopo il comizio, è riuscito ad avvicinarlo e a compiere il temutissimo agguato: una ragazza giovanissima, ben diversa dalle aspiranti noemi e carfagne… Le rotelle dell’ingranaggio, mai troppo solerti, non hanno riconosciuto in lei la potenziale guastafeste. Ecco la sua lettera. P.
Ciao Piero!
Sono Roberta. Oggi sono andata alla “Festa della Libertà”. Un clima surreale: signorotti con Libero (da quel che ho capito regalato dallo staff) sottobraccio, giovani mamme che insegnavano ai bambini a dire “Silvio”. Dopo esserci sorbiti un’ora e mezza di menzogne e applausi, io e mio papà siamo andati sul retro del palco e sono riuscita ad intrufolarmi. Ho seguito il tuo consiglio: l’ho chiamato per nome, lui felice mi ha stretto la mano e io gli ho detto “Silvio, fai uno smacco ai comunisti, fatti processare, dimostra la tua innocenza in un tribunale, come tutti i cittadini, hai capito? Vai in tribunale, rinuncia al lodo Alfano!” Poi una guardia del corpo mi ha detto che sì, aveva capito e potevo anche andarmene. Mio papà ha filmato l’incontro, ma, a causa della bassa risoluzione della fotocamera e del vociare di osannanti elettori, la qualità non è ottimale. In ogni caso ti farò avere il video al più presto.
Grazie di tutto. Roberta
domenica 27 settembre 2009
Resistere Resistere Resistere
Guarda l'intervento di Borsellino alla manifestazione delle Agende Rosse.
Salvatore Borsellino ha una forza che in molti dobbiamo imparare ad avere. Muove gli animi.
Manifestazione Agenda Rossa
È importante che tutti partecipino con attenzione (come dice Travaglio "con le antenne alte") a questa fase della storia italiana. Potrebbe essere il momento di fare un po di luce su alcune vicende che hanno devastato la storia d'Italia. Potrebbe esserlo se solo ci fosse molta partecipazione da parte dell'opinione pubblica. Solo con la pressione dell'opinione pubblica i magistrati che stanno cercando di fare il loro dovere sentiranno di avere le spalle coperte e cercheranno di superare la barriera dell'oblio tanto cara a tutti quelli coinvolti in episodi tragici della nostra storia. Stiamo parlando della collusione tra stato e mafia dell'inizio degli anni 90. Quelli, per capirci, che vedranno la nascita del partito Forza Italia, molto molto molto probabilmente appoggiato dalla mafia tramite la connessione offerta da Dell'Utri. Cose che si leggono nella lettera scritta da Provenzano indirizzata a Berlusconi. Lettera di cui parla Massimo Ciancimino (figlio del noto sindaco di Palermo) durante il suo processo. Lettera che è stata trovata nei carteggi della procura di Palermo e che era stata "dimenticata" dall'ex capo procuratore Grasso ora procuratore nazionale antimafia. Grasso è colui che ci assicurava in televisione poco dopo il terremoto dell'Aquila che non ci sarebbero state partecipazioni delle aziende mafiose alla ricostruzione del dopo terremoto!! Se lo dice lui che aveva dimenticato una simile prova nei cassetti della procura c'è da credergli! Siamo in buone mani. Ed è per questo che ieri a Roma hanno partecipato molte persone alla manifestazione delle agende rosse organizzata dal fratello di Paolo Borsellino, Salvatore Borsellino, a sostegno dei magistrati di Palermo, Caltanissetta, Firenze e Milano impegnati nelle indagini sulle stragi del 1992-93 e sul rapporto mafia-politica.
sabato 26 settembre 2009
Presidente non firmi. Ci difenda dallo scudo fiscale.
Firma l'appello di Bruno Tinti al capo dello Stato
Signor Presidente,
il Senato ha approvato l’emendamento Fleres alla legge che ha istituito lo scudo fiscale. Se anche la Camera lo approvasse, Lei resterebbe l’ultima difesa.
Signor Presidente, con questo emendamento una legge già odiosa diventerà uno strumento di illegalità. I beneficiati dallo scudo non potranno essere perseguiti per reati tributari e di falso in bilancio, il mezzo con cui sono stati prodotti i capitali che lo Stato “liceizza”; e intermediari e professionisti che ne cureranno il rientro non saranno tenuti a rispettare l'obbligo di segnalazione per l'antiriciclaggio; insomma omertà, complicità, favoreggiamento.
Le prime due previsioni, in realtà, non cagioneranno un grave danno al concreto esercizio della giustizia penale: da anni (dal 2000) una legge costruita all’esplicito scopo di impedire i processi penali in materia di reati fiscali assicura l’impunità alla quasi totalità degli evasori. Perché l’evasione fiscale costituisca reato bisogna evadere un’imposta superiore a 103.000 euro per ogni anno di imposta; e i casi di evasione superiori a tale soglia si aggirano intorno al 10 % del totale. E’ormai impossibile celebrare un processo per falsa fatturazione, e dunque anche per frode all’Iva comunitaria: quando si scopre una “cartiera” (una società che emette fatture false) e quindi si scoprono gli “utilizzatori finali” (secondo una recente definizione che ha avuto molto successo) di queste fatture, poi non si può fare un unico processo ma tanti quanti sono i luoghi in cui questi utilizzatori hanno il loro domicilio fiscale; il che è fonte di tali sprechi di tempo e di risorse da garantire nella quasi totalità dei casi la prescrizione. Infine, una delle forme più insidiose di evasione fiscale, quella commessa mediante la sistematica falsificazione della contabilità (il sistema seguito dalla quasi totalità degli evasori), è stata considerata un reato lieve, punito con una pena massima di 3 anni di reclusione; il che significa che nessuno va mai in prigione per via di sospensione condizionale della pena, indulto, affidamento in prova al servizio sociale.
Quanto al falso in bilancio, non è certo una novità che dopo la riforma della legislazione societaria voluta dal governo Berlusconi (che ha consentito allo stesso Berlusconi di essere assolto in molti processi in cui era imputato per questo reato), in Italia di processi del genere non se ne fanno più: il falso in bilancio è divenuto un reato fantasma, che c’è in astratto ma non si processa mai in concreto.
Ma la nuova legge contiene una norma che è una calamità: essa assicura l’impunità a trafficanti di droga, di armi, di donne, sequestratori di persona e altri delinquenti di grosso livello.
Signor Presidente, il danaro non ha colore, non odora diversamente a seconda del reato da cui deriva, non ha etichette che lo identifichino. Il provento dell’evasione fiscale e del falso in bilancio non si differenzia visivamente dal riscatto pagato dalla famiglia del sequestrato o dal ricavo del traffico di esseri umani. I trafficanti di droga colombiani portano il loro denaro a Miami e lo “ripuliscono” pagando circa il 50 per cento: questo è il prezzo del riciclaggio. Se passasse questa legge, avremmo un riciclaggio di Stato, per di più assolutamente concorrenziale con quello praticato dai professionisti del settore: lo scudo fiscale costa solo il 5 per cento.
E’ vero, la nuova legge prevede che la possibilità per banche e altri intermediari di non rispettare l'obbligo di segnalazione per l'antiriciclaggio sia limitata ai reati fiscali e al falso in bilancio. Ma, signor Presidente, chi glielo spiegherà alle banche (che certamente non hanno molto interesse a scoraggiare queste iniziative da cui ricavano dei bei soldi) che i capitali che rientrano provengono da un traffico di armi e non da evasione fiscale? Come distinguere il provento dell’evasione fiscale da quello di altri truci e violenti delitti?
Non si può, signor Presidente: questa legge garantirà ai peggiori delinquenti una prospera e sicura verginità.
Signor Presidente, questa legge è una bandiera dell’illegalità: dove non avrà concreti effetti sul piano penale, trasmetterà un messaggio di opportunismo: renderà evidente a tutti che adempiere ai propri obblighi tributari, a principi etici irrinunciabili nella gestione delle imprese, è un’ingenuità, peggio è antieconomico. E’ una legge criminogena perché favorirà la futura evasione fiscale, convincendo tutti che “pagare le tasse” è cosa inutile, perfino stupida, tanto, prima o poi…. E dove invece e purtroppo avrà concrete conseguenze, si tratterà di un formidabile favoreggiamento nei confronti delle forme più gravi di delinquenza organizzata. Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Magistratura non potranno nemmeno trovare le prove di questireati, forse conosciuti per altre vie, poiché il provento del reato sarà ormai sparito.
Signor Presidente non firmi questa legge; eviti che il nostro Paese sia sospinto ancora più in fondo nel precipizio di illegalità, peggio, di immoralità che ci sta separando dai Paesi civili.
venerdì 25 settembre 2009
Indagato Angelino Jolie
mercoledì 23 settembre 2009
È uscito Il Fatto Quotidiano
La buona notizia è che tutte le copie oggi sono state vendute e che da domani aumenteranno il numero di copie da distribuire. E un'altra buona notizia è che il primo numero può essere prenotato nei prossimi giorni in edicola per quelli come me che ci tengono ad avere un uscita storica!
Di seguito il post originale della redazione:
Cari amici, come molti di voi sanno, alle 8 di questa mattina Il Fatto Quotidiano era già esaurito in tutte le edicole. Nonostante la giusta delusione dei tanti che non hanno potuto comprare il giornale, si tratta di una buona notizia. Stiamo monitorando le centinaia di messaggi che stanno arrivando nel blog e stiamo prendendo i necessari provvedimenti per far fronte alle vostre richieste.
