23 Maggio 1992: con Capaci parte la stagione delle bombe
Primo atto dell’estate stragista legata alla mafia: Capaci. Il 23 maggio 1992, sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci e a pochi chilometri da Palermo, persero la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, anch’ella magistrato, e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Neanche due mesi dopo è la volta di via D’Amelio: il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo saltano in aria il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta, composta da Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Quasi un anno dopo è la volta della strage di via dei Georgofili. Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, a Firenze, viene fatta esplodere una Fiat Fiorino imbottita di esplosivo nei pressi della storica Torre dei Pulci, tra gli Uffizi e l’Arno, sede dell’Accademia dei Georgofili. Nell’esplosione perdono la vita 5 persone: Caterina Nencioni (50 giorni di vita), Nadia Nencioni (9 anni), Dario Capolicchio (22 anni), Angela Fiume (36 anni), Fabrizio Nencioni (39 anni); 48 persone ferite.
Nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio sono stati disintegrati i due principali simboli della lotta alla mafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, attraverso l’utilizzo di esplosivi bellici che hanno provocato un massacro barbaro e destabilizzato gli equilibri politici. Cosa Nostra dopo l’inaffidabilità “contrattuale” evidenziata dai tradizionali referenti politici con il mancato aggiustamento del maxiprocesso in Cassazione ha mutato strategia politica. La tenacia e le capacità del pool dei magistrati di Palermo ed il lavoro svolto da Falcone per togliere al giudice Carnevale e ai suoi amici il monopolio delle sentenze sul crimine organizzato, hanno sancito il fallimento del rapporto tra la corrente andreottiana, in particolare, e Cosa Nostra. L’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima segna la rottura definitiva del patto scellerato delle convergenze parallele tra pezzi della politica e la mafia. La strage di Capaci preclude il Quirinale a Giulio Andreotti (ritenuto mafioso con sentenza caduta in prescrizione ). Le mafie, Cosa Nostra e ‘ndrangheta in particolare, stanno consolidando sempre più una potenza economico-finanziaria soprattutto a seguito del controllo dei più imponenti traffici internazionali di droga. Non si vogliono più limitare ad avere singoli referenti politici che non sono più in grado di arginare magistratura e forze dell’ordine sempre più determinate nel contrasto al crimine organizzato. E’ il momento del salto di qualità. La mafia decide di farsi Stato e lo fa con due strumenti tipici dei conflitti: bombe e dialogo, stragi e trattativa.La strage di Capaci produce dirompenti effetti politici, mina le fondamenta della prima repubblica già colpita dagli albori di tangentopoli. La mafia cambia strategia politica ed inizia i primi contatti strutturali con esponenti della politica e delle istituzioni. Il comando del fronte antimafia viene, di fatto, preso da Paolo Borsellino, il quale indaga ed intravede il cuore del potere mafioso: i collegamenti con la politica, l’imprenditoria e le istituzioni (magistratura compresa). Non è un caso che dopo la strage di Capaci, in un emozionante dibattito organizzato da micromega, sostiene che, nella magistratura, forse, vanno trovati taluni dei responsabili della morte del suo caro amico e collega Giovanni Falcone. Credo che Borsellino abbia anche potuto intuire della trattativa e del ruolo che stavano avendo in quelle settimane settori deviati delle istituzioni. La strage di via D’Amelio è una strage politica, si può ipotizzare che ambienti non organici a Cosa Nostra siano stati determinanti nel movente, nella dinamica e nell’occultamento delle prove della strage. A questo punto la mafia ha inferto il colpo più duro che si potesse dare alla magistratura impegnata in prima linea, rassicurando i collusi e gettando nel panico tutti coloro i quali erano stati interlocutori politici di cosa nostra. La trattativa entra nel vivo e operano, con spregiudicatezza al limite dell’eversione, pezzi deviati delle istituzioni: all’interno dei servizi (il ruolo di Contrada al Sisde) ed esponenti di primo piano del Ros (trattativa infame, mancata perquisizione al covo di Riina e il favoreggiamento alla latitanza di Provenza-no). Cosa Nostra tratta attraverso il papello e continua con la strategia del terrore per mettere in ginocchio il paese. Le condizioni per la pax mafiosa sono dure ed ecco le bombe di Roma, Firenze, Milano. Il Paese è ad un bivio. Chi conduce la trattativa? Uomini in divisa con autonome velleità da nuovi piduisti, oppure braccia operative di ambienti politici che intendono aprire una nuova stagione nei rapporti con Cosa Nostra e favorirne la metamorfosi attraverso la mimetizzazione nello Stato e la “confusione” nel bilancio dell’economia legale? La trattativa