martedì 21 dicembre 2010

Servire negare mutare

Dal sito www.uniriot.org

Bologna - Riprendiamoci il presente, costruiamo il nostro futuro


Cercare i nostri eguali osare riconoscerli
lasciare che ci giudichino guidarli esser guidati
con loro volere il bene fare con loro il male
...e il bene la realtà servire negare mutare.

Quello che vedremo al senato, la settimana prossima, sarà quello che abbiamo visto tante volte negli ultimi anni: un parlamento ormai irrimediabilmente separato dal paese reale, che si beffa di una società intera.
Molto probabilmente Mercoledi 22 Dicembre la riforma Gelmini passerà, sarà oggetto di accordi e compravendite che non tengono conto delle critiche che da mesi studenti e ricercatori portano avanti con ogni mezzo. In Senato il governo ha una maggioranza schiacciante, ma noi che stiamo fuori dall'aula abbiamo la voglia, la capacità, la rabbia e soprattutto l'intelligenza per sperimentare nuovi modi di fare democrazia. L'istituzione parlamentare è ormai una nave in bottiglia, senza mare e senza onde, protetta dal vetro sottile che la circonda.
Oltre quel vetro di quella bottiglia c'è tutto il resto. Un mondo variegato, composito, non ricostruibile in qualche articolo o servizio televisivo. Pensiamo, solo per fare un esempio, al mondo della cultura e della formazione. Persone differenti, che mai si erano parlate prima, si stanno muovendo in maniera diversa, senza trovare un unico punto su cui convergere, senza trovare un nome che racchiuda tutto ciò che si muove. Se non possiamo dare un nome a questo movimento, possiamo però leggerne le passioni, le intensità, le differenze e le tante domande a partire dalle quali reinventare la politica. C'è la rabbia di chi non viene mai ascoltato, di chi in questi mesi tenta ogni strategia comunicativa e politica per far valere le proprie ragioni, ma sente la sua voce bloccata da istituzioni chiuse a riccio su sè stesse.
E c'è l'amore per quello che si fa ogni giorno, nonostante i ricatti, la mancanza di futuro, la precarietà imposta. L'amore di chi continua a mettersi in gioco, di chi continua a costruire, perché è quello che vuole fare, perché è ciò in cui crede.
A lungo sentiremo ancora parlare del 14 dicembre come momento in cui tutto è venuto a convergere, come apice, come D-Day irripetibile, evento epocale. Si tratta ora di ricominciare a camminare, di concepire l' evento come salto in grado di riaprire un futuro a partire dagli slanci che hanno contribuito a produrlo: le proteste dei ricercatori di settembre, le piazze piene di studenti medi a ottobre,gli studenti universitari sui tetti nel mese di novembre, le strade, le stazioni e i monumenti occupati.
Siamo convinti che questo sia il momento di parlarsi, di riconoscersi, di costruire un'agenda politica comune in grado di creare spazi di partecipazione pubblica a partire dal prossimo Gennaio. Non solo è il momento di parlare tra noi, ma di parlare alla società intera: il terreno della crisi infatti è utilizzato dal nostro governo e dai poteri forti di questo paese per attaccare i diritti di tutti e tutte, per moltiplicare i ricatti, per aggredire il diritto di sciopero, per ridefinire i rapporti sociali sui posti di lavoro quanto nella società.
Per farlo abbiamo pensato a un'assemblea in un luogo centrale della città, la piazza all'interno della biblioteca Sala Borsa. Invitiamo non solo gli studenti medi, i docenti, i precari dell'università e i ricercatori, ma anche tutta la cittadinanza, i comitati per i beni comuni, i bibliotecari in lotta, gli insegnanti precari, a fare un primo passo verso il 2011. Per riprenderci tutti insieme il presente e costruire giorno per giorno il nostro futuro.

Mercoledì 22 Dicembre, ore 16 assemblea in Sala Borsa.

Studenti e precari

In piazza!

Dal sito www.uniriot.org

Centomila in piazza, rivolta contro il governo! Comunicato dalla Sapienza in mobilitazione

Quella del 14 dicembre è stata una giornata che ha segnato un dato di partecipazione fuori dall'ordinario. Oltre centomila tra studenti universitari e medi hanno manifestato con forza e determinazione per le strade di Roma bloccando ancora una volta la mobilità e riempiendo le strade con la loro indignazione verso l'operato del governo. Sfiducia dal basso per il governo, si era detto, e sfiducia dal basso per il governo è stata, nel momento in cui tutta la pluralità di soggetti che hanno animato e costruito la resistenza nei confronti di un governo incapace, hanno sfilato per le vie di Roma assediando tutti assieme i luoghi decisionali del paese.


Due elementi sono emersi ieri nella città di Roma. Il primo è una democrazia viva, incarnata nei desideri e nei bisogni di una intera generazione, che costruisce ogni giorno il proprio diritto al futuro e ad una formazione di qualità, che vive sulla propria pelle le conseguenze della precarietà del lavoro e della vita. Una generazione che ha deciso di non accettare divieti nella giornata di martedì, e che ha cercato di raggiungere il Senato della Repubblica, per esprimere

con forza il proprio dissenso. L'altro elemento è quello di un governo oramai in trincea, separato dal paese reale, ostaggio della propria corruzione e del proprio decadimento, espressione di una compravendita di voti impensabile in un paese europeo.

Proprio la notizia della fiducia alla Camera ha provocato un'esplosione di rabbia senza precedenti in Piazza del Popolo. Una rabbia che si è espressa collettivamente nei confronti di un governo che ha deliberatamente scelto di ignorare un'intera generazione in lotta da anni. La rabbia e la determinazione esplose nel pomeriggio sono la diretta conseguenza dell'atteggiamento del governo, che ha deciso di passare sopra ogni istanza e spinta proveniente dai movimenti studenteschi, come da quelli dei lavoratori, dei comitati di Terzigno e

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dell'Aquila e di tutte le componenti sociali in piazza il 14 dicembre, comprandosi letteralmente la possibilità di continuare a governare questo paese.

Per questo ci teniamo a sottolineare che non ci appartengono vecchie etichette proprie di movimenti passati: black block, estremisti, violenti, sono termini che non ci appartengono. Ci appartiene invece l'indignazione e l'esplosione di una rabbia sociale diffusa, l'ansia per il futuro e la voglia di continuare a costruirlo giorno dopo giorno. Proprio per questo esprimiamo tutta la nostra solidarietà agli studenti e alle studentesse arrestati, perché la voglia di futuro non si può arrestare né rinchiudere in una gabbia.

Nelle prossime settimane torneremo a far sentire la nostra voce, contro il d.d.l. Gelmini e contro questo governo, costruendo assieme agli altri movimenti la possibilità concreta di una trasformazione reale.


SAPIENZA IN MOBILITAZIONE

Avanti popolo!

Dal sito www.uniriot.org

Il 14 dicembre può succedere sempre! Editoriale Uniriot




Ci spiace per voi. Ci spiace per tutti quelli che non c'erano. Per tutti quelli che non hanno voluto esserci e per tutti quelli che non hanno potuto esserci. E ci spiace anche per tutti quelli che nei giorni successivi alla battaglia di piazza del Popolo hanno giudicato, accusato, denigrato quella splendida piazza che il 14 dicembre ha portato un nuovo vento di dignità nel paese.

Ci spiace perché sentiamo troppe parole proferite da chi non c'era e da chi non c'è mai stato. Ci spiace per tutti voi, perchè ancora una volta non avete voluto capire niente. Ci spiace certo, ma non ci stupisce e tutto sommato ci consegna un'altra prova di quanto questo movimento faccia paura a tutti quelli che sentono di non riuscire più a governare con le bugie questa splendida nuova generazione.



Non ci stupisce perché in questi mesi abbiamo già affrontato e respinto con forza ogni tentativo di cavalcare questo movimento per esigenze di palazzo. Noi c'eravamo dentro le facoltà occupate quando migliaia di studenti, alle immagini dell'unico tetto in Italia in cui avrebbero potuto farlo, quello mediatizzato di Architettura a Roma, hanno fischiato e insultato Bersani e i finiani allo stesso modo, con la stessa indignazione. Noi c'eravamo quando nelle assemblee condividevamo la certezza che la responsabilità di aver distrutto la nostra università, di averci sottratto il futuro, di aver svenduto il nostro mondo al profitto è di un'intera classe politica e intellettuale senza dignità e senza scrupoli. Noi c'eravamo anche quando nelle assemblee , in massa, decidevamo fosse legittimo tutelarsi e difendersi con il book block dagli attacchi violenti del governo che attraverso le questure tentava invano di arginare un dissenso ormai generalizzato. C'eravamo anche quando le assemblee decidevano collettivamente di rompere i divieti e praticare i blocchi delle città, e quando questo veniva assunto come obbiettivo anche di fronte alle provocazioni del governo e della polizia.

Ed è con questa nuova grande consapevolezza di essere potenza, che il 14 dicembre, come momento di incontro e di contaminazione con tutti gli studenti e tutti gli altri movimenti che in questi mesi hanno finalmente rivoluzionato il dibattito politico del nostro paese, riportandolo fuori dai palazzi, nelle strade, nelle università e nei luoghi di lavoro, é stato accolto dai movimenti come una grande occasione per dimostrare a tutti, proprio tutti, che questo nuovo soggetto non è più sottomesso, non è più in silenzio.
In tutte le città si è scatenato l'inferno. I pullman non bastavano mai. Ogni ora se ne aggiungeva uno. Tutti volevano esserci, tutti volevano essere protagonisti del proprio presente, nonostante le intimidazioni e le minacce che governo e media hanno messo in scena nei giorni precedenti. Ed è così che allo scoccare delle mezzanotte, da Padova 12 pullman autorganizzati e autogestiti sono partiti con la consapevolezza di andare a fare la storia. “Que se vayan todos” si cantava nel viaggio, quel giorno gli unici protagonisti saremo stati noi e la nostra rabbia.