In via del tutto eccezionale, e solo per oggi, mettiamo online il giornale in versione pdf, in modo che tutti coloro che non l’hanno trovato in edicola possano scaricarlo.
Domani raddoppiamo la tiratura, e mandiamo in edicola 200mila copie. Insieme al secondo numero, troverete anche una tiratura limitata del giornale di oggi, ma solo in alcune edicole. Su prenotazione all’edicolante potrete prenotare il primo numero anche nei giorni successivi. Ci scusiamo con i nostri abbonati alla versione online per i disguidi dovuti all'afflusso contemporaneo di migliaia di utenti. Risponderemo a tutte le segnalazioni relative all'abbonamento postale.
Ultima notizia: è in corso in queste ore la distribuzione straordinaria nelle edicole di Milano città. Abbiamo provato a fare lo stesso a Roma, ma purtroppo non è stato possibile. Insomma, non vi lasciamo soli. Vi chiediamo solo di avere un po' di pazienza in queste ore frenetiche.
Grazie per la fiducia che continuate a rinnovarci.
La direzione
*****
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giovedì 17 settembre 2009
L’Avvocato dello Stato
di Marco Travaglio
Nell’ambito della privatizzazione dello Stato e delle sue istituzioni, ce ne siamo appena giocate altre due: l’Avvocatura dello Stato e forse un pezzo di magistratura. Ieri la Corte d’appello di Palermo ha rifiutato di esaminare le nuove prove a carico di Marcello Dell’Utri: le dichiarazioni di Massimo Ciancimino sulle tre lettere (una delle quali sequestrata nel 2005 in casa Ciancimino e rimasta sepolta in procura per quattro anni) che Provenzano avrebbe scritto a Berlusconi facendogliele recapitare da Dell’Utri.
La possibilità che Dell’Utri fungesse da pony express fra il boss e il premier avrebbe dovuto quantomeno incuriosire la Corte che sta processando Dell’Utri per il suo ruolo di trait d’union fra la mafia e il Cavaliere. Invece il presidente Dall’Acqua se n’è uscito con un’ordinanza in cui spiega che la lettera e i verbali di Ciancimino non contengono “fatti riconducibili a Dell'Utri suscettibili di utile rilievo processuale”. Curioso argomentare: un tizio è imputato, poniamo, per essere il galoppino del clan dei Marsigliesi. Poi, durante il processo, salta fuori la prova che il capo dei Marsigliesi lo usava come galoppino. E i giudici che fanno? Dicono che la nuova prova è inutile: in fondo si riferisce solo ai rapporti fra i Marsigliesi e il tizio imputato per i suoi rapporti con i Marsigliesi. Speriamo che la Corte riscopra i fondamenti della logica in tempo per la sentenza.
Intanto l’avvocato dello Stato Glauco Nori si precipita alla Consulta per difendere la costituzionalità del Lodo Alfano. Ma, per la strada, è colto da una drammatica crisi d’identità e non riesce più a distinguere tra lo Stato e Berlusconi, né tra se stesso e Ghedini. Stando al sito ufficiale dell’Avvocatura dello Stato, questa è “un ‘pool’ di giuristi specializzati che rappresenta e difende in giudizio l'amministrazione statale e, più in generale, tutti i poteri dello Stato…”. Cioè dovrebbe difendere la norma generale e astratta, se ci riesce. Nori invece ne difende l’utilizzatore finale. Dice che il Lodo va mantenuto non perché sia conforme alla Costituzione (vien da ridere anche a lui); ma perché, se fosse bocciato, Berlusconi tornerebbe imputato e sarebbe costretto alle dimissioni. Curioso argomentare anche questo: Berlusconi è stato rinviato a giudizio una ventina di volte in 15 anni e non s’è mai sognato di dimettersi (nemmeno quando fu condannato per tre volte in primo grado nel 1997-98); lui stesso ha sempre detto che non si dimetterà mai, nemmeno se condannato in via definitiva, anche perchè nessuno della finta opposizione gliel’ha mai chiesto; in tutto il mondo libero i premier imputati si dimettono all’istante, ma raramente vengono imputati perché all’estero non si usa candidare inquisiti.
L’avvocato dello Stato, con grave sprezzo del ridicolo, aggiunge che, se Berlusconi tornasse imputato, la stampa potrebbe seguire i suoi processi con “formule suggestive”, con uno “stile giornalistico” che a lui non garba e naturalmente con “fughe di notizie coperte dal segreto”. Forse questo Ghedini aggiunto ignora che la stampa è libera di usare le “formule” e lo “stile” che le pare senza chiedere il permesso all’Avvocatura dello Stato; e le fughe di notizie riguardano le indagini preliminari, mentre i dibattimenti sono pubblici e privi di segreti: e il Lodo blocca i dibattimenti, non le indagini. La prossima volta, prima di aprire bocca, l’avvocato dello Stato chieda in giro la differenza che passa fra lo Stato e Berlusconi. Dopodichè si consulti con il Ghedini vero: nemmeno lui avrebbe osato dire simili scempiaggini. E comunque,anche quando le dice, è pagato da Berlusconi. L’Avvocato dello Stato, invece, lo paghiamo noi.
Mai come ora la mafia al potere
Per chi si fosse perso l'ultimo Passaparola ripropongo il video di Travaglio, è un "must", buona visione!
domenica 13 settembre 2009
Ecce PD
Ha il coraggio di dire che si è fatto da parte!!!! Per proteggersi dal processo Unipol ha lo scudo del NO del parlamento europeo (cioè dei parlamentari italiani del centro destra e centro sinistra esclusi i soliti di IdV) alla richesta a procedere...e lui si è fatto da parte? Mavalà, mavalà, mavalà!
sabato 12 settembre 2009
Problemi di prostata
Marco Travaglio
da l'Espresso in edicola
I processi contro 'la Repubblica' e 'l'Unità', denunciate da Silvio Berlusconi per 1 e 2 milioni di euro di danni, si annunciano avvincenti e spettacolari quant'altri mai. Da mettersi in fila e pagare il biglietto. Il civilista del premier Fabio Lepri (studio Previti) intravede un "animus diffamandi" in vari articoli che mettono in dubbio l'efficienza degli apparati riproduttivi dell'illustre cliente presentando "il dottor Berlusconi come soggetto aduso a pretese iniezioni sui corpi cavernosi del pene o affetto da problemi di erezione". Com'è noto, l'onere della prova tocca a chi accusa. Infatti il penalista del capo del governo, on. avv. prof. Niccolò Ghedini, ha già annunciato al 'Corriere' che l'insigne assistito, in precedenza definito eventuale "utilizzatore finale" di escort, "è pronto ad andare in aula a spiegare che non solo non è un gran porco, ma nemmeno impotente". Anzi, di più: intende "spiegare a venti milioni di italiani, suoi affezionati elettori, che è perfettamente funzionante". Al momento non è dato sapere in quali forme l'utilizzatore darà in aula la plastica dimostrazione del perfetto funzionamento. Ma converrà esserci quel giorno in aula. Anche perché i legali di 'Repubblica' e 'Unità' potrebbero citare un testimone che la sa lunga in materia. Uno che il 27 giugno 2008 titolò su 'Libero' a tutta prima pagina: "Il guaio di Silvio è la gnocca". E un anno dopo, 19 giugno 2009, con agile piroetta, scrisse sempre su 'Libero' a proposito dei casi Noemi & Patrizia: "Il Cavaliere è accusato di fare ciò che dubito possa fare: dedicarsi a una sfrenata attività sessuale. Fantasie. Frequento da alcuni anni gli urologi. Questioni di prostata, data l'età. Se hai un cancrone proprio lì, la prostata va eliminata col tumore. E allora addio rapporti. Facendo strame della privacy, affermo che Silvio nel '96 fu operato di cancro alla prostata al San Raffaele. Non racconto balle se dico buonanotte al sesso. Berlusconi ha 73 anni, non ha più la prostata. La scienza fa miracoli tranne uno: quello. Ma vi sono quotidiani che hanno sprezzo del ridicolo, e insistono. Fossi in Silvio avrei la tentazione di sbandierare in tv il certificato del dottore". L'autore del dolce stilnovo si chiama Vittorio Feltri e non è omonimo dell'attuale direttore de 'il Giornale'. È proprio lui: lo stesso che ora, con grave sprezzo del pericolo, pubblica le denunce integrali ai due quotidiani che, come lui, han dubitato della virilità del Capo. In attesa che Lepri e Ghedini denuncino pure lui, c'è una sola faccia più tosta della sua: quella di un tizio che, quando Feltri fu condannato a 18 mesi per aver diffamato il defunto senatore Chiaromonte sul caso Mitrokhin, ululò sdegnato contro il malvezzo di denunciare e condannare i giornalisti: "Resto sconcertato alla notizia che Feltri venga condannato per un reato di opinione. A questo punto è definitivamente urgente depenalizzare i reati a mezzo stampa" (Ansa, 13 febbraio 2006). Era Silvio Berlusconi. Poi, col lodo Alfano, ha abolito soltanto i suoi.