va in porto. Cosa Nostra, dal 1993, interrompe il conflitto armato con le Istituzioni e comincia il suo fluido percorso di penetrazione nello Stato e nell’economia. La sua forza si consolida con il controllo della spesa pubblica e dei finanziamenti pubblici, con il condizionamento del mercato del lavoro ed il controllo del voto. La nascita di Forza Italia si colloca nel periodo in cui termina la strategia militare ed inizia la penetrazione in tutte le articolazioni istituzionali e si consolida la sua presenza nei meandri dei circuiti economico-finanziari. Il processo al Sen. Dell’Utri, ideologo di Forza Italia, con la sua condanna in primo grado a 9 anni per concorso in associazione mafiosa, è uno spaccato illuminante del baratro in cui siamo piombati. Il percorso della criminalità organizzata che diviene Stato viene anche favorito da pezzi deviati delle istituzioni che dovrebbero rappresentarle. Da settori opachi della magistratura i quali hanno operato con analogie sorprendenti tra quegli anni – penso anche alla lucida analisi del dr. Alfonso Sabella sulle pagine de Il Fatto Quotidiano a proposito delle prime indagini sulle stragi della procura di Caltanissetta e al ruolo e alla contestuale e successiva carriera del dr. Giovanni Tinebra – e le volte che indagini molto delicate sono penetrate nel cuore del sistema mafioso: come le inchieste Why not e Poseidone e le indagini della procura di Salerno sulla cd. nuova P2). Dalle deviazioni di pezzi della polizia giudiziaria: dalle trattative di servizi piduisti (come nel caso Cirillo) a Bruno Contrada, sino al ruolo inquietante che sembra caratterizzare esponenti del Ros. Denso di significati il racconto del giudice Sabella circa il ruolo – determinante nell’affossamento di inchieste e nella distruzione di servitori dello Stato – del Consiglio superiore della magistratura, con una continuità impressionante dal 1992 ad oggi simbolicamente rappresentata dalla presenza di Nicola Mancino. Vi è stato un ruolo criminale e scellerato di taluni esponenti delle forze dell’ordine mentre altre donne ed uomini della polizia, dei carabinieri e della guardia di finanza morivano e rischia(va)no la vita nel contrasto al crimine organizzato? Ogni qualvolta si è indagato in questa direzione ambienti occulti e criminali hanno operato per evitare che si raggiungesse la verità. Alcuni spunti. La trattativa che sarebbe stata condotta da uomini del Ros con Cosa Nostra mentre ancora si sentiva l’acre odore della cenere di magistrati e poliziotti assassinati. Le dichiarazioni di Giovanni Brusca su via D’Amelio. Le dichiarazioni del colonnello dei carabinieri Riccio nei processi in corso a Palermo sulla trattativa (dove si è fatto anche il nome, a proposito dei rapporti tra magistrati e mafia, del dr. Dolcino Favi, il procuratore generale che avocò l’inchiesta Why not proprio mentre ricostruivo i rapporti tra criminalità organizzata, massoneria deviata, pezzi della magistratura, della politica, dei servizi e delle istituzioni). La mancata perquisizione al covo di Riina ed il favoreggiamento alla latitanza di Provenzano. Il ruolo che sarebbe stato condotto da magistrati, politici e carabinieri per favorire la dissociazione dei boss con l’obiettivo di stroncare il pentitismo e rafforzarne la penetrazione di Cosa Nostra nel tessuto politico-istituzionale. I misteri che ruotano intorno alla morte del maresciallo Lombardo. Le informative del Ros che ritrovai nell’inchiesta Poseidone – acquisite dalla procura di Roma – che dovetti rivedere in profondità in quanto marcatamente superficiali (vi erano nomi di politici molto importanti, ambienti massonici e dei servizi, criminalità organizzata). L’indagine che un magistrato della procura di Catanzaro – poi indagato e perquisito dalla procura di Salerno per reati gravi – delegava al Ros (pur non essendoci alcun profilo di criminalità organizzata) che mirava a coinvolgermi in vicende per le quali ero totalmente estraneo. La creazione ad arte di tracce di reato, ossia il metodo della calunnia e del depistaggio. La delega che il dr. Favi dava al Ros nelle indagini della procura generale di Catanzaro che avocando l’inchiesta Why not ha prodotto una sua sostanziale disintegrazione. In questi giorni la procura di Crotone indaga un ufficiale dei carabinieri che doveva essere un mio collaboratore mentre pare abbia fatto altro, di penalmente rilevante. Le inchieste della procura di Salerno, proprio lì la chiave di volta per mettere insieme, in un filo criminale, vecchi e nuovi piduisti. Per questo tanti magistrati dovevano saltare, assassinati professionalmente. I legami con la politica: dal generale Mori consulente di Formigoni, ai figli del generale Subranni (tra Angelino Alfano e servizi). Il piduismo sta operando, tra servizi deviati e massonerie, tra mafia e politica. Va alzata la vigilanza democratica confidando in quei magistrati che ancora non hanno piegato la schiena. Noi non molleremo mai!
