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Dal Fatto Quotidiano di ieri.
Sono Violante risolvo problemi
di Marco Travaglio
Gli elettori del Pd che martedì hanno visto “Ballarò” si saranno augurati che Luciano Violante parlasse a titolo personale, non a nome del principale partito di opposizione (si fa per dire). Spiace deluderli, ma Violante è il “nuovo” responsabile Riforme del “nuovo” Pd bersaniano. L’altra sera le cose si stavano mettendo maluccio per il Pdl, rappresentato dal trust di cervelli Cota-Al Fano. Cota delirava in padano stretto. Al Fano, momentaneamente sprovvisto di pallottoliere, s’infilava in una giungla di numeri sul processo breve da cui stentava a uscire vivo. Piazzava il suo 1% di processi morti dopo 6 anni. Ma qualcuno domandava: “Dunque il 99% finisce in 6 anni? Allora abbiamo la giustizia più rapida dell’universo”. Allora Angelino mercanteggiava come i tappetari nei suk: “Facciamo 7-8%”. E spiegava che i processi, se non li ammazzasse la legge, si prescriverebbero comunque. Come dire: sterminate pure gli anziani e i malati gravi, tanto prima o poi muoiono lo stesso. Casini ripeteva la fesseria che i processi fanno comodo a Berlusconi (“li usa come alibi”) e, per fargli un dispetto, bisogna abolirli solo a lui. Al Fano, in stato confusionale, diceva addirittura la verità: “Guardi che, se glieli abolite, lui è felice”. Risate in studio. A quel punto interveniva Violante e la débâcle del centrodestra si mutava in trionfo: “Legalità e democrazia son cose diverse”. In realtà la nostra democrazia si fonda sull’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. Dunque democrazia è legalità. Invece, nella bizzarra concezione violantesca, essa sarebbe minacciata dai processi al premier, che “gli impediscono di governare”. Ma Berlusconi ha già governato 7 anni da imputato. Ora indovinate la soluzione di Violante per spegnere il presunto scontro politica-giustizia? “Mettere mano al potere della magistratura”. Cioè abolire i processi ai politici. Tornando all’autorizzazione a procedere? Magari. Molto peggio: allargando a tutti i reati, anche commessi prima o fuori delle funzioni, l’“insindacabilità” (immunità totale) prevista dalla Costituzione per opinioni espresse e voti dati. Oggi se l’onorevole offende un cittadino e questi lo denuncia, il Parlamento lo dichiara insindacabile e il giudice deve fermarsi. In automatico. Se il giudice non è d’accordo, si rivolge alla Corte costituzionale col conflitto d’attribuzioni fra poteri dello Stato. Con l’autorizzazione a procedere, invece, la regola era che fosse concessa e l’eccezione che fosse negata nel caso estremo e rarissimo di “fumus persecutionis”. Ora Violante propone che il parlamentare sia insindacabile non solo per quel che dice e per come vota, ma anche se ruba, truffa, evade, stupra, ammazza, corrompe, mafieggia. Se poi il giudice pretende di processarlo lo stesso, ricorra alla Consulta. E questa per lui (e, si presume, per il Pd) sarebbe democrazia: modello Russia di Putin e Libia di Gheddafi. Così Berlusconi è salvo, ma pure Dell’Utri, Cosentino, Cuffaro e tutti gli altri onorevolissimi inquisiti e imputati. A quel punto anche Riina, Provenzano, Sandokan faranno un pensierino al Parlamento. Del resto, argomenta Violante, “la magistratura applica la legge, che spesso è confusa”. Prendete Berlusconi: quando Mills testimoniò, lui lesse e rilesse il Codice penale, ma tale era la confusione che non riuscì a sciogliere l’enigma: sarà reato o no corrompere un teste? Nel dubbio, lo corruppe. E ora, per una legge confusa, si ritrova imputato per corruzione. Ma si può? Meno male che c’è Violante che, ben più lucido del trafelato Al Fano e più efficiente del pasticcione Ghedini, ha sempre una soluzione per tutto. L’elettore del Pd potrebbe domandargli: scusa, compagno, sicuro che non c’importi di sapere se il presidente del Consiglio c’entra con la mafia e con le stragi, ha frodato il fisco, ha corrotto testimoni e giudici? Ma Violante ha una scorta impenetrabile: per difendersi dagli elettori.
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