Nuova lettera di Santoro alla Rai
p.c. al Direttore di Raidue
Gentile Direttore,
da più di una settimana i nostri spot giacciono presso gli “uffici competenti” e non vengono trasmessi. Nel frattempo sono diventati i più visti su Youtube in Italia e tra i primi dieci al mondo. Sempre su Youtube sono anche al primo posto per gradimento. Ma forse a lei e al Direttore di RaiDue non piacciono. Perché? Intendete sostituirli? E con cosa e quando intendete farlo, visto che gli spot di altre trasmissioni sono in onda da mesi, mentre RaiDue non da’ notizia dell’inizio di Annozero previsto per il 24 settembre?
Resto in attesa di una risposta e invio cordiali saluti
Michele Santoro
Guarda gli spot di Annozero
con Marco Travaglio
con Vauro
giovedì 10 settembre 2009
Giovedì 24 settembre ricomincia Annozero
Santoro ha vinto la sua battaglia legale contro la Rai, cioè contro l'editto bulgaro, ma non ancora contro il subdolo ostruzionismo che gli stan facendo in questi giorni. Aiutiamolo tutti. Diffondi anche tu gli spot del suo programma. Di seguito pubblico la lettera che Santoro ha mandato agli iscritti alla sua newsletter.
Cari amici, sono Michele Santoro e ho bisogno del vostro aiuto. Mancano pochi giorni alla partenza e la televisione continua a non informare il ...pubblico sulla data d'inizio di Annozero. Perciò vi chiedo di inviare a tutti i vostri amici e contatti su Internet gli spot che abbiamo preparato a questo scopo e che non vengono trasmessi.
Qui trovate i nostri spot Su Youtube:
Primo spot:
Secondo spot:
Su Rai.tv:
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/
E come sempre il nostro sito
http://www.annozero.rai.it/
mercoledì 9 settembre 2009
Lettera di Santoro alla Rai
Ecco la lettera che Michele Santoro oggi ha inviato al direttore generale della Rai Mauro Masi, al direttore di Raidue Massimo Liofredi e ai consiglieri di amministrazione, a proposito della nuova edizione di Annozero, che dovrebbe debuttare giovedì 24 settembre.
Gentili Direttori,
a due settimane dalla partenza di Annozero nessuno dei contratti dei miei collaboratori è stato ancora firmato. Allo stesso modo, con grave pregiudizio del lavoro preparatorio del programma, non sono stati resi operativi gli accordi con operatori e tecnici che sono essenziali per le riprese esterne e le inchieste. Inoltre non sono stati diffusi gli spot che annunciano la data di inizio di Annozero. Devo dire che una simile situazione non si era mai verificata da quando lavoro in televisione, né era mai accaduto che obiezioni e perplessità in materia editoriale si presentassero sotto forma di impedimenti burocratici; perché questo modo di fare non può che minare l’autonomia dell’Azienda e le sue finalità produttive.
Nonostante le vostre ripetute assicurazioni di questi giorni e nonostante l’atteggiamento di grande collaborazione da me tenuto, la situazione non è sostanzialmente cambiata. Mi risulta che anche altri programmi di punta del servizio pubblico, in particolare di Raitre, abbiano gli stessi problemi e si trovino a dover superare ostacoli pretestuosi per la messa in onda. Si tratta di pezzi pregiati che offrono al pubblico importanti motivazioni per continuare a pagare il canone e contemporaneamente risultano tra i più appetibili per la pubblicità in un momento assai difficile del mercato.
Voi stessi mi avete comunicato (quasi come un ordine) la decisione di introdurre in Annozero un terzo break pubblicitario. A prescindere dalla discutibile decisione, ciò conferma che siamo una delle pochissime trasmissioni della Rai ( credo si contino su una sola mano) che con le entrate degli spot supera abbondantemente i costi del programma. La nostra media del 16,70 per cento di share supera di sei punti la media di rete per 34 prime serate; un’eventuale soppressione del programma aprirebbe un buco difficilmente colmabile nella programmazione, arrecando un danno ai bilanci della Rai valutabile in decine di milioni di euro.
Dal momento che giornali e agenzie vicini al Presidente del Consiglio continuano a diffondere notizie su vostre intenzioni che a me non risultano ma che voi non provvedete a smentire, sono costretto a ricordare, a voi prima di tutto ma anche al Presidente della Rai e ai Consiglieri di amministrazione, che io sono in onda non per le decisioni di un partito ma per una sentenza della magistratura interamente confermata in appello. Perciò pende un procedimento presso la Corte dei Conti che vorrebbe attribuire a responsabilità individuali i costi che la Rai ha dovuto accollarsi per le condanne subite.
Vi comunico quindi che io non intendo rinunciare a quanto le sentenze stabiliscono; e, nell’interesse dell’Azienda, mi aspetto che si recuperi il tempo perduto siglando tutti i contratti (e tra essi quello di Marco Travaglio), da noi predisposti più di due mesi fa, prima che Annozero fosse presentato a Milano agli investitori pubblicitari come un punto di forza del palinsesto autunnale. In questo modo potremo finalmente lavorare serenamente.
Roma, 8 settembre 2009
Michele Santoro
lunedì 7 settembre 2009
Passaparola: Colpirli tutti!
Buongiorno a tutti. Oggi non ci vediamo perché sono ancora convalescente da un piccolo intervento chirurgico, e dunque mi scuserete se comunico con voi con un mezzo più arcaico, la scrittura. Ma l’importante, specie di questi tempi, è comunicare. Lunedì scorso abbiamo parlato dell’attacco squadristico di Feltri al direttore di Avvenire, sputtanato dal Giornale (si fa per dire) e da Libero (si fa sempre per dire) perché, dopo anni di fiancheggiamento filoberlusconiano, aveva osato prudentissimamente criticare sul giornale dei vescovi italiani certe condotte tutt’altro che private del nostro presidente del Consiglio. Dino Boffo è stato costretto a dimettersi non per quel fiancheggiamento imbarazzante, e nemmeno per il suo reato di molestie ai danni di una ragazza di Terni che gli è costato una condanna a 516 euro di ammenda (con un decreto penale al quale non si è opposto, e non con patteggiamento come sembrava una settimana fa). Ma per una delle poche cose giuste che ha fatto: le critiche, per quanto pallide e tardive, a Berlusconi. Leggendo Il Giornale, che aveva rispolverato la notizia già data in breve da Panorama e dal blog di Mario Adinolfi, pareva che negli atti del processo si parlasse anche dell’omosessualità di Boffo come possibile movente di quelle molestie a una donna presentata come compagna del suo ex fidanzato. In realtà si è scoperto che Il Giornale non possedeva quegli atti, ma soltanto il casellario giudiziale di Boffo in cui risultava la condanna, ma non il racconto dei fatti. Casellario giunto in forma anonima con allegata la famosa lettera anonima spacciata dal Giornale per una “nota informativa” di fonte poliziesca o giudiziaria. Non si riesce mai a pensar male nemmeno delle persone di cui già si pensa tutto il male possibile: non credevo che Feltri e i suoi cosiddetti cronisti si sarebbero spinti a riferire un anonimo che parlava di Boffo come di un omosessuale senza possedere uno straccio di carta che lo confermasse. Invece s’è poi scoperto che le cose sono andate così. Quindi confermo tutto ciò che ho detto lunedì, compresa la considerazione (avvalorata anche da un’analoga osservazione dello scrittore cattolico Vittorio Messori sul Corriere della sera di ieri) che la Cei avrebbe dovuto allontanare Boffo una volta appurato che era stato condannato per molestie, sia per una questione di dignità e di coerenza, sia per non seguitare ad affidare l’intero apparato comunicativo della Chiesa italiana a un soggetto così discutibile e ricattabile. Non posso invece confermare la faccenda dell’omosessualità: a parte la lettera anonima, al momento non c’è alcuna fonte che riferisca dell’omosessualità dell’ex direttore di Avvenire. Il quale però, sia detto per inciso, è l’unico in possesso degli atti del suo processo: se davvero, come dice, in quegli atti non c’è nulla di infamante, o imbarazzante o incoerente, avrebbe il dovere di renderli pubblici per chiudere finalmente questa vicenda e inchiodare gli squadristi alle loro responsabilità.
Detto tutto ciò, non c’è stato soltanto il caso Boffo. Feltri è stato di parola, e in questa settimana s’è dedicato a massaggiare altri giornalisti e politici che hanno il grave torto di dare fastidio a Berlusconi. Alcuni fanno (o facevano) gli imprenditori, come De Benedetti, Agnelli, la famiglia Moratti: di questi non mi occupo, perché hanno tutti i mezzi per difendersi (o, per i defunti, di farsi difendere dagli eredi). Altri invece fanno i giornalisti, come Ezio Mauro, direttore di Repubblica, tirato in ballo per le modalità di pagamento della sua casa. O come Federica Sciarelli, sbattuta in prima pagina sul Giornale di ieri perché – udite udite – è amica del pm Henry John Woodcock e soprattutto ha scoperchiato, nel suo programma su Rai3, alcuni misteri d’Italia che riguardano il Cavaliere e i suoi cari. E si appresta a ricominciare sull’unica rete Rai che il premier ancora non controlla (ma ci sta lavorando, con la soluzione Minoli). Dunque, giù botte a Federica Sciarelli. Ma ieri il Giornale ne aveva anche per Napolitano, reo di aver ricordato il dramma dei precari e dei disoccupati: Feltri l’ha subito fucilato con un bel paginone dal titolo “Lavoro, i dati che contraddicono il Colle”. Così la prossima volta impara. Già che c’era, il Giornale ha fatto due pagine contro Di Pietro, riciclando la vecchia notizia della sua sospensione dall’ordine degli avvocati perché aveva rifiutato di seguitare ad assistere un suo amico una volta scoperto che aveva ammazzato la moglie. Giusto: un avvocato che rifiuta di difendere un colpevole va punito, invece chi difende solo i colpevoli va dritto e filato in Parlamento. Nel frattempo il premier metteva a posto l’Unità e Repubblica, chiedendo rispettivamente 1 e 2 milioni di danni per vari articoli che mettevano in dubbio la sua virilità, mentre, come annuncia Ghedini al Corriere della sera, “Berlusconi è pronto ad andare in aula a spiegare che non solo non è un gran porco, ma nemmeno impotente” e addirittura a “spiegare a venti milioni di italiani, suoi affezionati elettori, che è perfettamente funzionante”. Abbiamo un utilizzatore finale di mignotte perfettamente funzionante, e ci lamentiamo pure.