Alle dieci il corteo parte dalla Sapienza, dove già tutti sapevano che l'accesso a Montecitorio era impedito dalla costruzione di un fortino protetto da migliaia di poliziotti e mezzi blindati. Nessuna sorpresa, il governo ha paura e i palazzi sono sempre più distanti dalla vita reale. Ed è da qui che il racconto da chi era nel corteo si allontana anni luce da chi invece cerca di leggere quello che succede dal di fuori, con l'atteggiamento di chi sa tutto, di chi ci spiega come si devono fare le cose anche se le cose non le ha mai fatte.
Da quel momento, un intero corteo ha deciso di rompere gli indugi e di urlare al mondo intero che ci siamo di nuovo, che non abbiamo nessuna intenzione di abbandonare il sogno di trasformazione che in questi mesi abbiamo costruito collettivamente. Con il book block in testa, abbiamo cercato di riconquistarci il diritto ad arrivare in piazza Montecitorio, sotto il luogo in cui si stava decidendo del nostro futuro. Un primo tentativo dimostra da subito quale sarebbe stato l'atteggiamento del governo verso chi manifestava il dissenso. Cariche fermi e lacrimogeni. Avanti, si continua. Ed è in quel momento che nel corteo arriva la notizia della fiducia comprata miseramente.
Già da quei primi momenti si percepiva che qualcosa di nuovo e importante stava succedendo in piazza. Nessuno scappava, nessuno era sorpreso, nessuno si è indignato per quell'esplosione di rabbia degna. Ed è così, che il corteo arriva in Piazza del Popolo, dove qualcosa di straordinario si è messo in moto e dove la rabbia è esplosa, sincera e limpida come non mai.

Chi era in piazza quel giorno sa quanto sono false e pretestuose le ipotesi per cui a respingere le violentissime cariche della polizia che cercava di irrompere in Piazza del Popolo sia stata una sparuta minoranza. Il corteo è rimasto li, complice e solidale con gli studenti e i compagni che difendevano la libertà di esprimere il dissenso in quella piazza tanto eterogenea quanto unita e compatta.

Tra le fiamme delle barricate e con gli occhi già distrutti dalle centinaia di lacrimogeni lanciati nel vano tentativo di disperdere il corteo, la rabbia si trasformava in gioia, in quel sentimento immenso che è esploso nel cuore di chi percepiva di essere protagonista di un momento unico, di un nuovo inizio dal quale non si poteva più tornare indietro.
Questo è quello che è stato per noi piazza del Popolo. Per noi studenti, per noi precari, per noi che desideriamo e produciamo, per noi che in tantissimi abbiamo invaso Roma.

Il resto lo lasciamo ai tristi governanti e ai nuovi profeti. Lasciamo a loro i vuoti moralismi sul volto coperto o meno. Lasciamo a loro i paragoni con la storia passata del nostro paese, noi all'orizzonte scorgiamo il futuro insieme agli studenti inglesi, spagnoli, francesi, greci e irlandesi. Lasciamo a loro anche intrighi e svendite di palazzo, noi rimaniamo nelle strade e nelle piazze con gli operai, i migranti, i movimenti per i beni comuni, per costruire insieme un altro mondo.

Signori, non abbiamo più bisogno di voi, il 14 dicembre può succedere sempre.

Davide – Reality Shock Padova

sabato 18 dicembre 2010

Anni di piombo? Ma fammi il piacere!

Dal Fatto di oggi...

IL PIOMBO È SOLO NELLE ORECCHIE DI CHI NON ASCOLTA
Spinelli: “Non sono gli anni ‘70, questi ragazzi lasciati fuori dalla politica”

di Silvia Truzzi

Anni di piombo è diventato un tormentone: inutile, e al tempo stesso banale e provocatorio. Ma il metallo sembra essere nelle orecchie di chi non sa ascoltare: parola di Barbara Spinelli. Giovedì ad Annozero Santoro ha detto ai politici in studio: noi domandiamo ai ragazzi se si vogliono dissociare dagli episodi di violenza, ma se loro non ci rispondono quello che vogliamo sentirci dire – come poi è accaduto – dobbiamo essere in grado di parlare con loro. D’accordo? Completamente. È più che legittimo chiedere ai giovani di riflettere suoi pericoli che i gesti violenti possono ingenerare. Ma la questione qui non è il dissociarsi dei ragazzi, ma il dissociarsi dei politici da una discussione su una manifestazione di cittadini.
Bisogna dare uno spazio di dialogo: i giovani che erano in piazza non hanno compiuto un attentato, non sono gente con il sangue nelle mani. La Russa ha dato dei vigliacchi ai ragazzi. Se ne voleva andare, ma è rimasto. So che va molto di moda la parola canagliesca, detta d’istinto, ma un ministro non dà queste risposte. Non minaccia d’andarsene, appena uno comincia a parlare. Forse sarebbe meglio se se ne andasse davvero, se non sa fare il suo mestiere. Nel curriculum di ogni terrorista c’è il non riconoscimento delle istituzioni, della politica stessa che è risoluzione dei conflitti tramite ricorso alla parola della ragione. La Russa fa come i terroristi: dice ai ragazzi e implicitamente alla politica: “Io non vi riconosco”. Ma loro sono cittadini. Vuol dire che lo Stato non riconosce gli elettori? Certo, questo Stato si mette fuori, perché è in guerra, tra l’altro non si capisce con chi, e sfrutta le paure della gente. Casini da Santoro ha detto: i poliziotti erano lì per tutelare la culla della democrazia. E uno dei manifestanti ha avuto il coraggio di far osservare come quella culla fosse la bara di una democrazia “mercantile”. I politici che lanciano l’appello a tutelare le istituzioni, le pensano in buona salute. La culla della democrazia parlamentare è vuota. Non dico che quindi bisogna tirare i sassi, ma ha ragione lo studente quando dice che questa non è la democrazia di Pericle. Quella culla è anche un posto da cui si evoca con una certa frequenza il partito dell’odio. Ogni dissenso, anche pacifico, ormai è criminalizzato, oltre che inascoltato. Plutarco scrive che nei paesi asiatici si diceva sempre sì, mentre in Europa, dove c’erano democrazie, si diceva no. Sto con Plutarco. Un luogo comune logoro vuole che la società civile si sia progressivamente staccata dalla politica. In analisi logica, un moto da luogo della società. Non sarà che è la politica ad aver aumentato in maniera abissale la distanza che la separa da ciò che i cittadini chiedono? Sì, è una responsabilità della politica, e se il divario diventa molto profondo vuol dire che la società non ha altri luoghi e modi di manifestare se stessa e i propri disagi diversi dalla piazza. I moti violenti sono pericolosissimi. Ma sono anche un monito che la classe politica deve ascoltare, pena la propria sconfitta. Lo si è visto nella rivolta dei ghetti neri a Los Angeles nel ’92: fu allora che venne coniata una parola nuova: sottoveglianza, cioè l’inverso della sorveglianza denunciata da Foucault. La società cominciava a sorvegliare il potere dal basso verso l’alto, era soggetto e non più solo oggetto d’un controllo. La novità in Italia è che questa sottoveglianza ormai esiste. E la politica deve tenerne conto, sapere che è sotto controllo costante. Quindi la ricetta è una società aperta. Ma quali sono gli spazi di un dialogo finora non possibile? I luoghi cui accedono i politici devono accogliere anche i giovani, gli stessi che avranno come pensione 360 euro al mese. Penso alla tv, per esempio. E poi non ci devono essere restrizioni di manifestazione del pensiero sul web. I politici devono cominciare ad ascoltare, perché non sono di fronte a terroristi. Penso alle dichiarazioni dei giovani nella rivolta delle banlieue parigine. Dicevano in tv: “Noi non riusciamo a parlare”. La domanda è di essere ascoltati, di entrare nell’agorà. Oggi c’è una forma di ghettizzazione: è come se una generazione intera fosse chiamata negra. Quando ho visto l’immagine di quel ragazzo picchiato in piazza del Popolo, l’altro giorno, mi è tornato alla mente il filmino sul pestaggio di Rodney King nel ‘91. Ripreso da persone che stavano lì – e qui torna la sottoveglianza – nel momento in cui la polizia picchiava il giovane nero. La rivolta dei ghetti nacque da lì. Saviano ha scritto: “Gli infiltrati ci sono sempre, da quando il primo operaio ha deciso di sfilare. E da sempre possono avere gioco solo se hanno seguito. È su questo che vorrei dare l'allarme. Non deve mai più accadere. Così inizia la nuova strategia della tensione, che è sempre la stessa: com'è possibile non riconoscerla? Com'è possibile non riconoscerne le premesse, sempre uguali? Quegli incappucciati sono i primi nemici da isolare”. Non sarà un po’ limitata la sua analisi? Come lui condanno la violenza anche perché controproducente rispetto a ciò che si vuole ottenere. È vero anche che un movimento, anche di tipo diverso da quello degli anni di piombo, può essere accompagnato da una strategia della tensione e avere quindi gli stessi risultati. Approvo dunque la messa in guardia di Saviano. Al tempo stesso, la messa in guardia non può essere l’unica premessa, a mio parere, del discorso con questi giovani, perché in loro non c’è un disegno politico di tipo classico. C’è un disegno di chi è relegato fuori in maniera radicale dalla politica e vuole entrarci. Questo è un atto politico di persone che sono fuori dalla gestione pacifica dei conflitti. Si fa il paragone con gli anni di piombo. Ma queste proteste non hanno nulla di ideologico. In piazza c’erano precari senza futuro, terremotati senza case, ricercatori che rischiano di sparire, napoletani sommersi dai rifiuti. Alemanno – uno che a qualche manifestazione non pacifica ha partecipato – ha detto: ”Non dobbiamo tornare agli anni ’70. Tutte le istituzioni facciano muro contro questa azione violenta perché non è più tollerabile”. Sono un po’ stanca di sentire ricordati gli anni 70 e anche della frase “bisogna stare in guardia”. Dire “tutte le istituzioni facciano muro” significa solo che salta la pluralità delle istituzioni. Che tutte devono rispondere al comando di un unico capo. È la logica di un paese in guerra. Fare muro è un giudizio negativo sulla magistratura che ha appena scarcerato i giovani. C’è poi un dato: il rapporto Stato-cittadini. Lo Stato non può chiamarsi fuori perché il rapporto non è paritetico. Le analisi migliori le ho viste nei pezzi di Bonini e Bianconi. In quelle dei politici ho visto solo il desiderio di compiacere quella che loro immaginano sia la maggioranza silenziosa. Non vogliono risolvere i problemi, vogliono solo che la vetrina non sia rotta. Questo non è governare, è la risposta per ottenere una buona reazione da un eventuale sondaggio. Anche quella dei politici che si sottraggono al confronto è violenza. Il direttore del Giornale, Sallusti, ha detto: "Se un uomo a 37 anni non può pagarsi il mutuo è colpa sua: vuol dire che è un fallito". Nemmeno gli avversari del '68 usavano aggettivi simili. Dici a un’intera generazione che è fallita: tanto vale farla fuori. Maggioranza e opposizione, salvo qualche eccezione, sembrano aver dismesso il mandato di rappresentanza dei cittadini. Vero? Vedo anch’io una dismissione del mandato politico. In questi anni c’è stata una svendita: nessuno si occupa dei cittadini. Ogni giorno sentiamo politici appellarsi alla sovranità di un popolo per legittimare il loro agire politico. Ma come si permettono? C’è un enclave di persone che comandano e un muro che le separa dai barbari. Ma i barbari, attenzione, sono gli italiani. Miopia o dolo? L’errore maggiore è non saper prevedere, non ascoltare domande e non dare risposte . L’errore non è fare politiche austere, come dimostrano i casi di Grecia e Irlanda. L’errore è far fare i sacrifici solo a chi è già emarginato. Bisognava riconoscere la crisi, il nostro governo l’ha sempre negata, sostenendo che è un’invenzione dei media. Ma quando si vive nella menzogna, la bolla scoppia. Chi semina miseria senza spiegare perché raccoglie collera. E questo è vero da migliaia di anni.