IN QUESTO MODO COSA NOSTRA È DIVENTATA STATO
La strage di via D’Amelio è politica, la trattativa va in porto e la mafia prende forza
Nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio sono stati disintegrati i due principali simboli della lotta alla mafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, attraverso l’utilizzo di esplosivi bellici che hanno provocato un massacro barbaro e destabilizzato gli equilibri politici. Cosa Nostra dopo l’inaffidabilità “contrattuale” evidenziata dai tradizionali referenti politici con il mancato aggiustamento del maxiprocesso in Cassazione ha mutato strategia politica. La tenacia e le capacità del pool dei magistrati di Palermo ed il lavoro svolto da Falcone per togliere al giudice Carnevale e ai suoi amici il monopolio delle sentenze sul crimine organizzato, hanno sancito il fallimento del rapporto tra la corrente andreottiana, in particolare, e Cosa Nostra. L’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima segna la rottura definitiva del patto scellerato delle convergenze parallele tra pezzi della politica e la mafia. La strage di Capaci preclude il Quirinale a Giulio Andreotti (ritenuto mafioso con sentenza caduta in prescrizione ). Le mafie, Cosa Nostra e ‘ndrangheta in particolare, stanno consolidando sempre più una potenza economico-finanziaria soprattutto a seguito del controllo dei più imponenti traffici internazionali di droga. Non si vogliono più limitare ad avere singoli referenti politici che non sono più in grado di arginare magistratura e forze dell’ordine sempre più determinate nel contrasto al crimine organizzato. E’ il momento del salto di qualità. La mafia decide di farsi Stato e lo fa con due strumenti tipici dei conflitti: bombe e dialogo, stragi e trattativa.La strage di Capaci produce dirompenti effetti politici, mina le fondamenta della prima repubblica già colpita dagli albori di tangentopoli. La mafia cambia strategia politica ed inizia i primi contatti strutturali con esponenti della politica e delle istituzioni. Il comando del fronte antimafia viene, di fatto, preso da Paolo Borsellino, il quale indaga ed intravede il cuore del potere mafioso: i collegamenti con la politica, l’imprenditoria e le istituzioni (magistratura compresa). Non è un caso che dopo la strage di Capaci, in un emozionante dibattito organizzato da micromega, sostiene che, nella magistratura, forse, vanno trovati taluni dei responsabili della morte del suo caro amico e collega Giovanni Falcone. Credo che Borsellino abbia anche potuto intuire della trattativa e del ruolo che stavano avendo in quelle settimane settori deviati delle istituzioni. La strage di via D’Amelio è una strage politica, si può ipotizzare che ambienti non organici a Cosa Nostra siano stati determinanti nel movente, nella dinamica e nell’occultamento delle prove della strage. A questo punto la mafia ha inferto il colpo più duro che si potesse dare alla magistratura impegnata in prima linea, rassicurando i collusi e gettando nel panico tutti coloro i quali erano stati interlocutori politici di cosa nostra. La trattativa entra nel vivo e operano, con spregiudicatezza al limite dell’eversione, pezzi deviati delle istituzioni: all’interno dei servizi (il ruolo di Contrada al Sisde) ed esponenti di primo piano del Ros (trattativa infame, mancata perquisizione al covo di Riina e il favoreggiamento alla latitanza di Provenza-no). Cosa Nostra tratta attraverso il papello e continua con la strategia del terrore per mettere in ginocchio il paese. Le condizioni per la pax mafiosa sono dure ed ecco le bombe di Roma, Firenze, Milano. Il Paese è ad un bivio. Chi conduce la trattativa? Uomini in divisa con autonome velleità da nuovi piduisti, oppure braccia operative di ambienti politici che intendono aprire una nuova stagione nei rapporti con Cosa Nostra e favorirne la metamorfosi attraverso la mimetizzazione nello Stato e la “confusione” nel bilancio dell’economia legale? La trattativa va in porto. Cosa Nostra, dal 1993, interrompe il conflitto armato con le Istituzioni e comincia il suo fluido percorso di penetrazione nello Stato e nell’economia. La sua forza si consolida con il controllo della spesa pubblica e dei finanziamenti pubblici, con il condizionamento del mercato del lavoro ed il controllo del voto. La nascita di Forza Italia si colloca nel periodo in cui termina la strategia militare ed inizia la penetrazione in tutte le articolazioni istituzionali e si consolida la sua presenza nei meandri dei circuiti