Naturalmente l’utilizzatore finale può denunciare chi gli pare, ma non può essere a sua volta querelato: se uno lo critica finisce in tribunale, mentre se lui insulta noi non possiamo querelarlo perché è invulnerabile, immunizzato dal lodo Alfano. Il 6 ottobre potrebbe non esserlo più: la Corte costituzionale, compresi i due giudici che vanno a cena con lui e con Alfano, deciderà sulla costituzionalità o meno del Lodo. Ma Maurizio Gasparri, capogruppo del partito di maggioranza relativa al Senato, ha detto alla Summer School del Pdl a Frascati che, se la Consulta dovesse bocciare la il Lodo, “troveremo un avvocato, un Ghedini o un Ghedoni, che troverà un cavillo”. Così il Capo continuerà a utilizzare e noi a essere utilizzati.
Anche “Libero” ci mette del suo e pubblica addirittura le mail private di alcuni magistrati che frequentano la mailing list di Magistratura democratica: non so se vi rendete conto, le mail private. Vuol dire che qualcuno sta spiando le mail dei magistrati e poi le passa ai quotidiani del centrodestra. Quelli che tuonano ogni giorno in difesa della privacy, quando viene fotografato Berlusconi, cioè l’uomo pubblico che meno ha diritto alla privacy visto che è il capo del governo e, come dice persino sua figlia Barbara, non può separare la sua vita privata da quella pubblica. Del resto Il Giornale e Libero hanno persino pubblicato la foto della ragazza molestata da Boffo: e il Garante della Privacy, quello che strilla per le foto di Zappadu a Villa Certosa e all’aeroporto di Olbia, zitto e muto. E la Procura di Roma, quella che incrimina Zappadu e sequestra le sue foto a gentile richiesta di Palazzo Chigi, ferma immobile. Stiamo parlando delle foto di una ragazza che è stata vittima di un reato di molestie e che si vede sbattuta sui giornali, così adesso tutti sanno chi è. E nessuno dice niente. E nessuno fa niente. Nemmeno i sedicenti “liberali” che tromboneggiano in difesa della privacy sul Corrierone.
La guerra dei dossier è appena agli inizi. “Cominciamo da Dino Boffo”, aveva scritto Feltri dieci giorni fa, ed è stato di parola. La lista è lunga. Ora chiunque voglia fare una sia pur timida critica all’Utilizzatore, sa che l’indomani potrebbe ritrovarsi il suo dossier su uno dei giornali dell’Utilizzatore: una foto in compagnia di una ragazza, un contratto di locazione, una mail privata, o magari un fascicolo di Pio Pompa. Già, perché ce lo siamo scordato, ma tre anni fa saltò fuori un archivio illegale del Sismi, diretto dal generale Niccolò Pollari, fedelissimo di Berlusconi. E’ bene ricordare di che si trattava, per capire come lavora questa gentaglia.
Il 5 luglio 2006, su ordine della Procura di Milano, gli agenti della Digos fecero irruzione in un palazzo in via Nazionale 230, a Roma. E lì, al sesto piano scala B interno 12, trovarono un mega-appartamento di quattordici stanze dove viveva giorno e notte, ma soprattutto lavorava tra una decina di computer perennemente accesi, un signore abruzzese di 55 anni, “analista” di fiducia di Pollari. Il quale, invece di individuare i nemici dello Stato e le minacce per la sicurezza nazionale, schedava potenziali nemici dell’amato premier Berlusconi: nei cassetti, negli schedari, nelle casseforti e nei computer dell’appartamento di via Nazionale, la Polizia trova centinaia di appunti, report e dossier su politici, magistrati, imprenditori, giornalisti, dirigenti delle forze dell’ordine e dei servizi di sicurezza, oltre alle prove dell’attività di disinformatija svolta da Pompa per conto di Pollari recapitando e facendo pubblicare “veline”, perlopiù inattendibili, da giornalisti amici. Tra l’altro, saltano fuori alcune ricevute che documentano i pagamenti a uno dei giornalisti più fidati del giro Pompa: l’allora vicedirettore di “Libero” Renato Farina che, negli anni, aveva percepito almeno 30mila euro, in violazione della legge istitutiva dei servizi segreti, per pubblicare notizie tanto “ispirate” quanto false in tema di lotta al terrorismo. Farina ha poi patteggiato la pena per aver depistato le indagini sul sequestro di Abu Omar, in cui il Sismi di Pollari era invischiato fino al collo, e dunque oggi è deputato del Pdl ed è appena riapprodato da Libero al Giornale, al seguito di Feltri. Pompa e Pollari sono stati rinviati a giudizio nel processo per il sequestro di Abu Omar. Nell’ufficio occulto di Pompa in via nazionale, la Digos ha sequestrato un report di ventitré pagine, nove delle quali scritte a macchina e datate 24 agosto 2001, in cui si proponeva di “neutralizzare e disarticolare anche con mezzi traumatici” gli oppositori veri o presunti del secondo governo Berlusconi, all’epoca appena nato. Tra i personaggi schedati o spiati o attenzionati in quelle liste di proscrizione, c’erano molti nomi, fra i quali: l’allora direttore dell’Unità Furio Colombo e quello di Micromega, Paolo Flores d’Arcais, nonché l’editore del gruppo Espresso-Repubblica, Carlo De Benedetti. E poi i pm antimafia di Palermo: Antonio Ingroia, Gioacchino Natoli, Alfonso Sabella, Teresa Principato, con l’ex procuratore Gian Carlo Caselli. Naturalmente non mancavano i migliori magistrati milanesi: Edmondo Bruti Liberati, Fabio De Pasquale, Giovanna Ichino, Corrado Carnevali, Fabio Napoleone e tutto il pool Mani Pulite: Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D’Ambrosio, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo, Ilda Boccassini, Francesco Greco, Margherita Taddei. E poi altri giudici perbene come Mario Almerighi, Libero e Paolo Mancuso, Loris D’Ambrosio, Gianni Melillo, Elisabetta Cesqui, Giovanni Salvi, Corrado Lembo, Vittorio Paraggio, Felice Casson, Alberto Perduca, Mario Vaudano. E perfino magistrati stranieri come lo spagnolo Baltasar Garzòn e i francesi Anne Crenier ed Emmanuel Barbe. In tutto il Csm denuncerà che il servizio segreto militare aveva controllato, oltre a mezza Procura di Milano, 10 consiglieri (o ex) del Csm, 2 ex presidenti dell’Anm e 203 giudici di dodici Paesi europei (di cui 47 italiani). E poi il sociologo Pino Arlacchi, ora europarlamentare dell’Idv; politici di sinistra come Violante, Visco, Brutti, Maritati; l’allora dipietrista Elio Veltri, e l’attuale numero due dell’Idv Leoluca Orlando. In un altro appunto sequestrato in via Nazionale, si leggeva: “Si è avuta notizia che, sui recenti attacchi portati da alcune testate giornalistiche, avrebbero essenzialmente interagito: il nutrito gruppo di giornalisti e ‘giuristi’ militanti raccolto intorno alla ‘Voce della Campania’ diretta da Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola; Michele Santoro; Giuseppe Giulietti; Paolo Serventi Longhi; Ignazio Patrone; Sandro Ruotolo e Giulietto Chiesa; il presidente della stampa estera in Italia Eric Jozsef, corrispondente del giornale francese Libération”. Naturalmente, tra i giornalisti spiati e controllati, anche con apposite barbefinte mandate a sorvegliare le presentazioni dei nostri libri, c’eravamo pure Gianni Barbacetto, Peter Gomez e il sottoscritto.
Insomma, un bel po’ di collaboratori del Fatto Quotidiano. Già, perché oggi c’è anche qualche buona notizia. Gli abbonati al Fatto Quotidiano sono già 25 mila e continuano ad aumentare. Fra qualche giorno saremo in grado di pubblicare sul sito antefatto.it l’elenco delle città e delle località in cui il nostro nuovo giornale arriverà nelle edicole e dove no. Per questo gli abbonamenti in offerta col supersconto (vedi sempre www.antefatto.it) sono prorogati fino all’uscita del Fatto Quotidiano. Che è fissata per mercoledì 23 settembre. Ormai ci siamo, il conto alla rovescia è partito, mancano soltanto due settimane. Ci vediamo lunedì prossimo, intanto passate parola."
Marco Travaglio
sabato 5 settembre 2009
Mavalà!