giovedì 16 dicembre 2010

Il dopo 14 dicembre

Dal sito www.spinoza.it i due post del dopo 14 dicembre. Esilaranti! Grandi ragazzi!


Camera con Visa

Mozione di sfiducia: 314 “No” e 311 “Oh, cazzo”.

(Berlusconi è sceso così in basso che è riuscito a non cadere)

Il governo resiste per tre voti. Ora ci attende una nuova era di benessere.

Berlusconi ottiene la fiducia con 314 voti. Voi invece come spenderete la vostra tredicesima?

(Messaggio a tutte le minorenni: in questi giorni non uscite assolutamente. In qualche modo vorrà sicuramente festeggiare)

Dubbi fino all’ultimo sulle tre deputate partorienti. Ancora non si sa quale dei tre sia l’Anticristo.

Il premier era partito guadagnandosi la fiducia dei senatori. La base di tutte le truffe agli anziani.

(Questo voto di fiducia è stato talmente sconcio che i diplomatici americani riferiranno direttamente a Wikileaks)

Il Pd si presenta al gran completo e vota in modo compatto. Certe volte non li capisco proprio quelli lì.

Berlusconi aveva invitato i finiani a non rompere l’unità dei moderati. Che graziosa metafora!

(Il premier sperava di fare un patto coi moderati. Ma quelli all’inferno ci credono)

Di Pietro prende la parola e Berlusconi lascia l’aula. Voleva che il suo voto rimanesse una sorpresa.

Il premier: “Sono il leader più amato in Europa”. E vattene lì.

L’opposizione: “È una vittoria di Pirro”. Gasparri: “No no, di Berlusconi”.

Rutelli: “La giornata di oggi sancisce la nascita del terzo polo”. Guarda, anche noi l’abbiamo interpretata così.

Dopo il voto Berlusconi va da Napolitano. A versare la caparra.


Golpe piccolo borghese


Roma a ferro e fuoco. Berlusconi ottiene la fiducia, ma per errore lancia lo stesso il piano B.

Emilio Fede: “Roma invasa da criminali ben pagati”. Esagerato, erano solo 314.

(Il cesarismo, il regime fascista, i moti rivoluzionari, il ’68. Con la riforma Gelmini la storia si studia in piazza!)

Decine di macchine incendiate nel centro della città. Erano tutte della Polidori.

“Danni senza precedenti all’immagine della capitale” ha detto Alemanno riassumendo il suo mandato.

Berlusconi: “Il paese non ha bisogno di personalismi. Lasciate fare a me”.

Da Vespa il plastico di Montecitorio. Si potrà analizzare la traiettoria delle mazzette.

Dopo la fiducia, il premier pranza con Napolitano. È bello, nei giorni di festa, sedersi a tavola con la servitù.

“Sono fiero dei miei deputati” ha dichiarato Casini, tastandoseli.

Delusione delle deputate in dolce attesa presenti in aula. Berlusconi per ora non intende reincarnarsi.

Letame a palazzo Grazioli. La maggioranza si ricompatta.

Calderoli: “Il governo mangerà il panettone, ma non la colomba”. E che cazzo l’avete comprata a fare?

“L’unica igiene è il voto” ha detto Bossi, chiedendo con urgenza una scheda.

“Elezioni? Meglio risparmiare quei soldi e darli agli italiani” ha dichiarato Scilipoti, nella sua veste di rappresentante degli italiani.

(Poco prima Scilipoti aveva confessato la sua indecisione a Veltroni. Voleva far colpo su di lui)

Scilipoti: Annozero ha importunato mia madre”. Però anche lei, andare in giro in quel modo.

Gasparri alza il dito medio verso Fini. Se lo era segnato col pennarello.

Bersani: “Non cambia nulla. È questo il problema, fagiano!

venerdì 10 dicembre 2010

I falsi Diari di Mussolini e le Opinioni (pubbliche o private)

Cominciamo da questo brano dell'articolo di Di Pasquale Chessa sul Fatto Quotidiano di ieri.

La Storia non è un’opinione

Nella civiltà dell’opinione di massa, c’è un deficit di illuminismo: la democrazia si è rivelata incapace di escogitare un meccanismo efficace con cui regolare, come con il voto si è trovato il modo di regolare democraticamente la rappresentanza, anche la formazione dell’opinione pubblica. Il mercato dell’opinione infatti non distingue fra buono e cattivo, vero e falso. Fino al punto che la politica trova nella bugia la sua arma migliore. Spetta allora all’informazione cercare di raddrizzare il legno storto della democrazia. Come? Per esempio facendo le domande giuste.

Le parole chiavi sono civiltà dell'opinione di massa e formazione dell’opinione pubblica.

Ma leggiamo ora tutto l'articolo, che forse fa capire una volta di più cosa vuol dire fare giornalismo. Un grazie alla redazione del Fatto!

Dal sito del Fatto:

Dal libro “L'ultima lettera di Benito” di Pasquale Chessa e Barbara Raggi emerge il ritratto di un uomo che ancora s'illudeva di rianimare con il suo carisma il morente fascismo repubblichino: “Hai già saputo che ho sempre girato in piedi sul predellino”, scriveva il dittatore raccontando il suo trionfale ingresso a Milano. Lei invece si lamentava dei loschi figuri che gli piazzavano intorno ragazze a pagamento per spodestarla: “Queste sono donne che la tua segreteria politica, quel gruppo di greppinati fetidi, ti servono per eliminare definitivamente me … Di una marchettara possono servirsene anche loro e manovrarla”. Mussolini è preoccupato: “Allo stato delle cose tutto ciò esce dal campo domestico per entrare in quello politico”. Così la storia di ieri sembra somigliare a quella di oggi. Con ragazze come Myriam che vuole fare l'attrice a Berlino e chiede a Benito di essere raccomandata a Gobbels. E il fratello della Petacci che fa “delle richieste fantastiche”, domandando favori che nemmeno il Duce può esaudire perché “in tutta l'Italia repubblicana non c'è quanto chiesto”

Il nuovo Benito, modello dell’Utri

giovedì 9 dicembre 2010

La partita dell'OGM

Riporto una mail di Greenpeace Italia. Se volete fare delle eventuali donazioni sotto c'è il link.

Ciao,

abbiamo girato l’Europa, partecipato a conferenze, incontrato politici ma soprattutto abbiamo chiesto la vostra partecipazione. Alla fine eccoci al traguardo: insieme ad Avaaz, abbiamo raccolto oltre un milione di firme per chiedere all’Unione europea alimenti sicuri e senza OGM e le abbiamo appena consegnate al commissario alla Salute dell’Ue, John Dalli. Ad accogliere i politici, davanti alla sede della Commissione, un'enorme rappresentazione in 3D di un campo agricolo biologico, realizzata dall'artista di fama mondiale Kurt Wenner.

Non è solo una petizione. Per la prima volta stiamo facendo valere i nostri diritti di cittadini europei. Grazie all’ “iniziativa dei cittadini”, prevista dal Trattato di Lisbona del dicembre 2009, gli europei possono chiedere all’Ue di modificare leggi comunitarie. Noi chiediamo di vietare gli OGM fino a quando verrà istituito un nuovo organo tecnico scientifico, più indipendente e competente dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa).

La petizione è stata lanciata lo scorso marzo in seguito all'approvazione, da parte della Commissione, della patata OGM resistente agli antibiotici, autorizzata nonostante rilevanti dubbi a livello scientifico. Molti Paesi stanno citando la Commissione alla Corte europea di giustizia per questa autorizzazione.