economico-finanziari. Il processo al Sen. Dell’Utri, ideologo di Forza Italia, con la sua condanna in primo grado a 9 anni per concorso in associazione mafiosa, è uno spaccato illuminante del baratro in cui siamo piombati. Il percorso della criminalità organizzata che diviene Stato viene anche favorito da pezzi deviati delle istituzioni che dovrebbero rappresentarle. Da settori opachi della magistratura i quali hanno operato con analogie sorprendenti tra quegli anni – penso anche alla lucida analisi del dr. Alfonso Sabella sulle pagine de Il Fatto Quotidiano a proposito delle prime indagini sulle stragi della procura di Caltanissetta e al ruolo e alla contestuale e successiva carriera del dr. Giovanni Tinebra – e le volte che indagini molto delicate sono penetrate nel cuore del sistema mafioso: come le inchieste Why not e Poseidone e le indagini della procura di Salerno sulla cd. nuova P2). Dalle deviazioni di pezzi della polizia giudiziaria: dalle trattative di servizi piduisti (come nel caso Cirillo) a Bruno Contrada, sino al ruolo inquietante che sembra caratterizzare esponenti del Ros. Denso di significati il racconto del giudice Sabella circa il ruolo – determinante nell’affossamento di inchieste e nella distruzione di servitori dello Stato – del Consiglio superiore della magistratura, con una continuità impressionante dal 1992 ad oggi simbolicamente rappresentata dalla presenza di Nicola Mancino. Vi è stato un ruolo criminale e scellerato di taluni esponenti delle forze dell’ordine mentre altre donne ed uomini della polizia, dei carabinieri e della guardia di finanza morivano e rischia(va)no la vita nel contrasto al crimine organizzato? Ogni qualvolta si è indagato in questa direzione ambienti occulti e criminali hanno operato per evitare che si raggiungesse la verità. Alcuni spunti. La trattativa che sarebbe stata condotta da uomini del Ros con Cosa Nostra mentre ancora si sentiva l’acre odore della cenere di magistrati e poliziotti assassinati. Le dichiarazioni di Giovanni Brusca su via D’Amelio. Le dichiarazioni del colonnello dei carabinieri Riccio nei processi in corso a Palermo sulla trattativa (dove si è fatto anche il nome, a proposito dei rapporti tra magistrati e mafia, del dr. Dolcino Favi, il procuratore generale che avocò l’inchiesta Why not proprio mentre ricostruivo i rapporti tra criminalità organizzata, massoneria deviata, pezzi della magistratura, della politica, dei servizi e delle istituzioni). La mancata perquisizione al covo di Riina ed il favoreggiamento alla latitanza di Provenzano. Il ruolo che sarebbe stato condotto da magistrati, politici e carabinieri per favorire la dissociazione dei boss con l’obiettivo di stroncare il pentitismo e rafforzarne la penetrazione di Cosa Nostra nel tessuto politico-istituzionale. I misteri che ruotano intorno alla morte del maresciallo Lombardo. Le informative del Ros che ritrovai nell’inchiesta Poseidone – acquisite dalla procura di Roma – che dovetti rivedere in profondità in quanto marcatamente superficiali (vi erano nomi di politici molto importanti, ambienti massonici e dei servizi, criminalità organizzata). L’indagine che un magistrato della procura di Catanzaro – poi indagato e perquisito dalla procura di Salerno per reati gravi – delegava al Ros (pur non essendoci alcun profilo di criminalità organizzata) che mirava a coinvolgermi in vicende per le quali ero totalmente estraneo. La creazione ad arte di tracce di reato, ossia il metodo della calunnia e del depistaggio. La delega che il dr. Favi dava al Ros nelle indagini della procura generale di Catanzaro che avocando l’inchiesta Why not ha prodotto una sua sostanziale disintegrazione. In questi giorni la procura di Crotone indaga un ufficiale dei carabinieri che doveva essere un mio collaboratore mentre pare abbia fatto altro, di penalmente rilevante. Le inchieste della procura di Salerno, proprio lì la chiave di volta per mettere insieme, in un filo criminale, vecchi e nuovi piduisti. Per questo tanti magistrati dovevano saltare, assassinati professionalmente. I legami con la politica: dal generale Mori consulente di Formigoni, ai figli del generale Subranni (tra Angelino Alfano e servizi). Il piduismo sta operando, tra servizi deviati e massonerie, tra mafia e politica. Va alzata la vigilanza democratica confidando in quei magistrati che ancora non hanno piegato la schiena. Noi non molleremo mai!
Un’immagine della strage di via D’Amelio (FOTO ANSA)
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