Solo in ItaGlia si può dire il falso durante un TG. E pensare che Rete4 è ABUSIVA. Dice Umilio: "le 10 domande di Repubblica sono ormai un tormentone. Ma l'opinione pubblica conosce le risposte". Mavalà!
venerdì 4 settembre 2009
Videoracy da esportazione
Trovo in un blog molto interessante la spiegazione molto dettagliata della situazione Italia-Libia che abbiamo potuto seguire nei giorni scorsi anche su giornali come l'eroina dell'informazione Repubblica. I nostri eroi però non sono riusciti a dare una quadro completo delle intenzioni nascoste del nostro Premier quando è stato in Libia. Ricordate la polemica delle frecce tricolori? Leggete qua e decidete voi, se la notizia da dare era sui colori delle scie delle frecce (tricolore o solo verde) oppure...il tentativo di creare una Videocracy magrebina...
Devo ringraziare @rafik, amico tunisino di Twitter, per avermi distolto dall’abbuffata televisiva di soap opera arabe e fatto notare la più bella messa in scena di questa stagione 2009. “Ehi, c’è Berlusconi, il vostro Presidente, sulla tv tunisina!”. Ah, si?! Domenica scorsa, a fare gli auguri agli arabi per l’inizio del mese sacro di Ramadan, c’era il nostro Presidente in persona. Anzi, in realtà gli auguri erano tutti per il lancio della “sua” tivvù, Nessma, sede in Tunisia: “Una televisione che nasce è sempre un miracolo. Nell’epoca moderna niente può influenzare la gente come la televisione..la stampa è ben lontana dal farlo”, dice Berlusconi tutto fiero, in francese (il video integrale dell’intervista, durata 40 minuti, è visibile online all’indirizzo http://www.nessma.tv/ness_nessma_replay.php?ep=20&open=0).
La settimana scorsa Berlusconi è volato in Tunisia per incontrare il Presidente Ben Ali e visitare il set dove è stato ricostruito il villaggio siciliano di “Baaria”, il film di Tornatore che aprirà la Mostra del Cinema di Venezia e che il premier ha prodotto insieme al magnate tunisino Tarek Ben Ammar. Berlusconi è legato a Ben Ammar da lunga data: “Ci conosciamo da 25 anni, abbiamo in comune una lunga amicizia e la passione per “l’altra metà del cielo”, le donne”, scherza il premier sugli schermi della “sua” Nessma TV. Nessma TV è infatti l’ultimo affare che il premier ha messo in piedi con il magnate tunisino, già tramite fra Berlusconi e il Principe saudita Al Waleed Bin Talal –che acquistò nel 1995 una partecipazione in Mediaset, abbandonata nel 2003- e suo ex rappresentante all’interno del cda della rete. Ben Ammar controlla inoltre il 51% di D-free, il bouquet digitale terrestre che ospita anche reti Mediaset –a suo tempo acquistò le frequenze di Sportitalia, amministrato da Angelo Codignoni, ex direttore generale della berlusconiana ‘la Cinq‘ ed ex segretario generale di Forza Italia-.
Ma il piatto forte dell’amicizia ventennale fra Berlusconi e Ben Ammar è la Quinta Communications, creata nel 1990 dall’incontro fra i due –come celebra il sito www.quintaindustries.com -. Il gruppo Quinta, presieduto da Ben Ammar stesso, “propone un’offerta audiovisiva verticale che va dagli studios alla postproduzione passando per la produzione e la distribuzione”. Quinta ha coprodotto con la Lux Vide di Bernabei serie televisive importanti come La Bibbia o Gesù di Nazareth, e opere cinematografiche insieme a Dino de Laurentis.
Insomma, un cerchio che unisce da sempre Italia e Tunisia, ma che oggi si completa con la Libia. Il blog del vicedirettore del settimanale Famiglia Cristiana, Fulvio Scaglione, riporta che “Gheddafi ha speso 19 milioni di euro per sottoscrivere, in occasione di un aumento di capitale, 258,433 azioni di Quinta Communications e ottenere così una quota del 10% della società”. Del resto, la notizia è pubblicata anche dal Sole24ore del 29 giugno scorso: “la libica Lafitrade è entrata nel capitale di Quinta Communications, società francese di produzione cinematografica di Tarek Ben Ammar, di cui è socio di rilievo anche il gruppo Fininvest (..). L’entrata dei libici è avvenuta il mese scorso tramite un aumento di capitale, come riporta il verbale del cda di Quinta Communications del 26 maggio”.
Torniamo alla performance berlusconiana di inizio Ramadan su Nessma TV. Il conduttore dello show, Fawez Ben Tmessek, ricorda alla platea araba che Berlusconi è il primo leader europeo a chiedere ufficialmente scusa per il colonialismo, cosa che Inghilterra o Francia non hanno mai fatto. Berlusconi precisa: “non ho presentato scuse, ho chiesto scusa davanti al Parlamento libico per la sottomissione di un popolo libero, cosa che non si deve accettare né ripetere”. Lo studio ricorda che i libici erano tutti in lacrime di fronte a queste parole, e applaude a non finire.
Non è difficile fare il collegamento successivo: Berlusconi vola a Tripoli il 30 agosto per l’anniversario del trattato Italia-Libia e la posa della prima pietra dell’autostrada del “risarcimento”. Dopo l’iftar del Ramadan tornerà a casa, per evitare un’ambigua presenza il 1 settembre, giorno delle celebrazioni della rivoluzione di Gheddafi, celebrazioni alle quali tutti i capi di stato e governo europei hanno declinato la partecipazione.
Nei suoi piani per il Nord Africa –strategico per troppi motivi: sicurezza, immigrazione, gas, petrolio, etc- Berlusconi ha adesso anche la sua tribuna mediatica, dalla quale proverà ad ammaliare i maghrebini (un bacino potenziale di 90milioni di spettatori, più 6 milioni in Francia e 2 in Italia) così come ha fatto con noi italiani. E non importa che Nessma sia stata un affare in perdita –esisteva sui satelliti arabi dal 2007, controllata dal gruppo tunisino dei fratelli Karaoui- e che Berlusconi e Ben Ammar abbiano annunciato a Cannes 2008 il loro aumento di capitale per arrivare al totale del 50% e dare ossigeno alla rete (informazioni contenute nello stesso sito di Ben Ammar, http://www.tarakbenammar.com/fr/actualites#3).
Berlusconi sa bene che, seppur in perdita, la televisione è un investimento sul futuro.
“Crede che Nessma TV riuscirà a cambiare il Maghreb così come lei ha cambiato l’Italia?”, gli chiede candido il conduttore. Il progetto della rete è un “mondo arabo moderato”, aggiunge.
Ben Ammar sul suo sito lo chiama “il Grande Maghreb tollerante”. A questo punto sarebbe il caso di far partire le domande: di quale tolleranza parla, signor Presidente? Di quella della Tunisia di Ben Ali, un “vero democratico”, come lo chiama lei davanti a tutti gli arabi? Una Tunisia che è fanalino di coda delle libertà d’espressione, che –tanto per citare solo l’ultima- riportata da Reporters Sans Frontiers lo scorso 7 agosto- ha ingaggiato una battaglia durissima contro Al Jazeera, chiudendo l’ufficio di Tunisi e impedendo al suo corrispondente Lotfi Haji di incontrare gli attivisti dei diritti umani, tagliandogli la connessione Internet a casa, etc etc. Ma la lista è lunga, purtroppo.
In Italia le cose sono diverse, piuttosto si portano i giornali in tribunale, come succede a Repubblica per le sue dieci domande. Il punto, cari colleghi di Repubblica che giustamente insistete su questa battaglia, non sono tanto le Noemi Letizia, la D’Addario, i presunti festini: le domande da fare al nostro premier sarebbero altre.
Per esempio si potrebbe chiedergli, dopo aver ascoltato la sua intervista su Nessma TV, di spiegare la frase: “il governo italiano dà a chi perde il suo lavoro l’80% del suo salario, più tutto ciò che serve per evitare che una famiglia non entri nella miseria”, pronunciata in risposta al conduttore che gli domanda delle misure anti-crisi finanziaria in Italia. Si potrebbe chiedergli che vuol dire: “Dobbiamo condannare le organizzazioni criminali che si approfittano della gente (..) e incoraggiare il desiderio di trovare migliori opportunità all’interno della legalità”, a proposito dell’immigrazione, mentre tace tutte le ultime sparate dei suoi alleati di governo sulle badanti “immigrate privilegiate”, sul reato di clandestinità, sui cpt dove si internano non le organizzazioni criminali, come le chiama il Presidente, ma gli individui. E poi, ancora: signor Berlusconi, come spiega lo stigma messo per anni su Gheddafi quando tutta la sinistra chiedeva a gran voce di fare le scuse alla Libia per le colpe del colonialismo e il presidente libico invece era solo un “dittatore”, mentre oggi è amico, alleato e socio in affari? Ed è possibile insistere, così candidamente, alla luce del sole, sulla commistione di interessi, pubblico-privato, governo e compagnie private, un modello che adesso si esporta pure all’estero?
Arriva sempre il momento di una domanda finale, quella da “un milione di dollari”, e quella di Nessma TV è spiazzante: “Perché..perchè..perchè…ha venduto Kakà?!”.
“Perché, abbiamo venduto Kakà!?” risponde Berlusconi candido. Temo che con lo stesso candore risponderebbe a tutte le altre, di domande finali.
Successo per Videocracy
Videocracy, valanga di applausi "Niente da ridere, è un horror film"
Un articolo di CLAUDIA MORGOGLIONE sulla rubrica spettacoli e cultura di Repubblica.