E Galan? Il nostro ministro delle Politiche agricole deve piantarla con l'ostruzionismo verso le Regioni che stanno agendo a tutela della nostra agricoltura e dichiarare ufficialmente l’Italia libera dagli OGM.

Grazie al sostegno di persone come te, continueremo a portare avanti la nostra campagna contro gli OGM! Dona ora!
DONA ORA

Grazie!

Federica Ferrario
Responsabile campagna OGM
Greenpeace Italia

Appello a tutte le scuole e università

Sapienza in mobilitazione: appello a tutte le scuole e le università verso il 14 dicembre



Le straordinarie giornate di mobilitazione delle scorse settimane ci consegnano un dato importante: in tutta Italia migliaia di studenti e ricercatori sono scesi in piazza creando una reale opposizione non solo al Ddl Gelmini, ma a tutte le devastanti politiche economiche e sociali di questo governo. Le nostre mobilitazioni sono state anche e soprattutto una presa di parola da parte di un'intera generazione che ha espresso con forza la volontà di riprendersi il proprio futuro, di rivendicare finanziamenti per l'accesso alla cultura, per le scuole e l'università, nuove forme di welfare per chi le garanzie non ce le ha avute mai.

Occupazioni delle facoltà e delle scuole, dei binari, dei monumenti, blocchi stradali, assedi ai luoghi del potere sono le forme con le quali siamo riusciti in tutte le città a dar vita ad una pratica vera di sciopero generalizzato, a bloccare il paese, a irrompere sulla scena pubblica aprendo una nuova fase: non c'è pacificazione sociale possibile in un paese il cui governo, con violenza ed arroganza, vuole fare pagare la crisi a chi non l'ha creata.

Lo slittamento della votazione in Senato del Ddl Gelmini, determinato dalla forza dei conflitti, rappresenta già di per sé una prima vittoria del movimento.

Per questo la data del 14 dicembre, giorno in cui il Parlamento voterà la fiducia, assume un'importanza ancora più grande. Non solo perché le sorti del Ddl sono ormai legate indissolubilmente al destino di questo governo, ma anche perchè abbiamo dimostrato che l'unica alternativa a queste politiche di gestione della crisi non può darsi se non a partire dalle esperienze di lotta e di democrazia diretta che i movimenti sociali stanno costruendo.

All'attacco portato avanti nei confronti dei diritti dei lavoratori, al razzismo di stato che dilaga in questo paese, ad un governo che devasta l'ambiente e nega un presente ed un futuro degno a milioni di giovani, di studenti e di precari, non possiamo che rispondere costruendo uno spazio comune per le lotte sociali in continuità con la grande manifestazione del 16 ottobre. Le lotte e le mobilitazioni di queste settimane ci dimostrano che il 14 non saranno né gli intrighi di palazzo né le contraddizioni di questa maggioranza a sfiduciare il governo.

Quel giorno in piazza saranno gli studenti delle università e delle scuole di tutta Italia, i movimenti sociali e lgbtq, i sindacati, i migranti e i comitati territoriali contro la devastazione ambientale a mandare a casa il governo.

Da Terzigno a L'Aquila, dagli operai di Pomigliano ai migranti di Brescia, passando per chi lotta contro la privatizzazione dei beni comuni e la difesa del territorio, diremo tutti assieme "Noi non ci fidiamo"!

Una sfida che riguarda tutti e che di non si ferma di certo a quella giornata, ma ci parla della scommessa di un futuro degno da riprenderci e da inventare tutti insieme.
Per questo martedì 14 invitiamo le studentesse e gli studenti di tutti gli atenei e delle scuole alle ore 10 a piazzale Aldo Moro per assediare i palazzi del potere, per ribadire che non avranno mai la nostra fiducia, per riconquistare i nostri diritti, per riprenderci il futuro!


Sapienza in Mobilitazione

Incentivi alla auto-rottamazione

Dal Fatto di oggi...

Romanzo di un giovane vecchio

di Marco Travaglio

Il libro d’oro dei pellegrini in processione alla villa di Arcore si arricchisce di un nuovo, bizzarro visitatore: Matteo Renzi, il giovane sindaco di Firenze che voleva rottamare la vecchia dirigenza del Pd. Giovane si fa per dire: per esserlo, non basta essere nati da poco. In un sol giorno, nel viaggio da casello a casello Firenze-Arcore-Firenze (680 km), è riuscito a invecchiare di 50 anni. E, quando ha cominciato a esternare sul perché e il percome della visita, ne ha presi altri 50. Ora è ultracentenario. “Solo in un paese malato – dice – si può pensare che ci sia qualcosa sotto”. Già. In un paese sano un sindaco del Pd va a baciare la pantofola al nemico pubblico numero uno del suo partito (o almeno dei suoi elettori). Per giunta a pranzo. Per giunta nella sua residenza privata. Per giunta mentre si scopre che quel luogo – oltre a Mangano, Previti, Dell’Utri, Mora, Fede – ha ospitato anche decine di signorine addette al bunga-bunga. Per giunta di nascosto (la notizia è trapelata dall’entourage di B. e solo un furbo molto ingenuo poteva pensare che la notizia restasse top secret, visto il proverbiale riserbo del padrone di casa). Non è dato sapere se ci sia stato il tempo per una fugace visita al mausoleo di Arcore, ma presto il settimanale Chi di Alfonso Signorini pubblicherà il book dell’incontro (ha presente, Renzi, quel vaso di petunie sul comò del Cavaliere? Ecco, era Signorini in uno dei suoi più riusciti travestimenti). Beccato col sorcio, anzi col nano in bocca, il giovane vecchio fa il ganassa e dice che lo rifarebbe “per il bene di Firenze”. Perché – spiega – “mi interessa portare a casa una legge speciale per Firenze da 15 milioni. B. me l’aveva promessa”. L’altro giorno a tavola gliel’ha ripromessa. Ora firmerà pure un Contratto con i Fiorentini, alla presenza di Vespa con tanto di scrivania in ciliegio. Poi dirà che, per colpa di Bin Laden e dell’11 settembre, non se ne fa nulla. Su Facebook, i poveri elettori del Pd che – disperati – speravano in Renzi, lo prendono a male parole. Lui assicura che “mi sto divertendo come un matto a leggere i commenti”. Non lo insospettisce neppure il vedersi difendere dal Giornale, da Libero e financo da Daniele Capezzone, uno che quando ti difende sporgi querela a prescindere perché vuol dire che hai torto marcio (il famoso Capezzone fumante). Un barlume di dubbio, in verità, lo sfiora: “Mi colpiscono certe reazioni avvelenate della gente comune: danno il senso del clima che si respira nel Paese”. Ma è un attimo. Anziché domandarsi il perché di quelle reazioni e di quel clima (magari lo sdegno per un premier che da 16 anni distrugge l’Italia facendosi gli affari suoi e per un’opposizione che non si oppone), il Renzi si risponde: “Viviamo da tre lustri in un derby continuo, ci vorranno anni per ripulire le menti”. E chissà quanto ci vorrà per ripulire la sua da quello che Gaber chiamava “il Berlusconi in me” giudicandolo peggiore del “Berlusconi in sé”: cioè dall’insensibilità ai conflitti d’interessi, al galateo istituzionale, a valori antichi e ormai desueti come la dignità, la sobrietà, la reputazione, il senso dell’opportunità e del limite. Persino il rottamato Bersani, dopo aver detto sciaguratamente “andrei ad Arcore anche a piedi pur di avere una riforma del mercato del lavoro”, fa notare in un lampo di lucidità che un sindaco incontra il premier a Palazzo Chigi, non a villa Bungabunga. Renzi gli risponde con una toppa che è peggio del buco: “Se B. mi invita ad Arcore che devo dirgli: ci vediamo allo svincolo autostradale di Monza?”. Poi peggiora ulteriormente la situazione: “Bastonano me perché parlo con B. e vogliono fare un governo o un’alleanza con Fini”. Dal che si deduce che il presunto avversario delle “ideologie” preferisce la destraccia affaristica del Cainano a quella più presentabile (o meno impresentabile) di Fini. Così chi voleva rottamare il politburo piddino ha regalato ai vecchi marpioni del partito un’arma formidabile per rottamare lui. Il giovane vecchio è anche un furbo fesso.

lunedì 29 novembre 2010

Mario Monicelli



Si è tolto la vita un grande della cultura italiana.

Quest'anno alla manifestazione del Popolo Viola in piazza del Popolo l'ho sentito parlare ai giovani...

Uguaglianza, Giustizia e Diritto al Lavoro

Ecco le cose per cui ci si deve battere. La libertà è un'altra cosa dice Monicelli, senza questi tre ingredienti non si può avere libertà. La libertà può essere una trappola. Bisogna prima conquistare questi tre elementi essenziali.

Addio Monicelli

mercoledì 24 novembre 2010

Assedio a palazzo Madama

Occupazionde del senato



Dal sito www.uniriot.org

Roma ore 10.30 - Dalla Sapienza un corteo spontaneo di un migliaio di studenti si sta muovendo verso Montecitorio.

Pisa ore 10.30 - Assemblee partecipate in tutte le facoltà occupate, tra poco si uscirà in corteo.

Bologna ore 10.30 - Lezioni dei ricercatori in piazza Verdi e azioni comunicative in zona universitaria

Roma ore 10.50 - Migliaia di studenti partono dal Colosseo verso il parlamento: il coro 'assediamo il parlamento' risuona per tutto il centro di Roma!