VENEZIA - Un'ovazione finale per il regista, Erik Gandini, e due applausi a scena aperta: il primo nella sequenza in cui Berlusconi dichiara che il 50% del suo tempo lo dedica a migliorare l'immagine internazionale dell'Italia; il secondo quando si vede il famoso video "meno male che Silvio c'è". E' così che il pubblico, quello vero, della Mostra, accoglie la prima proiezione pubblica di "Videocracy", con tanta gente che avrebbe voluto entrare e che rimane invece fuori dalla sala già piena.
Attenzione alle stelle, dunque, per il docufilm - appena sbarcato anche nei cinema - che ricostruisce gli ultimi trent'anni di vita italiana, mostrando come l'impero televisivo del premier abbia plasmato, trasformato, forse devastato il nostro Paese. E molto caldo, ricco di domande e di curiosità, è anche il dibattito che segue, tra gli spettatori e il regista italo-svedese. "L'ho girato - spiega Gandini - perché volevo capire quest'idea così potente, paurosa, che è alla base della tv commerciale made in Italy. La logica surreale, cinica, che ne è alla base. E anche perché in Svezia dell'Italia e di Berlusconi si ride, e volevo dimostrare che non c'è nulla da ridire: e infatti, dopo che lì hanno visto una pellicola, l'hanno definita un horror".
E per compiere questo viaggio nel Belpaese, l'autore sceglie come filo conduttore il racconto di tre personaggi principali: due vincenti, Lele Mora e Fabrizio Corona, e un perdente. Un ragazzo di provincia chiamato Ricky, che spera di lasciare il mestiere di operaio per diventare una star del piccolo schermo. Uno che non si capacita del perché i suoi provini, in cui si esibisce in un mix tra Ricky Martin e arti marziali, non siano finora andati a buon fine. E che ammette candidamente di essere pronto a vendere sessualmente il suo corpo, per un film che lo lanciasse come "il Van Damme italiano". Ricky è presente anche alla proiezione e al dibattito di questa sera: "Guardando Videocracy mi è passata la voglia di diventare famoso", dice alla platea, quasi per giustificarsi.
Ma lui è solo un piccolo ingranaggio di una catena, del corto circuito tra politica, potere, informazione, gossip, velinismo, bisogno spasmodico di apparire creato dalla tv commerciale (e quindi berlusconiana). Ben più inquietanti, in questo senso, appaiono Mora e Corona. Personaggi che tutti conosciamo: ma che visti sullo schermo, nei loro habitat naturali, nella loro - diciamo così - normalità, fanno davvero impressione, Mora ad esempio mostra con tranquillità la suoneria fascita sul suo cellulare, al suono di "faccetta nera" e con immagini di croci celtiche e svastiche che si alternano sul display.
Ancora più forte l'impatto di Corona, che si autodefinisce "il Robin Hood moderno, che ruba ai ricchi e tiene tutto per sé". E che compare anche in una lunga e già celebre sequenza di nudo, sotto la doccia: "La scena è nata come idea sua - rivela Gandini - lui decide sempre come esporsi, come apparire".
Malgrado il suo ruolo di protagonista del film, però, qui al Lido Corona preferisce eclissarsi. E resta lontano dalla sala di proiezione, malgrado la sua presenza fosse stata in un primo tempo annunciata.
(4 settembre 2009)
La febbre del sabato sera (suina)
Leggete leggete!
Metti una sera a cena
di Sandra Amurri
Iniziamo a raccontare con un’immagine, l’ennesimo conflitto d’interesse del Governo Berlusconi, in attesa che Veltroni, come ha annunciato, partorisca il suo progetto per risolvere il problema.
La sera, il Ministro della salute Maurizio Sacconi rientra a casa. Si siede a tavola. Accanto a sé la moglie, Enrica Giorgetti. Trascurando i dialoghi privati tra i due. E’ credibile che parleranno anche di questioni legate al lavoro di ognuno? Sì. Bene. Ma se lui, dirige un Ministero, quello della salute, che stabilisce, attraverso la AIFA (Agenzia italiana farmaci) i prezzi dei farmaci, ma anche quali farmaci ritirare dal commercio e quali no e anche, per restare all’attualità, se rendere obbligatorio il vaccino contro il virus dell’ A/H1N1 (conosciuto erroneamente come influenza suina) oltre che per le fasce, cosi dette a rischio, anche a soggetti tra i 2 e i 27 anni per un totale di 15,4 milioni di persone, considerando che il vaccino prevede due dosi significa che verranno acquistate 48 mln di dosi di vaccino pandemico, stiamo parlando di un giro d’affari che si aggira sui 10 miliardi di dollari e 600 milioni di dosi prenotate per tutto il mondo; e lei è Direttore Generale di Farmindustria che rappresenta politicamente, diciamo, tutte le aziende farmaceutiche italiane? La conversazione tra moglie e marito assume contorni inquietanti? Sì.
Per restare sull’attualità più stretta, sappiamo che si stanno acquistando circa 48milioni di dosi, un grande affare per le aziende e per Farmindustria che le rappresenta. E che, come spiega il farmacologo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano: “L’acquisto di 48 milioni di vaccini sarà una spesa non indifferente per le già malandate casse dello Stato e addirittura probabilmente inutile. Se il virus A/H1N1 della nuova influenza non muterà, acquisendo dunque una maggiore virulenza rispetto allo stato attuale, la vaccinazione di massa annunciata dal governo italiano e da quelli di molti altri paesi non è necessaria. Esiste, certamente una grande pressione da parte delle industrie, che da tale corsa trarranno molte risorse economiche».
Tutto questo, premettendo, che non abbiamo elementi per dubitare della professionalità della dottoressa Giorgetti, laureata in Giurisprudenza, nominata Direttore generale di Farmindustria che fa capo a Confindustria, dopo essere stata direttore dei rapporti istituzionali e della comunicazione di Autostrade S.p.A. e direttore dell'Area strategica impresa e territorio di Confindustria, ma il fatto che sia moglie del Ministro della salute è un fatto che non garantisce ai cittadini alcuna certezza di imparzialità nella gestione della salute pubblica. Non si può, infatti, trascurare che Farmindustria, che riunisce oltre 200 imprese del farmaco operanti in Italia, nazionali e a capitale estero, è soggetta ai controlli del Ministero della Sanità, controlli che vanno da quelli sull’avvio dell’impresa, di natura sanitaria e non sanitaria sugli stabilimenti; ai controlli sul prodotto a quelli sulla sua immissione in commercio e sulla presentazione del prodotto, a quelli sui prezzi, a quello sulla presentazione del farmaco in commercio (etichetta, foglio illustrativo e pubblicità) che riguarda la presentazione al pubblico del prodotto e le sue successive modificazioni ecc…
E mentre in Italia il fatto non è tale da guadagnarsi le prime pagine dei giornali e le aperture dei telegiornali e, di conseguenza di non suscitare l’indignazione di cittadini non informati, all’estero non è così. Per appurarlo basta leggere la britannica Nature, una delle più antiche ed importanti riviste scientifiche, forse, in assoluto quella considerata, insieme a Scienze, di maggior prestigio nell'ambito della comunità scientifica internazionale, fondata nel 1869, che il 7 agosto, in un dettagliato articolo dal titolo “Clean hands, please”(Mani Pulite, per favore) avverte: “…Per di più le connessioni tra i Ministeri della sanità e del welfare con il sistema industriale sono sgradevolmente strette: per esempio la moglie del ministro Maurizio Sacconi è direttrice generale di Farmindustria, l’associazione che promuove gli interessi delle aziende farmaceutiche…Infatti il Governo Berlusconi ha già manifestato l’inquietante tendenza di permettere a interessi industriali di estendere la loro influenza su agenzie dello Stato". Nature, che, a differenza di quanto accade nel nostro Paese, dove la memoria viene considerata ingombrante, ricorda che gli scandali nel nostro Ministero della Salute abbiano origini lontane risalendo ai tempi dei De Lorenzo, dei Poggiolini, ecc. “Il Governo”,conclude Nature "dovrebbe pensare due volte se può essere il caso di riaprire la porta che è stata sbarrata dopo il caso Poggiolini”.
Morale,triste morale: per ricordare cosa è avvenuto,e per apprendere cosa avviene in Italia,dobbiamo leggere la stampa estera.
giovedì 3 settembre 2009
L'uomo a dimensione zero
Io non ci sto a far parte della schiera di persone che non si sono ribellate a questo sudiciume, a queste nefandezze. Ho cominciato a scrivere su questo blog per condividere notizie e commenti con amici. Sostengo la causa di Grillo, di Di Pietro e di Travaglio. So che non sono gli unici che si sbattono per osteggiare questo schifo, ma so che sono gli unici che sono riusciti a superare la barriera dell'oblio mediatico. Ho fatto l'abbonamento online a "Il Fatto quotidiano". Voglio premiare chi mi dà una luce di informazione ed in modo molto professionale. Non smetterò di dire a chi sostiene Berlusconi che non voglio fare parte di coloro che rimarranno sui libri di storia come quelli che han sostenuto il declino morale, intellettuale ed etico di questo paese. Non smetterò mai di dire a quelli che sostengono il PD che non voglio far parte di coloro che non si sono accorti che i valori non si sostengono votando un partito che li sbandiera solamente, forte della presa ideologica. Il populismo della sinistra fa concorrenza a quello di destra.
Il post di Beppe:
"Cos'è un intellettuale, oggi, in Italia? Chi ha ancora profondità di pensiero e statura etica, morale per porsi come riferimento in questo bordello nazionale? Quanti sono i sopravvissuti e perché tacciono?
Negli anni '70 gli intellettuali scrivevano sul Corriere, erano presenti nell'informazione quotidiana. Montanelli, Pasolini, Buzzati, Montale, Calvino, Moravia. Forse non avrebbero amato essere definiti intellettuali, ma erano una spanna sopra agli altri per cultura e spesso per coraggio. Montanelli disse in un'intervista che il requisito principale per fare il giornalista erano i cosiddetti, per un intellettuale vale lo stesso discorso. Pasolini avrebbe fatto a pezzi lo psiconano e il suo sodale D'Alema con un solo articolo. A De Bortoli non basterebbe un ventennio di editoriali, a PG Battista l'eternità.
Göring, successore designato di Hitler, disse che ogni volta che sentiva la parola "intellettuale" metteva mano alla pistola. Nel Paese della P2 e dell'inciucio permanente tra PDL e PDmenoelle siamo più civili, è sufficiente un posto di direttore o vice direttore di giornale, un incarico di facciata nel partito, qualche libro edito da una casa editrice.
Gli intellettuali, se esistono ancora, si sono venduti. Sono diventati tartufi, cortigiani, zimbelli da esibire, spaventapasseri da telegiornali di regime oppure ombre silenti, docenti universitari, ciarlatani di piazza con le dispense a puntate sul settimanale di sinistra, firme autorevoli di quotidiani nazionali, fiori all'occhiello di consigli di amministrazione. L'intellettuale è una specie scomparsa, sotterrata dalle tonnellate di merda della televisione e dall'indifferenza, dal grufolare di maiali, della società italiana. Si sono adattati, meglio vivere cento giorni da pecora che un giorno da uomo libero. I migliori tengono una rubrica, rispondono alla posta dei lettori e lanciano appelli per la democrazia da sottoscrivere, anche on line. Appelli vibranti che non servono mai a un cazzo.
L'intellettuale moderno non è di destra o di sinistra, il suo punto cardinale è il portafoglio, il suo segno distintivo la piaggeria verso il potere. Ama servire e le sue capacità sono a disposizione di chi le apprezza. Questa classe politica fa schifo, ma chi non ha mosso un dito per decenni quando, per ruolo e intelligenza, poteva farlo, fa più schifo ancora.
L'Italia è in una situazione prerivoluzionaria, i sintomi ci sono tutti. Milioni di disoccupati alle porte, un debito pubblico abnorme, le spese dello Stato in aumento vertiginoso, mancanza di rappresentanza politica per decine di milioni di persone, delirio allo stato terminale di Testa d'Asfalto che non ha più niente da perdere, assenza di un'opposizione, a parte Kryptonite Di Pietro, un'economia fragile, un senso civico inesistente e una disgregazione dello Stato.
Le dieci domande di Repubblica sulla vita sessuale (quella che gli è rimasta) di Accappatoio Selvaggio, sono il massimo che è riuscita a esprimere la sinistra in tre lustri come opposizione alla melma che ci ha sommerso. A Berlusconi non sono state fatte diecimila domande ben più importanti sulla mafia, sulla P2, sull'origine delle sue società. Gli è' stato concesso tutto, qualunque conflitto di interessi, ogni legge porcata, ogni condannato in Parlamento. Con la benedizione degli intellettuali di sinistra e degli intellettuali cattolici. Tutti comprati e contenti."
mercoledì 2 settembre 2009
La risposta di Repubblica
Da leggere!
La strategia della menzogna
di EZIO MAURO
L'opinione pubblica europea (ben più di quella italiana, che vive immersa nella realtà artefatta di una televisione al guinzaglio, dove si nascondono le notizie) conosce l'ultima mossa del Cavaliere, cioè la decisione di portare in tribunale le dieci domande che "Repubblica" gli rivolge da mesi. Presentata come attacco, e attacco finale, questa mossa è in realtà un tentativo disperato di difesa.
Non potendo rispondere a queste domande, se non con menzogne patenti, il Capo del governo chiede ai giudici di cancellarle, fermando il lavoro d'inchiesta che le ha prodotte. È il primo caso al mondo di un leader che ha paura delle domande, al punto da denunciarle in tribunale.
Poiché l'eco internazionale di questo attacco alla funzione della stampa in democrazia lo ha frastornato, aggiungendo ad una battaglia di verità contro le menzogne del potere una battaglia di libertà, per il diritto dei giornali ad indagare e il diritto dei cittadini a conoscere, ieri il Premier ha provato a cambiare gioco. Lui sarebbe pronto a rispondere anche subito se le domande non fossero "insolenti, offensive e diffamanti" e fossero poste in altro modo e soprattutto da un altro giornale. Perché "Repubblica" è "un super partito politico di un editore svizzero e con un direttore dichiaratamente evasore fiscale".
Anche se bisognerebbe avere rispetto per la disperazione del Primo Ministro, l'insolenza, la falsità e la faccia tosta di quest'uomo meritano una risposta.
Partiamo da Carlo De Benedetti, l'editore di "Repubblica": ha la cittadinanza svizzera, chiesta come ha spiegato per riconoscenza ad un Paese che ha ospitato lui e la sua famiglia durante le leggi razziali, ma non ha mai dismesso la cittadinanza italiana, cioè ha entrambi i passaporti, come gli consentono la legge e le convenzioni tra gli Stati. Soprattutto ha sempre mantenuto la residenza fiscale in Italia, dove paga le tasse. A questo punto e in questo quadro, cosa vuol dire "editore svizzero"? È un'allusione oscura? C'è qualcosa che non va? Si è meno editori se oltre a quello italiano si ha anche un passaporto svizzero? O è addirittura un insulto? Il Capo del governo può spiegare meglio, agli italiani, agli elvetici e già che ci siamo anche ai cittadini di Danzica che lo hanno ascoltato ieri?
E veniamo a me. Ho già spiegato pubblicamente, e i giornali lo hanno riportato, che non ho evaso in alcun modo le tasse nell'acquisto della mia casa che i giornali della destra tengono nel mirino: non solo non c'è stata evasione fiscale, ma ho pagato più di quanto la legge mi avrebbe permesso di pagare. Ho versato infatti all'erario tasse in più su 524 milioni di vecchie lire, e questo perché non mi sono avvalso di una norma (l'articolo 52 del D. P. R. 26 aprile 1986 numero 131, sull'imposta di registro) che, ai termini di legge, mi consentiva nel 2000 di realizzare un forte risparmio fiscale.
Capisco che il Premier non conosca le leggi, salvo quelle deformate a sua difesa o a suo privato e personale beneficio. Ma dovrebbe stare più attento nel pretendere che tutti siano come lui: un Capo del governo che ha praticato pubblicamente l'elogio dell'evasione fiscale, e poi si è premurato di darne plasticamente l'esempio più autorevole, con i quasi mille miliardi di lire in fondi neri transitati sul "Group B very discreet della Fininvest", sottratti naturalmente al fisco con danno per chi paga le tasse regolarmente, con i 21 miliardi a Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì, con i 91 miliardi trasformati in Cct e destinati a non si sa chi, con le risorse utilizzate poi da Cesare Previti per corrompere i giudici di Roma e conquistare fraudolentemente il controllo della Mondadori. Si potrebbe andare avanti, ma da questi primi esempi il quadro emerge chiaro.
Il Presidente del Consiglio ha detto dunque ancora una volta il falso, e come al solito ha infilato altre bugie annunciando che chi lo attacca perde copie (si rassicuri, "Repubblica" guadagna lettori) e ricostruendo a suo comodo l'estate delle minorenni e delle escort, negando infine di essere malato, come ha rivelato a maggio la moglie. Siamo felici per lui se si sente in forze ("Superman mi fa ridere"). Ma vorremmo chiedergli in conclusione, almeno per oggi: se è così forte, così sicuro, così robusto politicamente, perché non provare a dire almeno per una volta la verità agli italiani, da uno qualunque dei sei canali televisivi che controlla, se possibile con qualche vera domanda e qualche vero giornalista davanti? Perché far colpire con allusioni sessuali a nove colonne privati cittadini inermi come il direttore di "Avvenire", soltanto perché lo ha criticato? Perché lasciare il dubbio che siano pezzi oscuri di apparati di sicurezza che hanno fabbricato quella velina spacciata falsamente dai suoi giornali per documento paragiudiziario?
Se Dino Boffo salverà la pelle, dopo questo killeraggio, ciò accadrà perché la Chiesa si è sentita offesa dall'attacco contro di lui, e si è mossa da potenza a potenza. Ma la prossima preda, la prossima vittima (un magistrato che indaga, una testimone che parla, un giornalista che scrive, e fa domande) non avendo uno Stato straniero alle spalle, da chi sarà difeso? L'uomo politico passato alla storia come il più feroce nemico della stampa, Richard Nixon, non ha usato per difendersi un decimo dei mezzi che Berlusconi impiega contro i giornali considerati "nemici". Se vogliamo cercare un paragone, dobbiamo piuttosto ricorrere a Vladimir Putin, di cui non a caso il Premier è il più grande amico.
(2 settembre 2009)
Videocracy
Un articolo su BBC News tradotto da Italia dall'Estero:
La TV di stato italiana rifiuta di trasmettere il trailer di un film in cui compare il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, asserendo che è “offensivo” per la sua reputazione.