Bologna ore 11.20 - Centinaia di studenti e ricercatoristanno tenendo lezioni in piazza Verdi. Un microfono aperto in piazza per esprimere tutta l'indignazione e la rabbia contro lìapprovazione del ddl. Apppeso in piazza lo striscione ' blocchiamo il ddl gelmini subito' firmato studenti e ricercatori Guarda le prime foto della mobilitazione

Padova ore11.20 - Centinaia di studenti bloccano gli ingressi delle facoltà di scienze, psicologia, lettere, scienze politiche occupata ed ora dalle facoltà si riuniscono per attraversare le strade della città.

Roma ore 11.30 - In tantissimi ci stiamo dirigendo verso Montecitorio: Assediamo il parlamento!

Roma ore 11.40 - Il corteo invade le strade del centro e si dirige in maniera selvaggia verso il parlamento! Guarda le prime foto della mobilitazione

Padova ore 11.55 - Un migliaio di studenti bloccano l'ingresso della stazione ferroviaria

Perugia ore 11.55 - Studenti ricercatori e precari salgono sul tetto della mensa universitaria

Roma 12.00 - Studenti e precari, tutte le facoltà occupate, in tantissimi siamo arrivati a montecitorio al grido NON CI RAPPRESENTA NESSUNO! GOVERNO DIMETTITI!

Roma ore 12.10 - La piazza di Montecitorio è strapiena continuano i cori contro il governo! Le università saranno ingovernabili! Gli studenti annunciano che la pizza è troppo piccola per contenerli tutti!

Padova ore 12.20 - Gli studenti si sono spostati sul cavalcavia dietro la stazione e bloccano la circolazione di tram e auto

Roma ore 12.20 - Gli studenti lasciano la piazza Montecitorio per bloccare selvaggiamente le strade

Roma ore 12.30 - Lanci di uova alla sede della Crui. Glistudenti invadono il Senato in migliaia, passano il primo portone poi vengono bloccati. La strada è bloccata il SENATO ASSEDIATO!!

Pisa ore 12.30 - Migliaia di studenti, divisi pe facoltà, stanno bloccando simultaneamente i 5 principali ponti dell'arno. Il traffico cittadino è completamente paralizzato!

Padova ore 12.40 - Gli studenti si avviano in corteo selvaggio attraverso la circonvallazione esterna della città!

Roma ore 12.40 Il corteo assedia il senato. La polizia spiazzata non sa cosa fare!

Roma ore 13.00 - Continua il corteo selvaggio dopo l'ingresso al senato, i lanci di uova e gli spintoni. Si riparte! La polizia richiude l'ingresso del senatogli studenti proseguono il corteo a ritmo di samba!

Roma ore 13.20 - Studenti e precari provanoad arrivare a palazzo Grazioli. Trovano davanti un cordone di polizia. Dimissioni dimissioni!!

Padova ore 13.20 - Gli studenti bloccano il cavalcavia Chiesanuova che permette l'accesso alla città, la polizia carica ma il blocco continua!

Bologna ore 13.40 - Gli studenti con cartelli 'o la borsa o la vita' e megafono entrano nella mensa universitaria per comunicare a tutti l'importanza della giornata di oggi e l'appuntamento di piazza Verdi fissata alle 17 .. per occupare il rettorato!!Guarda le prime foto della mobilitazione

Pisa ore 16.00 - Bloccato l'aereporto della città, gli studenti stanno invadendo le piste e hanno bloccato i check, in solidarietà agli arrestati di Roma, gridando "Solidarietà, blocchiamo il DdL, diritto al futuro!

sabato 20 novembre 2010

L'Italia che immagino

Dal canale Italia che immagino:

La mafia mi fa schifo

E' scritto nero su bianco che Berlusconi ha stretti contatti con la mafia alla quale ha versato fiumi di denari. Il fondatore di Forza Italia, Dell'Utri, e' condannato in Appello (manca solo la Cassazione, il suo processo ha gia' passato il primo, il secondo grado e appunto l'Appello, la giustizia italiana...) per associazione mafiosa esterna. Ma attenzione, non e' che un associato esterno e' meno "mafioso", meno pericoloso e cosi' e' meno importante la sua condanna. Ovviamente, la mafia senza gli "associati esterni" non potrebbe estendere gli affari ad un livello "imprenditoriale". Gli associati esterni devono allora essere imprenditori (vedi Mr B. ) o politici (vedi Andreotti, Dell'Utri, Cosentino) perche' l'azione della mafia sia piu' efficace! Travaglio dice di sapere da 15 anni che Mr B. ha legami con la mafia (e li ha almeno dal 1974, carta canta). Io l'ho scoperto almeno dieci anni fa, leggendo i blog e tutta l'informazione alternativa. Quanta gente ancora nei giorni d'oggi non sarebbe capace di accettare una notizia cosi' sconquassante. Non e' facile da accettare, io ho impiegato un po' di tempo per metabolizzarla, non perche' sia mai stato berlusconiano (rabbrividisco!), ma per la portata del messaggio e per la prudenza nell'utilizzare notizie da fonti "non ufficiali".

Insomma possiamo dirlo forte: "BERLUSCONI HA FATTO AFFARI CON LA MAFIA, HA FONDATO UN PARTITO CON UN ASSOCIATO ALLA MAFIA".

Non deve dimettersi, no, sono gli italiani che lo devono defenestrare!

Dal Fatto di oggi...

Coso nostro

di Marco Travaglio

Ci sarà tempo per valutare nei dettagli la sentenza della Corte d’appello di Palermo che spiega la condanna di Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa a 7 anni di carcere (contro i 9 del primo grado). Il perché dello sconto era già chiaro dal dispositivo emesso il 29 giugno: i secondi giudici, diversamente dai primi, hanno ritenuto provata la mafiosità del senatore imputato fino al 1992 e non dopo, quando Dell’Utri inventò Forza Italia e Berlusconi portò la Fininvest nello Stato. Le motivazioni del taglio netto al ‘92 aprono ampi spazi per un ricorso in Cassazione: i giudici fanno i salti mortali per salvare il Berlusconi politico dalle contiguità mafiose, negando addirittura l’evidenza delle prove documentali (come gli incontri con Mangano nel novembre ’93 registrati nelle agende di Dell’Utri primo e da lui stesso ammessi) e liquidando frettolosamente le testimonianze di Spatuzza e Ciancimino. Ma, anche alla luce di questa sentenza discutibile e minimalista, non si comprende – se non per scopi di bieca propaganda – l’esultanza che accompagnò la lettura estiva del dispositivo. Semmai c’è da notare come i giudici più benevoli che Dell’Utri abbia mai incontrato nella sua lunga carriera di imputato non abbiano potuto fare a meno di citare in una sentenza di mafia Silvio
Berlusconi per ben 440 volte, mettendo nero su bianco che: per vent’anni Dell’Utri è stato “il mediatore” e lo “specifico canale di collegamento” tra Cosa Nostra e B. (non è un omonimo del nostro premier: è proprio lui); che “ha apportato un consapevole e valido contributo al consolidamento e al rafforzamento del sodalizio mafioso” capeggiato prima da Bontate e poi da Riina fino a tutto il 1992, l’anno delle stragi di Capaci e via D’Amelio; che l’assunzione del mafioso Mangano nel 1974 fu suggellata da un incontro a Milano fra B. (sempre il nostro premier) e Dell’Utri da una parte, e i boss Bontate, Teresi e Di Carlo dall’altra; che Mangano non era uno stalliere o un fattore, come han sempre raccontato Silvio e Marcello, ma il garante di Cosa Nostra a protezione dell’“incolumità” di B. (sempre il nostro premier); e che, per vent’anni, fino al 1992 mentre esplodevano le bombe, B. versò sistematicamente a Cosa Nostra “ingenti somme di denaro in cambio della protezione alla sua persona e ai suoi familiari” e della “messa a posto” delle tv Fininvest in Sicilia. In pratica il nostro premier non denunciò mai alle forze dell’ordine attentati e minacce della mafia, ma preferì farsi proteggere dai mafiosi. Cioè: abbiamo un presidente del Consiglio che per vent’anni ha finanziato la mafia degli omicidi eccellenti e delle stragi, mentre il suo braccio destro che siede in Senato è un mafioso “esterno” infiltrato nelle istituzioni. Noi lo sappiamo da 15 anni. Altri, si spera, lo scopriranno ora. Ogni giorno che passa con Berlusconi a Palazzo Chigi e Dell’Utri in Senato è un giorno di troppo.

Bersani Rock o Lento?

Dal blog di Alexander Stille su Repubblica.it riporto un intervento di una studentessa che vive in america e che spiega come lei non di destra sia stata piu' toccata dalla parole di Fini che di Bersani a "Vieni via con me" il programma di Saviano (e di Fazio). Bersani, devo dire anch'io, mi ha fatto tristezza. E pensare che e' stato eletto al comando del partito democratico con lo slogan: Bersani Rock!

Dal sito http://stille.blogautore.repubblica.it/2010/11/20/fini-vs-bersani/?ref=HREA-1

Mi ha segnalato uno studente italiano della Columbia University, Francesca, un fatto singolare. Aveva guardato Pierluigi Bersani e Gianfranco Fini elencare i rispettivi valori della sinistra e della destra sul programma di Fabio Fazio. Pur non identificandosi come persona di destra, ha detto che aveva preferito di gran lunga l’elenco di Fini. Vedendo poi la trasmissione, è difficile non darle ragione.

La presentazione di Bersani era effettivamente noiosa e l’unico vero valore che ha espresso era difendere i più deboli contro i più forti, un richiamo ripetuto almeno quattro volte nell’elenco. Più che esprimere valori di fondo, Bersani sembrava difendere dei programmi sociali: la scuola pubblica, la salute pubblica, il diritto al lavoro, i diritti dei lavoratori precari a stipendi equi, e quasi sempre per la stessa ragione (indebolire la scuola pubblica significa danneggiare i più deboli). “Sentendo Bersani” ha detto Francesca “se non sapessi nulla di questi due signori, avrei pensato: questo alzerà le tasse, non lo voto.” Quelle che mi ha colpito nel discorso di Fini è che tutto sommato si poteva benissimo sostituire Destra con Sinistra nel titolo del discorso e l’intervento di Fini avrebbe avuto altrettanto senso, perché nonostante il fatto che amare la patria sia un valore della destra, Fini ha anche detto che essere di destra vuol dire essere solidali e generosi; non sono anche questi valori della sinistra? Fini con più efficacia, toccando corde più emotive, ha fatto dei richiami al senso dello Stato, a istituzioni autorevoli, meritocrazia, uguaglianza di opportunità, e a un sistema di giustizia dove la legge è uguale per tutti, che non tollera le clientele, dove chi sbaglia paga e chi segue le regole è premiato. Questi sono dei valori che toccano corde più profonde dell’elenco di programmi di Bersani ma paradossalmente sono tutti valori che un partito della Sinistra potrebbe benissimo abbracciare e fare suoi.

Non si capisce perché i partiti della Sinistra fanno così fatica a comunicare emotivamente con la maggioranza dell’elettorato e lascia a certe figure della destra di impadronirsi di valori che potrebbe benissimo utilizzare per ampliare il suo consenso.

È un peccato la prestazione di Bersani. Perché nel suo operato da Ministro lui ha effettivamente cercato di aprire certi mercati chiusi nella società italiana e di liberalizzare il mercato delle farmacie, dei notai, e altre categorie protette che godono di certi privilegi che sono anti-competitivi e che danneggiano sia i consumatori che i giovani che vogliono affermarsi in queste categorie. Per cui nel suo lavoro concreto ha voluto favorire uguaglianza di opportunità, competitività e merito, oltre al rispetto per le regole, ma non si capisce perché non riesce a spiegare questi valori come parte di una visione della sinistra.

Stranamente – e non è l’unico parallelo tra l’Italia e gli Stati Uniti – la stessa cosa avviene qui in America. La destra americana si è completamente impadronita di valori patriottici e non esita, a differenza di Fini, che si comporta con grande moderazione, a tacciare i Democratici come o non americani (Obama non è nato negli Stati Uniti, è un musulmano) oppure anti-americani (Obama mira a distruggere il sistema americano). Obama e i Democratici cercano di spiegare i dettagli della riforma sanitaria piuttosto che il loro piano finanziario senza esprimere in modo chiaro una loro visione del paese per toccare tasti più profondi.

venerdì 19 novembre 2010

La mafia al nord

Da Repubblica.it il COMMENTO di Ezio Mauro di oggi riportato solo in parte qui sotto, ma che potete leggere per intero QUI.


Il Caso Saviano


Ma Roberto Saviano ha davvero detto in televisione che il Nord è mafioso? Ovviamente no. L'autore di "Gomorra" conosce troppo bene il fenomeno delle organizzazioni criminali, della loro diversificazione economica e delle loro diramazioni per cedere a simili semplificazioni. Costruire questa sciocchezza, e imputargliela, è una chiarissima operazione ideologica, che si basa sul falso e dunque appartiene al solito marchio della fabbrica del fango, creato e custodito da anni nei quartieri bassi dell'impero berlusconiano.

Ci si potrebbe fermare qui. Ma in realtà nell'affanno di questa denuncia ci sono tre aspetti più generali, su cui vale la pena di riflettere, soprattutto oggi che ci si può complimentare col ministro degli Interni per la cattura del numero uno dei Casalesi, Antonio Iovine.

Il primo aspetto è istituzionale. Negare che la mafia sia ormai non solo infiltrata, ma insediata nel Nord d'Italia è un'ipocrisia, e quando l'ipocrisia è del governo diventa una pericolosa sottovalutazione della realtà, che non aiuta il Paese ad essere consapevole del fenomeno.

[...]

Il secondo aspetto di questa vicenda è culturale. La furia contro Saviano è furia contro un uomo solo. Saviano non ha dietro di sé un mondo strutturato, un partito, un apparato, un potentato economico, un'azienda: anzi, l'azienda editoriale per cui pubblica lo ha scomunicato attraverso le parole del suo azionista, e alla Rai è soltanto un ospite di passaggio, mal sopportato anche se di successo. Certo, ha lettori a centinaia di migliaia, nelle librerie e a "Repubblica", ma è un uomo libero nella sua vita minima, ridotta e sorvegliata. E soprattutto solo. Attaccarlo dalle sedi del potere, e dai suoi sottoscala, è un'operazione sproporzionata, una dismisura tipica del potere oggi dominante.

[...]

Infine l'ultimo aspetto (per il momento) di questa storia: che è politico, finalmente. Attaccando Saviano per il suo monologo sulle mafie, il potere e le sue guardie del corpo cercano spaventati di colpire qualcos'altro che sentono ma non vedono, come se si muovessero al buio. Diamo un nome a questa cosa. È il peso politico, tutto politico del discorso di Saviano. Che è tale proprio perché non fa politica, e non vuole farla. Perché è un discorso sofisticato nella sua esperienza sul crimine, e insieme ingenuo nel senso originario del termine, un discorso che non bada alle conseguenze e agli opportunismi, non fa calcoli. Dunque un discorso disarmato da interessi collaterali, perché testardamente ha interesse solo per le parole che pronuncia. Che perciò vengono percepite come autentiche da milioni di persone. E questo fa confusamente paura al potere dominante, afasico nei suoi proclami, sempre più costretto a lavorare sottobanco, proprio perché le sue parole non funzionano più, o suonano false.

Fa paura l'idea che quei nove milioni di spettatori per Saviano non si spieghino soltanto con ragioni televisive, ma col bisogno di un linguaggio appunto nuovo, di significati diversi, di codici differenti. Un bisogno di cambiare programma non solo in tivù, ma nel Paese.

domenica 7 novembre 2010

A che bell’ò cafè

Prima pagina venti notizie
ventuno ingiustizie e lo Stato che fa
si costerna, s’indigna, s’impegna
poi getta la spugna con gran dignità

Cambierà mai l'Italia?



Io mi chiamo Pasquale Cafiero
e son brigadiere del carcere oinè
io mi chiamo Cafiero Pasquale
sto a Poggio Reale dal ’53

e al centesimo catenaccio
alla sera mi sento uno straccio
per fortuna che al braccio speciale
c’è un uomo geniale che parla co’ me

Tutto il giorno con quattro infamoni
briganti, papponi, cornuti e lacchè
tutte l’ore cò ‘sta fetenzia
che sputa minaccia e s’à piglia cò me

ma alla fine m’assetto papale
mi sbottono e mi leggo ‘o giornale
mi consiglio con don Raffae’
mi spiega che penso e bevimm’ò cafè

A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella
ci ha dato mammà

Prima pagina venti notizie
ventuno ingiustizie e lo Stato che fa
si costerna, s’indigna, s’impegna
poi getta la spugna con gran dignità
mi scervello e mi asciugo la fronte
per fortuna c’è chi mi risponde
a quell’uomo sceltissimo immenso
io chiedo consenso a don Raffaè

Un galantuomo che tiene sei figli
ha chiesto una casa e ci danno consigli
mentre ‘o assessore che Dio lo perdoni
‘ndrento a ‘e roullotte ci tiene i visoni
voi vi basta una mossa una voce
c’ha ‘sto Cristo ci levano ‘a croce
con rispetto s’è fatto le tre
volite ‘a spremuta o volite ‘o cafè

A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella
ci ha dato mammà

A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella
ci ha dato mammà

Qui ci stà l’inflazione, la svalutazione
e la borsa ce l’ha chi ce l’ha
io non tengo compendio che chillo stipendio
e un ambo se sogno ‘a papà
aggiungete mia figlia Innocenza
vuo’ marito non tiene pazienza
non chiedo la grazia pe’ me
vi faccio la barba o la fate da sé

Voi tenete un cappotto cammello
che al maxi processo eravate ‘o chiù bello
un vestito gessato marrone
così ci è sembrato alla televisione
pe’ ‘ste nozze vi prego Eccellenza
mi prestasse pe’ fare presenza
io già tengo le scarpe e ‘o gillè
gradite ‘o Campari o volite ‘o cafè

A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella
ci ha dato mammà

A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella
ci ha dato mammà

Qui non c’è più decoro le carceri d’oro
ma chi l’ha mi viste chissà
chiste so’ fatiscienti pe’ chisto i fetienti
se tengono l’immunità

don Raffaè voi politicamente
io ve lo giuro sarebbe ‘no santo
ma ‘ca dinto voi state a pagà
e fora chiss’atre se stanno a spassà

A proposito tengo ‘no frate
che da quindici anni sta disoccupato
chill’ha fatto quaranta concorsi
novanta domande e duecento ricorsi
voi che date conforto e lavoro
Eminenza vi bacio v’imploro
chillo duorme co’ mamma e co’ me
che crema d’Arabia ch’è chisto cafè

Votate per chi volete ma votate

Questo video non ha bisogno di commenti. È eccezionale!



giovedì 4 novembre 2010

Vecchietti

Dal sito www.voglioscendere.it

Quella che segue è la lettera di Bepi Covre, ex deputato leghista, imprenditore, sindaco di Oderzo, consigliere provinciale di Treviso che è stata pubblicata dal Mattino di Padova un paio di giorni fa. E’ indirizzata al nostro Cavaliere Supremo. E’ asciutta, diretta, efficace. Vale la pena di non farla passare inosservata.
p.c.