Il trailer di Videocracy mostra donne decisamente discinte e statistiche che evidenziano come l’Italia abbia un basso punteggio nella classifica della libertà di stampa e informazione. Il regista Erik Gandini afferma che il proprio lavoro, in uscita in anteprima al Festival del Cinema di Venezia, parla della cultura italiana in generale.
Anche Mediaset, l’azienda di Berlusconi che gestisce i canali della TV privata italiana, si è rifiutata di mostrare il trailer.
La televisione di stato italiana, la RAI, ha affermato nella propria lettera di rifiuto che le immagini nella pubblicità del film alludevano a fatti recenti inerenti la vita privata del Presidente del Consiglio italiano.
Messaggio Politico
Ma Gandini rifiuta le accuse secondo le quali il proprio film parli degli scandali, asserendo che questi hanno fatto notizia dopo che il film era stato completato. Ha dichiarato: “E’ un film sul presente. E’ un film che parla di come è diventata l’Italia dopo tutti questi anni. Ovviamente, Berlusconi è nella storia. In Videocracy - ha aggiunto il regista di origine italiana - la chiave del potere è l’immagine. In Italia, da tre interi decenni, un solo uomo detiene il controllo sull’immagine.
I produttori della Fandango affermano di essere stati informati dalla RAI che lo spot promozionale del film, che mostra anche un Berlusconi sorridente, era un messaggio politico diretto contro il governo.
La RAI ha dichiarato che avrebbe trasmesso le pubblicità del film se fosse stato mostrato anche un punto di vista alternativo. Gandini ha precisato che l’azienda televisiva nazionale - il cui presidente deve essere approvato dal governo - e la Mediaset di Berlusconi, forniscono già l’opinione opposta.
“L’altra sponda possiede sei canali che 24 ore su 24 raccontano l’altra versione della storia - queste le sue parole. “Penso che possano davvero permettersi una discussione riguardante queste cose”.
Mediaset e i tre canali nazionali RAI forniscono il 90% delle trasmissioni in chiaro in Italia.
[Articolo originale "Italy TV bans Berlusconi film ad"]
martedì 1 settembre 2009
Fine dei liberi pensatori
La storia che si legge nei giornali in questi giorni dell'attacco da parte di Feltri, direttore del Giornale, ai danni di Boffo, direttore dell'Avvenire ha dell'incredibile, ma soprattutto dovrebbe preoccupare tutti noi molto.
Nel post precedente Travaglio nel suo Passaparola spiega perfettamente tutta la vicenda. Qui sotto riporto anche il COMMENTO di Giuseppe D'Avanzo su Repubblica di oggi. C'è da riflettere.
Ricordate che fra poco va in edicola "Il Fatto Quotidiano" il nuovo quotidiano di Antonio Padellaro che vede tra le firme anche quella di Travaglio. Ci si può abbonare anche per la versione pdf da scaricare online. Sosteniamo l'Informazione!
L'officina dei veleni
di GIUSEPPE D'AVANZO
Da qui - dalla menzogna del Giornale di Berlusconi - bisogna ripartire per comprendere il metodo e le minacce di un dispositivo politico che troverà - per ordine del potere che ci governa - nuovi bersagli contro cui esercitarsi, altri indiscutibili falsi da agitare per punire gli avversari politici o chi dissente. La storia è nota. Boffo osa criticare, con molta prudenza, lo stile di vita di Berlusconi e si ritrova nella lista dei cattivi. Dirige un giornale cattolico e non può permettersi di censurare l'Egoarca. Deve avere una lezione. Non c'è bisogno di olio di ricino, genere merceologico antiquato. Una bastonatura mediatica è ben più funesta di un lassativo. Può essere definitiva come un colpo di pistola. È quel che tocca al direttore dell'Avvenire: un colpo di pistola che lo tramortisce. Finisce in prima pagina del Giornale di Berlusconi descritto così: "Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi e impegnato nell'accesa campagna di stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell'uomo con il quale aveva una relazione".
C'è stata finora una regola accettata e condivisa nel pur rissoso giornalismo del nostro Paese diviso: spara duro, se vuoi, ma è legittimo farlo soltanto con notizie attendibili e fondate, confermate da testimonianze o documenti che reggano una verifica, pena il discredito pubblico, la squalifica di ogni reputazione professionale. Il collasso di questa regola di decenza può inaugurare una stagione critica. Per descriverla torna utile Brighella, antica maschera della commedia dell'arte che nasce nella Bergamo alta. Attaccabrighe, briccone, bugiardo, Brighella viene da briga, intrigo: "se il padrone promette di ricompensarlo bene, dirige gli imbrogli compiuti in scena". Il potere che ci governa immagina che i giornalisti debbano trasformarsi tutti in Brighella. Un Brighella in giro già c'è. Dirige il Giornale di Berlusconi. Si mette al lavoro e cucina l'aggressione punitiva per il dissidente. Gli hanno messo in mano un pezzo di carta anonimo, redatto nel gergo degli spioni e delle polizie. Chi glielo ha dato? Dov'è l'officina dei miasmi, dei falsi, dei dossier melmosi che il potere che ci governa promette di usare contro i non-conformi alla sua narrazione del Paese? Il foglietto che Brighella si ritrova sullo scrittoio è di quei frutti avvelenati. Non vale niente. È una diceria poliziesca. Il direttore del Giornale di Berlusconi la presenta ai lettori come una "nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore, alias il direttore dell'Avvenire, disposto dal gip del Tribunale di Terni".
Quella "velina" diventa, nell'imbroglio di Brighella, un documento che gli consente di scrivere, lasciando credere al lettore di star leggendo un atto giudiziario: "Il Boffo è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconcie e offensive e di pedinamenti volti ad intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione".
Disinformazione e "falso indiscutibile", in questa manovra, fanno un matrimonio d'amore. Il documento è un falso indiscutibile. È utile però a un lavoro di disinformazione. La disinformazione, metodo maestro della Russia sovietica, contrariamente alla menzogna, contiene una parte di verità (anche in questo caso: Boffo ha accettato una condanna per molestie), ma questa viene deliberatamente manipolata con abilità. A Brighella non importa nulla delle molestie. Vuole gridare al mondo: il direttore del giornale della Conferenza episcopale è un frocio! Chi ha sensibilità per i diritti civili, i movimenti gay afflitti dall'Italia omofoba di oggi discuteranno dell'uso dell'omosessualità come colpa, difetto, vergogna, addirittura come reato. Qui interessa l'uso del falso nel dispositivo politico che minaccia. Colto con le mani nel sacco dei rifiuti, quando diventa evidente che quella "nota informativa" è soltanto una "velina" di spione diventata lettera anonima ai vescovi e riesumata per la bastonatura, Brighella dice: "Non ho mai parlato di informative giudiziarie. Abbiamo un documento (ma è la sentenza di condanna per molestie). Il resto non conta. Non conta da chi l'abbiamo avuto, non conta se ci sono degli errori". Sincer come l'acqua dei fasoi dicono a Bergamo per dire falso, bugiardo. È quella schifezza presentata come "nota informativa"? Come documento? Addirittura come atto giudiziario? Non ne parliamo più? Non è accaduto nulla? È stupefacente che la menzogna di Brighella venga presa sul serio proprio da quell'autorevole giornalismo italiano che finora ha accettato e condiviso la regola che sia legittima anche la durezza, pure la brutalità se in presenza di fatti, notizie, documenti, testimonianze affidabili. È sorprendente che si legga sul Corriere della sera di Ferruccio de Bortoli: "(Il direttore del Giornale) non retrocede di un passo" e su la Stampa di Mario Calabresi: "Nessuna retromarcia (del direttore del Giornale) sulla vicenda, dunque". Nessuna retromarcia?
Fingere di non capire, non valutare con severa attenzione quanto è accaduto oggi a Dino Boffo (domani a chi?), accettare di chiudere gli occhi dinanzi al metodo sovietico inaugurato dal potere che ci governa, con il lavoro di Brighella, ci rende tutti corresponsabili perché se chi diffonde una disinformazione è colpevole e chi le crede è uno sciocco, chi la tollera è un complice. Quella lucida aggressione, che trasforma il giornalismo in una pratica calunniosa senza regole, non può essere accettata con un'alzata di spalle né dall'informazione ancora indipendente né dalle istituzioni di controllo come il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir). Perché due cose ormai sono chiare in un affare che sempre più assume i contorni di una questione di libertà. Berlusconi pretende che l'industria delle notizie si trasformi o in organizzazione del silenzio (a questo pensa il Tg1 di Augusto Minzolini) o in macchina della calunnia (è il caso di Brighella). La macchina della calunnia si sta alimentando, in queste ore, con "veline" e dossier che servitori infedeli delle burocrazie della sicurezza le offrono. Per sollecitazione del potere o per desiderio di servire un padrone, non importa. È rilevante il loro uso politico. A questo proposito, dice Francesco Rutelli, presidente del Copasir: "Non ho ricevuto finora nessuna segnalazione su coinvolgimenti diretti o indiretti di persone legate ai servizi di informazione". Ieri Rutelli ha incontrato Gianni De Gennaro, direttore del Dipartimento per l'informazione e la sicurezza (Dis). Chi sa se ha avuto qualche "segnalazione". Comunque, pare opportuno concludere con un messaggio agli spioni al lavoro nella bottega dei miasmi: per favore, dopo aver cucinato le vostre schifezze, mandate un sms a Francesco Rutelli. Grazie.
(1 settembre 2009)