Signor Presidente Berlusconi,
ho una figlia di 17 anni, ultima di due fratelli più grandi. Angela è una ragazza normale, che studia, fa sport, va alle feste che organizza assieme ai suoi compagni e coetanei. Se solo venissi a sapere che frequenta e va a feste dove ci sono «vecchietti» magari danarosi, profumati e stravaganti... Personaggi che potrebbero avere gli anni dei suoi genitori, se non dei suoi nonni?! Signor Presidente, mi sentirei un genitore fallito! Non per questo rinuncerei a prendere alcuni urgenti provvedimenti che vado ad elencare. Primo: due solenni scapaccioni alla figliola minorenne. Così come previsto dal manuale antico, consolidato della sana tradizione pedagogica contadina. Nei giorni a seguire, sbollita rabbia e senso di frustrazione, cercherei di ripristinare un corretto e utile dialogo con la figliola. Assieme alla moglie (madre della figlia) mi impegnerei su questo versante. Secondo: mi farei dare nome ed indirizzo dei vecchietti organizzatori del bunga/bunga. Prima ancora di denunciare e attendere lungaggini, accertamenti e indagini; prima ancora di coinvolgere la giustizia con i tempi secolari in cui si muove. Da subito farei visita ai vegliardi (mal invecchiati) ben munito di opportuna mazza da baseball!

Signor Presidente, queste le mie istintive reazioni genitoriali alla lettura di quanto riportano i mass media; l'ultima tristissima vicenda che La riguarda unitamente alla minorenne extracomunitaria (nipote presidenziale) in realtà una irregolare, neppure cittadina italiana. Il mio non vuole essere un giudizio, piuttosto la reazione di un padre. Non mi interessa sapere se e quante volte e quando Lei Signor Presidente, ha visto, incontrato, aiutato la giovane Ruby. Non me po' fregar de meno. Trovo innaturale, sconveniente, immorale, inopportuno che un Signore di oltre settantanni, padre e nonno, organizzi feste a casa propria senza selezionare rigorosamente gli ospiti. Permetta cioè che persone minorenni si imbuchino... Io mia figlia ad Arcore non la manderei MAI.

Signor Presidente, è giusto che i giovani frequentino i giovani, gli anziani rimangano tra di loro. E' sempre andata così, lo impone il buon senso e la civiltà latina (in altri Paesi ci sono altri usi e costumi). Signor Presidente, Lei è un vecchietto, si rassegni, non è una colpa neppure una disgrazia, anzi un privilegio arrivarci. Dovrebbe essere felice. Pensi solo a quanti non ci arrivano... Altra questione nella tristissima vicenda. Si legge che ha aiutato con del denaro la minorenne (nipote presidenziale). Gravissimo errore! Chi dà soldi, o fa la carità oppure è, nella migliore delle ipotesi, captatio benevolentia. Se è un gesto caritatevole, non andava fatto direttamente alla fanciulla. Presidente, doveva informarsi sui genitori e rivolgersi a loro. Vista la situazione nello specifico, cercare la Tutrice/Sorvegliante e trattare la questione a quel livello. Il fatto poi della telefonata in Questura, non so e non mi pronuncio.

L'altra sera in conferenza stampa da Bruxelles, Lei Signor Presidente ha detto, per giustificare piuttosto che chiarire, che per governare gli italiani sta conducendo una vita infernale e massacrante. Per una questione liberatoria e di «igiene mentale», ogni tanto organizza delle feste per divertirsi con donne varie e assortite. A casa sua può fare ciò che crede. Certo, se non fosse il Presidente del Governo del Paese! Cosa che sempre più frequentemente dimentica e, sa perché dimentica? Perché la Sua memoria è coerente con la Sua età. Coerente e onesta, la memoria, ogni tanto sbircia l'anagrafe! Mi conceda, Presidente Berlusconi, mica glieLo ha ordinato il geriatra di governare l'Italia! Lei si è proposto, molti l'hanno votata. Tutto ha un inizio, tutto ha una fine, c'est la vie, Monsieur Le President. Nessuno Le impedisce di fare un passo indietro e togliersi di torno. Lei ha detto che le case non Le mancano, ne ha ben venti tra cui scegliere. Scelga. Spiace solo constatare che ancora una volta, sull'altro versante politico, nebbia fitta, anzi la nebbia agli irti colle sale...

martedì 2 novembre 2010

Doppiamente indelicato

Dal Fatto...

I media egiziani

Tutti zitti su Mubarak

In Egitto è stata la rete a occuparsi senza remore dell'affaire Ruby. La stampa ufficiale ha appena sfiorato l'argomento. “Quando ci sono notizie, anche false, che riguardano direttamente il presidente Hosni Mubarak, i giornali e le televisioni vanno con i piedi di piombo”, ci dice il giornalista Issandr el Amrani. Il suo blog The Arabist è uno dei più seguiti dai giovani mediorientali e i suoi commenti alle vicende politiche internazionali sono argute analisi che poco hanno a che vedere con gli articoli ingessati pubblicati su buona parte dei media ufficiali. “La stampa egiziana è una stampa di regime – continua el Amrani che in Italia è ben conosciuto dai lettori del settimanale Internazionale, di cui è collaboratore – e quando succede qualcosa che tira in ballo Mubarak, prima di riferirne, bisogna essere sicuri che ciò non gli dispiaccia”. Anche quando il presidente Mubarak è vittima inconsapevole? “Sì, anche in questo caso. Anche se Mubarak non c'entra niente, di certo non è opportuno insistere sul fatto che un altro uomo politico abbia usato il suo nome per le sue sordide vicende private”. Vuol dire che una notizia del genere induce a pensare che Mubarak è così debole e poco stimato da poter essere usato dal premier di un altro Paese per scopi illeciti ? “Sì, possiamo metterla in questo modo. Ma diciamo che l'affaire Ruby è anche qualcosa di veramente imbarazzante per tutto il mondo della politica. E' un fatto unico nella storia degli incidenti diplomatici. Non si era mai visto un primo ministro sfruttare in modo così plateale le buone relazioni con il capo di un altro Stato, per trovare una giustificazione plausibile a un reato che stava commettendo. Certo è subito emerso che il vostro Premier avesse mentito. In Egitto nessuno ha dubitato della totale estranietà della famiglia di Mubarak in questa sordida vicenda. Ma anche per un nostro strano concetto del rispetto, qui si è preferito non dare troppo risalto alla vicenda”. Nonostante Ruby Rubacuori non avesse, e non abbia alcun grado di parentela con il vecchio e malato dittatore egiziano, nessuno al Cairo ha considerato opportuno sottolineare che Mubarak sia stato utilizzato come alibi dal suo alleato Berlusconi. Meglio far finta di niente, almeno pubblicamente. “Il titolo del mio post era proprio questo, Mubarak trasformato in alibi del Premier italiano che ha usato il suo nome per mentire e abusare del proprio ruolo istituzionale. Ho sottolineato anche le buone relazioni tra i due perchè è la dimostrazione che ormai non ci si può più fidare nemmeno degli amici. Scherzi a parte – ironizza el Amrani – va anche detto che l'atteggiamento del vostro premier è stato doppiamente indelicato, per non dire di peggio”. A Mubarak l'anno scorso è morto un giovane nipote in modo tragico. Per lui e la sua famiglia è stato un evento davvero doloroso e la trovata di Berlusconi non sarà stata presa solo come il patetico tentativo di trovare una scusa ai propri errori.

Roberta Zunini

Tanto di cappello al Fatto Quotidiano

Ho rinnovato il mio abbonamento al Fatto Quotidiano di Padellaro e Travaglio per rinnovare cosi' la mia stima per un lavoro ineguagliato nel panorama dell'informazione italiana.

Grazie ad Antonio Padellaro e Marco Travaglio!

Dal Fatto di oggi:

Prova su marciapiede

di Marco Travaglio

Il capo del governo chiama la questura, ordina di violare la legge e fornisce le menzogne necessarie per farlo. La questura obbedisce, ma c’è un problema: il magistrato. Niente paura: si racconta qualche menzogna anche a lui e alla fine gli ordini del capo del governo diventano legge. Anche se la legge dice il contrario. Anche se i poliziotti dovrebbero essere i “tutori della legge”. È la prova di laboratorio della “riforma della giustizia” berlusconiana, quella sperimentata la sera del 27 maggio sulla linea telefonica tra Palazzo Grazioli e la Questura di Milano. In ciò che è accaduto quella notte intorno a “Ruby” c’è tutta la democrazia ad personam che B. tenta da 16 anni di trasferire nella Costituzione e, nell’attesa, ha trasformato in prassi consolidata. In passato non c’era bisogno di tanta fatica: bastava corrompere politici, finanzieri, magistrati, testimoni e il gioco era fatto. Ma che fare se il poliziotto e il magistrato non si fanno comprare o non c’è tempo per corromperli? Si racconta che Ruby è la nipote di Mubarak (falso; ma, anche se fosse vero, la ragazza non avrebbe diritto ad alcun trattamento particolare), insomma si rischia l’incidente diplomatico con l’Egitto (falso); e che l’igienista dentale-consigliera regionale Nicole Minetti la prenderà con sé (falso, la scaricherà in casa di una escort brasiliana). Questo però non basta al pm dei minori, che raccomanda di tenere la ragazza in questura fino all’avvenuta identificazione o, in alternativa, di affidarla a una comunità protetta: allora si racconta al magistrato che è stata identificata (falso) e che non c’è posto in nessuna comunità protetta (falso, ce n’erano ben quattro disponibili, ma nessuna è stata chiamata, così come non è stato interpellato l’apposito ufficio comunale). Ce ne sarebbe abbastanza per far saltare il questore e il capo di gabinetto, ma il ministro Maroni ripete a pappagallo che “è stata seguita la normale procedura” (falso) ed è “tutto regolare” (falso). Per coprire le menzogne del premier e della questura, deve mentire pure il ministro dell’Interno, subito coperto dal suo leader Bossi, che è pure ministro (Riforme istituzionali) e se ne esce con un incredibile: “Berlusconi non doveva telefonare in questura: doveva chiamare Maroni o me”. Sintesi spettacolare della concezione proprietaria della democrazia che accomuna il governo della “sicurezza” e della “tolleranza zero” contro l’immigrazione e la criminalità: caro Silvio, se devi salvare un’amica minorenne fermata per furto dalle grinfie di polizia e magistratura (che notoriamente accolgono le minorenni fermate per furto col rituale del bunga bunga), non sporcarti le mani, ci pensiamo io e Maroni che a Milano facciamo il bello e il cattivo tempo. Una pennellata di federalismo sulla Casta del privilegio: la devolution dell’impunità. Chi ancora sobbalza o inorridisce dinanzi a simili spettacoli conservi un po’ di sdegno per il futuro. Ciò che è avvenuto in quella calda notte di fine maggio è quanto ci riserva il futuro se chi può – Napolitano o Fini o tutti e due (tralasciamo volutamente Schifani, la carica dello Stato rimasta, perché ci vien da ridere) – non si affretta a liberarci dal nano. E se dunque la controriforma della giustizia entrerà nella Costituzione. Secondo il progetto Alfano (cioè Berlusconi), il pm non potrà più disporre della polizia giudiziaria, che risponderà in esclusiva al governo; le procure dovranno attendere pazientemente che gli agenti portino sul loro tavolo questa o quella notizia di reato, opportunamente filtrata dal governo stesso, si capisce; ogni anno sarà il Guardasigilli, cioè il governo, a indicare le “priorità” dei reati da perseguire (quelli dei membri e degli amici del governo) e da tralasciare (quelli dei nemici del governo). Dunque, non capiterà più che un poliziotto zelante segnali alla Procura di Milano quel che è avvenuto quella notte in Questura. Vi piace il presepe? È il futuro che ci riserva questo governo. Il caso Ruby ne è la prova su strada. Anzi, su marciapiede.

lunedì 23 agosto 2010

La coscienza non si compra

Da repubblica.it la controreplica di Mancuso alla Mondadori, che potete leggere QUA per intero.

Cara Mondadori, per le leggi
il tuo sarto è proprio su misura


di VITO MANCUSO



Cara Arnoldo Mondadori Editore, penso sia capitato a pochi di venire chiamato per nome da
un'entità impersonale come una Società per Azioni, com'è avvenuto ieri a me con la Vostra lettera: "Caro Mancuso... firmato: Arnoldo Mondadori Editore". Ora sono un po' a disagio perché non so bene come rispondere (come ci si rivolge a una SpA?) e se uso l'antiquato Voi è perché non trovo di meglio.

Sento però che già in questa Vostra confusione di generi letterari tra l'epistola, dove ci si rivolge all'interlocutore in modo personale e si firma in prima persona, e il comunicato ufficiale, che non conosce legami e firma istituzionalmente, c'è qualcosa di stonato. Tanto più se si considera che a essere in gioco è un'editrice che fa della letteratura e della poesia, e dei rapporti personali con gli autori, il suo punto forte.

Ma entrando nel merito vi sono alcune cose nel Vostro scritto, cara Arnoldo Mondadori Editore, che a mio avviso non convincono.

[...]

La Vostra lettera a me ieri pubblicamente indirizzata si concludeva dicendo: "Vorremmo rassicurarla sul fatto che la Mondadori è e resta quella che lei è abituato a conoscere". Per tutte le ragioni dette, io non mi sento per nulla rassicurato. Voi sapete che oltre al tribunale esteriore esiste un tribunale interiore. Col tribunale esteriore si può venire a patti pagando qualche milione di euro. Col tribunale interiore no.


La parte centrale dell'articolo la potete leggere QUA.

sabato 21 agosto 2010

Problemi di coscienza

Da Repubblica un articolo di Vito Mancuso, finalmente un intellettuale si schiera apertamente contro il "sistema" non contro una persona (Mr. B.), ma contro il sistema per questioni di coscienza personale. Aspettiamo le reazioni degli altri "intellettuali".

Io, autore Mondadori e lo scandalo "ad aziendam"

di Vito Mancuso

Da quando ho letto l'articolo di Massimo Giannini 1 giovedì scorso 19 agosto non ho potuto smettere di pensarci. Ho provato a fare altro e a concentrarmi sul mio lavoro, ma dato che in questi giorni esso consiste proprio nella stesura del nuovo libro che a breve dovrei consegnare alla Mondadori, mi è sempre risultato impossibile distogliere dalla mente i pensieri abbastanza cupi che vi si affacciavano. La domanda era sempre quella: come posso adesso, se quello che scrive Giannini corrisponde al vero, continuare a pubblicare con la Mondadori e rimanere a posto con la mia coscienza? Come posso fondare il mio pensiero sul bene e sulla giustizia, e poi contribuire al programma editoriale di un'azienda che a quanto pare, godendo di favori parlamentari ed extra-parlamentari, pagherebbe al fisco solo una minima parte (8,6 milioni versati) di un antico ed enorme debito (350 milioni dovuti)? Come posso fare dell'etica la stella polare della mia teologia e poi pubblicare i miei libri con un'azienda che non solo dell'etica ma anche del diritto mostrerebbe, in questo caso, una concezione alquanto singolare?

Io sono legato da tempo alla Mondadori, era il 1997 quando vi entrai come consulente editoriale della saggistica fondandovi una collana di religione e spiritualità, poi nel 2002 ebbi l'onore di diventarne autore quando il comitato editoriale accettò il mio saggio sull'handicap come problema teologico, onore ripetuto nel 2005 e nel 2009 con altri due libri.

Conosco bene i cinque piani di palazzo Niemeyer a Segrate, gli uffici open-space, i corridoi interminabili dove si incontra chiunque (scrittori, politici, cantanti, calciatori, scienziati, matematici, preti, comici...), la mensa dove per parlare con il vicino spesso bisogna gridare, il ristorantino vip, lo spaccio dove si comprano i libri a metà prezzo, le redazioni dei settimanali e dei femminili, l'auditorium dove presentavo ai venditori i libri in uscita e di recente il libro che sto scrivendo. So dove si trovano le macchinette del caffè, luogo di ritrovi e di battute, e di gara con gli amici a chi mette per primo la monetina. Ecco, gli amici. Impossibile per me parlare della Mondadori e non rivedere i loro volti e non provare ancora una volta ammirazione e stima per la loro professionalità. Perché questo anzitutto la Mondadori è: una grande azienda di brillanti professionisti. Del resto a parlare sono i titoli e i fatturati, sono i lettori italiani che continuano a premiare con le loro scelte il lavoro di un'editrice che va avanti dal 1907. Un lavoro in grado di vincere anche in qualità, basti pensare alla collezione dei Meridiani, ai Meridiani dello Spirito, ai classici greci e latini della Fondazione Valla. E se uno avesse dei dubbi, prenda in mano il catalogo degli Oscar e di sicuro gli passeranno, perché si ritroverà tra le mani una vera e propria enciclopedia della scienza editoriale in compendio.

Per questo il mio dubbio, dopo l'articolo di Giannini, è pesante. Leggendo ho appreso che non si tratta più di accettare una proprietà che può piacere oppure no ma che non ha nulla a che fare con le scelte editoriali, cioè con l'azienda nella sua essenza. Stavolta è la Mondadori in quanto tale a essere coinvolta, non solo il suo proprietario per i soliti motivi che non hanno nulla a che fare con l'editoria libraria. Quindi stavolta come autore non posso più dire a me stesso che l'editrice in quanto tale non c'entra nulla con gli affari politici e giudiziari del suo proprietario, perché ora l'editrice c'entra, eccome se c'entra, se è vero che di 350 milioni dovuti al fisco ne viene a pagare solo 8,6 dopo quasi vent'anni, e senza neppure un euro di interesse per il ritardo, interessi che invece a un normale cittadino nessuno defalca se non paga nei tempi dovuti il bollo auto, il canone tv o uno degli altri bollettini a tutti noti.

Eccomi quindi qui con la coscienza in tempesta: da un lato il poter far parte di un programma editoriale di prima qualità venendo anche ben retribuito, dall'altro il non voler avere nulla a che fare con chi speculerebbe sugli appoggi politici di cui gode. Da un lato un debito di riconoscenza per l'editrice che ha avuto fiducia in me quando ero sconosciuto, dall'altro il dovere civico di contrastare un'inedita legge ad aziendam che si sommerebbe alle 36 leggi ad personam già confezionate per l'attuale primo ministro (riprendo il numero delle leggi dall'articolo di Giannini e mi scuso per il latino ipermaccheronico "ad aziendam", ma ho preso atto che oggi si dice così). A tutto questo si aggiunge lo stupore per il fatto che il Corriere della Sera, gruppo Rizzoli principale concorrente Mondadori, finora abbia dedicato una notizia di poche righe alla questione: come mai?

Nella mia incertezza ho deciso di scrivere questo articolo. Spero infatti che a seguito di esso qualcuno tra i dirigenti della Mondadori possa spiegare pubblicamente cosa c'è che non va nell'articolo di Giannini, perché e in che cosa esagera e non corrisponde a verità. Io sarei il primo a gioirne. Spero inoltre che anche altri autori Mondadori che scrivono su questo giornale possano dire come la pensano e cosa rispondono alla loro coscienza. Sto parlando di firme come Corrado Augias, Pietro Citati, Federico Rampini, Roberto Saviano, Nadia Fusini, Piergiorgio Odifreddi, Michela Marzano... Se poi allarghiamo il tiro alle editrici controllate interamente dalla Mondadori (il che, in questo caso, mi pare oggettivamente doveroso) arriviamo all'Einaudi e a nomi come Eugenio Scalfari, Gustavo Zagrebelsky, Adriano Prosperi... Sono tutte personalità di grande spessore e per questo sarei loro riconoscente se contribuissero a risolvere qualcuno dei dubbi sollevati da questa inedita legge ad aziendam nella coscienza di un autore del Gruppo Mondadori.

(21 agosto 2010)